Calcio
Coppa d’Africa 1996 – Quando il calcio unisce
Conclusa la prima settimana di Coppa d’Africa in Costa d’Avorio, riportiamo i risultati delle gare riguardanti le prime due giornate.
Girone A:
Costa d’Avorio – Guinea-Bissau 2-0
Nigeria – Guinea Equatoriale 1-1
Guinea Equatoriale – Guinea- Bissau 4-2
Costa d’Avorio – Nigeria 0-1
Girone B:
Egitto – Mozambico 2-2
Capo Verde – Ghana 1-2
Egitto – Ghana 2-2
Capo Verde – Mozambico 3-0
Girone C:
Senegal – Gambia 3-0
Camerun – Guinea 1-1
Senegal – Camerun 3-1
Guinea – Gambia 1-0
Girone D:
Algeria – Angola 1-1
Burkina Faso – Mauritania 1-0
Girone E:
Mali – Sudafrica 2-0
Tunisia – Namibia 0-1
Girone F:
Marocco – Tanzania 3-0
Repubblica Democratica del Congo – Zambia 1-1
E ora rituffiamoci nel passato con la storia di un’edizione fondamentale per degli equilibri che vanno ben oltre il gioco che più amiamo.
Coppa d’Africa 1996
14,8 chilometri. 224 giorni. Queste sono le distanze, in termini di tempo e spazio, che intercorrono tra Francois Pienaar che alza al cielo la Coppa del mondo di rugby, il 24 giugno 1995, e il momento nel quale la alzi tu, Neil, il 3 febbraio dell’anno successivo. Sotto lo stesso cielo, a pochi chilometri l’uno dall’altro. Così vicini e così legati l’uno all’altro.
Legati dall’onore di salire quelle scale e alzare il primo storico trofeo della vostra nazione.
Legati da un uomo, colui che ti ha appena consegnato quella coppa, che circa un anno prima indossava la numero 6 degli Springboks e oggi indossa la tua 9 dei Bafana Bafana.
Legati dall’orgoglio di poter segnare sulla mappa del mondo sportivo il vostro Sudafrica.
Legati dal colore della pelle che, finalmente, è l’aspetto che meno conta.
La Coppa d’Africa del 1996 si disputa in Sudafrica per il volere di un uomo che ha inciso tantissimo nella stesura delle pagine della storia contemporanea globale. Nel 1994 il Kenya si tira indietro e dichiara di non essere pronto per organizzare la kermesse e quell’uomo capisce che il capitolo del mondiale di rugby, disputato un anno prima, può avere un seguito e candida la neonata nazione arcobaleno. La formula del torneo cambia e il numero di squadre si allarga, da 12 si passa a 16. Ma a pochi giorni dall’inizio della competizione arriva il primo colpo di scena. La squadra nigeriana, campione uscente, viene ritirata dalla giunta militare che guida il paese. La motivazione ufficiale è il mantenimento dell’incolumità dei giocatori a seguito delle proteste che hanno visto coinvolto il Sudafrica riguardo la messa a morte di nove oppositori alla dittatura. La CAF minaccia una maxi squalifica alla federazione, ma il dado, ormai, è tratto e per il trofeo partono 15 squadre.
Il Girone A è probabilmente il più interessante dal punto di vista tecnico. Oltre ai Bafana Bafana, è presente una grande potenza del calcio del continente nero: il Camerun. La squadra è guidata in panchina dall’autoctono Jules Nyongha, allenatore che ha speso tutta la sua carriera nei confini della nazione, prima guidando la squadra nazionale e poi alcuni club. La formazione, dopo il grandioso mondiale del 1990 e la mesta apparizione nel 1994 vive un periodo di transizione. Non ancora sbocciato completamente il talento che vincerà due edizioni ad inizio millennio, ma al contempo povera di parte di quella straordinaria verve vista nel mondiale italiano di sei anni prima. Roger Milla ha detto basta. Ma per davvero stavolta. Il cammino dei Leoni Indomabili, quindi, comincia malissimo. Nella gara inaugurale, al Soccer City Stadium di Johannesburg, i padroni di casa mostrano una disarmante superiorità. All’ora di gioco la partita è già finita: 3-0 e segnale forte alla competizione. Il primo gol del torneo lo segna un giocatore indimenticato dalle nostre parti: Phil Masinga. Fondamentale per la permanenza in Serie B della Salernitana nella stagione 1996-97, l’attaccante passa in estate al Bari dove segnerà un gol storico. Sì, perché in data 18 gennaio 1998, i tifosi dell’Inter sono increduli alla vista impietosa: il tabellone di San Siro recita Inter 0 Bari 1, rete di Masinga.
L’attaccante che guida l’attacco della propria nazionale in quel momento si è accasato a Salerno da poche settimane. La data è il 13 gennaio. Una data che ricorderà fino a quando, quello stesso giorno di ventitré anni dopo, passerà ad altra dimensione.
Ma il Camerun non si arrende, anche perché alla seconda giornata è già dentro o fuori. Di fronte ai Leoni Indomabili c’è l’Egitto. La squadra egiziana è forte, l’ossatura della rosa è la stessa che vincerà il trofeo due anni dopo, ma il vero top player è il condottiero in panchina: Ruud Krol. Interprete fenomenale del calcio totale dell’Arancia Meccanica olandese anni 70, vive un’importante parentesi nel Napoli degli anni 80, vero eroe della piazza prima dell’arrivo di Maradona. Da allenatore gira il mondo, cominciando la carriera in Belgio per poi spostarsi, appunto, in Egitto. La sua squadra batte l’Angola nella prima giornata, ma poi perde contro il Camerun. Finisce 2-1 per la formazione di Nyongha e il primo gol lo segna Oman-Biyik su rigore, lo stesso attaccante che aveva segnato probabilmente il gol più importante della storia dell’Africa nera. Lo stacco imperioso a San Siro che condanna l’Argentina alla sconfitta nella gara inaugurale del mondiale 1990.
Al Sudafrica basta un gol di Williams per battere l’Angola e si qualifica con un turno di anticipo. Nell’ultima giornata, clamorosamente, il Camerun si fa fermare sul 3-3 dall’Angola già eliminata e dice addio alla competizione in favore dei Faraoni che, battono 0-1 un Sudafrica senza stimoli, e staccano il pass per i quarti di finale.
Il Girone B è quello che lascia meno spazio alle sorprese. Come da pronostico Zambia e Algeria hanno vita facile a passare il turno. Dopo essersi divise la posta in palio nella prima gara, entrambe battono Sierra Leone e Burkina Faso.In particolare la nazionale zambiana annienta per 4-0 la squadra sierraleonese, guidata da un grande giocatore in campo, Mohamed Kallon, pedina importante dell’Inter di inizio 2000, e da uno strano allenatore, Roger Palmgren. Uno svedese che, come ultima esperienza prima di prendere la guida dei Leone Stars, aveva guidato la Primavera dell’Arezzo.
Ma restiamo in Zambia per un attimo perché è necessario un excursus. Nella storia del paese, almeno dal punto di vista calcistico, esiste una data che segna un solco, un primo e un dopo. Il 28 aprile 1993 il Buffalo DHC-5D che stava trasportando la squadra verso il Senegal si schianta in mare. Perdono la vita quindici giocatori e sette membri dello staff tecnico. La tragedia sconvolge il mondo calcistico, anche perché quella squadra era il simbolo di un paese che si stava facendo largo nel panorama del futbol. Nonostante la tragedia, la formazione zambiana arriva seconda nella Coppa d’Africa del 1994 e fallisce la qualificazione al mondiale americano per un solo punto. Nel 1996 la squadra è capitanata da Kalusha Bwalya, leggendario attaccante che non era sul tragico volo poiché avrebbe dovuto raggiungere i compagni direttamente in terra senegalese. Una storia struggente che non avrà il finale romantico che forse avrebbe meritato.
Il Girone C è il gruppo in cui doveva essere la Nigeria. La CAF non sostituisce le Super Aquile e quindi ai nastri di partenza ci sono solo tre squadre: Gabon, Liberia e Zaire.
La Liberia di George Weah, fresco vincitore del Pallone d’Oro 1995, è alla sua prima partecipazione alla kermesse continentale e fa il suo esordio battendo 2-1 il Gabon.
Lo Zaire, ormai agli sgoccioli della dittatura di Mobutu, prima perde 2-0 con i gabonesi e poi batte col medesimo punteggio i liberiani, estromettendoli dalla competizione. Con una vittoria e una sconfitta a testa, vale la regola della differenza reti e così sono il Gabon, per la prima volta nella sua storia, e lo Zaire a passare il turno. I leader di quella squadra sono due: l’attaccante Nzamba e il difensore Aubameyang. Entrambi passeranno in estate alla Triestina e il secondo avrà una progenie fenomenale: il figlio Pierre-Emerick, che al momento della competizione ha sei anni, sarà capitano e giocatore più rappresentativo dell’intera storia calcistica del Gabon.
Il Girone D ha un padrone incontrastato: il Ghana capitanato da Abedì Pelè fa en-plein e passa il turno a punteggio pieno. La prima gara vede la firma dei due giocatori più rappresentativi della squadra: contro la Costa d’Avorio vanno a segno, prima Yeboah in semirovesciata al 20’, e poi proprio Abedì Pelè al 70’. La seconda rete è stupenda. Il numero 10 ghanese raccoglie un cross basso e accelera incredibilmente in un fazzoletto di terra prima di far partire un destro poderoso che si infila sul primo palo.
La Tunisia non va oltre l’1-1 contro il Mozambico e perde con il Ghana. A questo punto per passare il turno la squadra di Kasperczak deve battere gli ivoriani che hanno messo fine alle speranze mozambicane.
Già, Henryk Kasperczak. Una carriera da allenatore spesa fra Polonia, Francia e nazionali africane. Al plurale perché, dopo aver guidato il Metz alla prima Coppa di Francia della sua storia e dieci anni nel paese transalpino, nel 1994 diventa commissario tecnico della Costa d’Avorio, guidandola al terzo posto nella Coppa d’Africa del 1994. E proprio contro gli Elefanti, la sua Tunisia stacca il pass per i quarti di finale. Finisce 3-1 e il mattatore della sfida, con una doppietta, è Ben Younes.
Si delinea così il tabellone dei quarti di finale.
Nella prima gara il Sudafrica fatica, ma passa il turno contro una battagliera Algeria. Dopo aver fallito un calcio di rigore nel primo tempo, i padroni di casa trovano la rete che apre le marcature con Mark Fish, che da lì a qualche mese si sarebbe trasferito in Italia per una breve e infelice esperienza alla Lazio, con un gol da difensore. La difesa algerina traballa e sul pallone vagante si fionda proprio Fish che ha seguito l’azione e, in scivolata, trova il vantaggio al 72’. All’84’, però, l’Algeria trova il pari. Calcio d’angolo da sinistra e Lazizi svetta più in alto di tutti per trovare il pareggio. Gioia effimera, perché neanche sessanta secondi dopo i Bafana Bafana rimettono la testa avanti. Il gol è di Moshoeu, centrocampista molto duttile capace di giocare in praticamente tutti i ruoli della mediana. Il gol è bellissimo. Dopo il calcio di riavvio, il Sudafrica si getta subito in avanti sospinto dal sostegno del pubblico. La palla arriva al centrocampista che calcia dai venti metri, non lasciando scampo al portiere algerino. È un trionfo. Alla prima partecipazione della sua storia, il Sudafrica è in semifinale.
Tutto più facile, invece, per lo Zambia contro l’Egitto. I Proiettili di rame chiudono il primo tempo in svantaggio, per merito del gol meraviglioso di Kamouna che trova l’angolo da fuori area con un esterno destro di una bellezza sconvolgente. Ma nella ripresa non c’è storia. Tre gol in fila. Il primo di Litana, di testa, con la difesa egiziana totalmente sorpresa da un cross facilmente leggibile. Poi Mutala ribalta la sfida ribadendo in rete una respinta non perfetta di El-Sayed. Infine è il turno di Lota che in contropiede impatta il 3-1 e chiude la pratica.
Al Ghana basta un gol di Yeboah nel primo tempo per estromettere lo Zaire. La rete da rapace d’area dell’attaccante chiude un’epoca: quella dello Zaire, con questa denominazione, alla Coppa d’Africa.
La sfida tra Gabon e Tunisia è indubbiamente il quarto di finale più equilibrato. Dopo dieci minuti la Tunisia va in vantaggio. Contropiede splendidamente orchestrato dalla mediana nordafricana, Mehdi scappa sul filo del fuorigioco e arma il destro di Beya che, dal limite, fa 1-0. Questo risultato dura poco perché al 16’ Mackaya pareggia su calcio di punizione, con la palla che prende un effetto stranissimo e sorprende il portiere sul proprio palo. L’inizio scoppiettante, però, non regge le aspettative e dopo 120 minuti di gioco il risultato è ancora 1-1. Ai calci di rigore l’eroe è il portiere tunisino El Ouaer che neutralizza i primi due penalty, i suoi compagni non ne falliscono nessuno e il punteggio finale è di 4-1. Le Aquile di Cartagine volano in semifinale.
La prima semifinale è attesa con grande fermento. Una delle squadre più quotate, il Ghana, affronta i padroni di casa del Sudafrica. Ma gli spettatori neutrali rimangono delusi perché il risultato finale è impietoso. 3-0. Senza storia. Per dire la verità, in avvio di partita, le Black Stars avrebbero una grandissima occasione per cambiare la narrazione di questa semifinale. Yeboah intercetta uno scellerato passaggio orizzontale e s’invola a tu per tu col portiere, ma spreca clamorosamente calciando a lato. Da lì in poi l’inerzia della gara si capovolge e al 22’ Moshoeu bissa il gol dei quarti, trovando la rete con una fantastica rovesciata a centroarea in seguito a un calcio d’angolo. Come contro l’Algeria, i Bafana Bafana sfruttano in maniera eccezionale un calcio d’avvio. In questo caso è la prima palla della ripresa che viene lanciata nello spazio, la difesa ghanese è sorpresa e Barlett insacca. Già così sarebbe un successo incredibile, ma il gol che fuga ogni dubbio arriva a tre dalla fine: malinteso della linea difensiva ospite e Moshoeu ha tutto il tempo di mettere a sedere il portiere e mettere dentro. Il Soccer City Stadium è una bolgia. Il sogno sudafricano è vicinissimo, manca l’ultimo ostacolo e poi sarà storia. Anzi, sarà leggenda.
L’altra semifinale tra Tunisia e Zambia potrebbe sembrare più equilibrata guardando il risultato, ma in realtà non è così. A fine primo tempo la Tunisia è già avanti 2-0. Il gol del vantaggio lo segna Sellimi al 16’ che attacca il primo palo e anticipa il suo diretto avversario con la spaccata vincente. Quattro minuti dopo è il turno di Baya che, in tuffo di testa, trova il raddoppio. Basterebbe questo per mettere al tappeto lo Zambia, ma in avvio di secondo tempo Ghodhbane dipinge il 3-0. Il gol è molto bello, ma soprattutto molto difficile. Il lungo passaggio in profondità viene intercettato dall’uscita coraggiosa di Phiri che allunga il pallone fino all’altezza dei venti metri. Lì c’è proprio Ghodhbane che ruota il perno, trova la coordinazione e col sinistro mette dentro un pallonetto morbido, ma letale. In successione segnano poi lo Zambia, la Tunisia su rigore e ancora lo Zambia allo scadere, ma tutto ciò serve solo a consegnare ai posteri il punteggio di 4-2.
Finale. Il palcoscenico è, ovviamente, il Soccer City Stadium di Johannesburg. La data è il 3 febbraio. Formazioni. Clive Barker schiera i padroni di casa con un classico 4-4-2. In porta Arendse. I due centrali sono il capitano Neil Tovey e Mark Fish. A sinistra gioca Lucas Radebe. Ecco un personaggio che rappresenta perfettamento uno spaccato di storia sudafricana. Nel 1990 firma con i Kaizer Chiefs, comincia la sua carriera da portiere, ma poi verrà spostato in difesa. Nel 1991 mentre è diretto a un negozio viene raggiunto da un colpo di pistola, la pallottola attraversa la schiena e fuoriesce dalla coscia, lasciandolo illeso. Nel 1994 firma con il Leeds United, inizialmente solo per accompagnare l’amico Phil Masinga, ma con George Graham, l’allenatore dell’Arsenal di Febbre a 90, si ritaglia un ruolo da protagonista. Se il Sudafrica arriva alla fine avendo subito solo due reti è, per gran parte, merito suo. Un giocatore meraviglioso.
A destra, invece, gioca Motaung. I due interni di centrocampo sono Buthelezi, che di nome fa Linda, e Khumalo, che di nome fa Doctor. Sugli esterni Tinkler, che verrà in Italia a giocare al Cagliari, e ovviamente Moshoeu. In attacco Barlett e Masinga.
Tunisia. Kasperczak risponde con lo stesso modulo. In porta El Ouaer. In difesa Jaballah, Chouchane, Boukadida e Berkhissa. A centrocampo Bouazizi, Ghodhbane, la bandiera dello Sfaxien, Fekih, e il più talentuoso della squadra, Zoubeir Baya. La coppia d’attacco è quella rodata: Slimane-Sellimi.
La gara è bloccata, non facile da giocare. Il Sudafrica è di fatto una Cenerentola, è alla prima partecipazione, ma il fattore campo ha un peso specifico notevole. La Tunisia ha giocato solo un’altra finale nella sua storia, ma nel 1965. Preistoria. Una finale atipica di cui è difficile fare un pronostico.
La prima vera occasione arriva al 39’. Moshoeu va via sulla destra e mette in mezzo. Il colpo di testa di Barlett sembra avere un destino preciso, ma El Ouaer non è d’accordo e para splendidamente in controtempo. Si resta 0-0. Al minuto 65 Clive Barker fa la mossa che cambierà la storia: fuori un evanescente Masinga e dentro Mark Williams del Wolverhampton. Minuto 73. Khumalo mette dentro l’area un calcio di punizione, Moshoeu prolunga e dall’altra parte sbuca la testa di Trinkler. Sembra fatta, ma con un miracolo il portiere la toglie dalla porta. Si potrebbe discutere se la palla abbia o meno sorpassato la linea, ma non c’è il tempo perché Buthelezi la rimette in mezzo all’area dove svetta la testa del nuovo entrato Williams per fare 1-0. Neanche il tempo di esultare che la Tunisia perde un pallone sanguinoso sulla trequarti, Khumalo imbuca per Williams che è glaciale nel fare 2-0. Finisce così.
E allora torniamo all’inizio della nostra storia. Una storia cominciata ben prima della Coppa d’Africa 1996, ben prima del mondiale di rugby del 1995. Ma iniziata in una cella nella prigione di Robben Island. Lì, quello stesso uomo che consegna la coppa a Neil Tovey, così come aveva fatto con Pienaar 224 giorni prima, stava gettando le basi per un mondo migliore. Per la pace. A partire dal suo Sudafrica. Perché è vero, Neil, che sei il primo bianco della storia a sollevare una Coppa delle Nazioni Africane, ma non è forse vero che l’importante per te fosse essere semplicemente sudafricano? E non è forse vero che il sogno che quell’uomo aveva portato nello stadio fosse semplicemente un desiderio di uguaglianza e di pace?
Perché, Neil, nel vederti alzare quella coppa, vedo un uomo che te la consegna. Un uomo che si è battuto e che ha vinto. Come te, in fondo. Ma per tutti noi. Quell’uomo che ha un nome un cognome, incisi nel marmo permanente della memoria collettiva. Quell’uomo di nome Nelson Mandela.
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