Calcio
Coppa d’Africa 2015 – Un eroe per caso
In occasione della 34esima edizione della Coppa d’Africa, comincia un viaggio lungo quattro settimane che porterà a scoprire le storie incredibili di una competizione spesso dimenticata.
Coppa d’Africa 2015
Metti la palla sul dischetto. Tocchi tante volte la palla, mentre la appoggi sul famigerato cerchio di gesso. Forse per la testa ti passa che tu un gol su rigore l’hai segnato in carriera. Tre anni prima, con la maglia del Lokeren. La tua maglia, quella che hai vestito fieramente per otto anni e che vestirai per altri due. Ma quella era una partita di campionato, per giunta sul 3-0. No, qui è un’altra storia. Questa è la finale di Coppa d’Africa. E la tua Costa d’Avorio non vince dal 1992, hai trentasei anni, di lì a qualche settimana dirai basta con la nazionale. Un altro di quella meravigliosa nidiata di talenti che lascia il gruppo. Didier l’ha fatto l’anno precedente, Yaya c’è ancora e hai tanta voglia di vedergli alzare quella coppa. Facile si potrebbe pensare, sei un portiere, il tuo compito è pararli i rigori, non certo tirarli. Ma il tuo collega dall’altra parte, Razak, l’ha sbagliato. Anzi glielo hai parato tu. E non sembra un uomo privo di rimpianti. La coppa è lì, a portata di mano, basta segnare questo maledetto rigore. Parti piano, quasi cammini nella rincorsa, ma poi acceleri. E calci.
L’edizione del 2015 vive un terremoto ben prima dell’inizio della competizione. A ottobre 2014, infatti, il governo marocchino, paese organizzatore, chiede il rinvio della manifestazione a causa dell’epidemia di Ebola che colpisce l’Africa occidentale. Nonostante nessun caso effettivo si sia verificato nel paese nordafricano, il governo è inamovibile: la coppa non si giocherà in Marocco. Allo stesso modo la CAF, però, non fa marcia indietro e nel mese di novembre, a distanza di pochi giorni, emette il suo doppio verdetto: coppa in Guinea Equatoriale con Marocco escluso.
E per il torneo partono sedici squadre.
La Costa D’Avorio che arriva alla Coppa d’Africa edizione 2015 è ancora una nazionale di tutto rispetto. Dopo la delusione al mondiale brasiliano, però, Didier Drogba dice basta, rinunciando al sogno di portare in patria l’agognata coppa continentale. L’edizione del 2013 si era chiusa con una bruciante sconfitta ai quarti di finale contro la Nigeria che poi vincerà il trofeo. Nel 2015, quindi, gli ivoriani non hanno la stessa fiducia nella squadra.
Ma gli Elefanti, inseriti nel Gruppo D, passano il turno. Non senza fatica, però. Ciò che accade nel girone ha dell’incredibile. Cinque gare su sei terminano col medesimo risultato: 1-1. Sola eccezione la sfida di Malabo tra Camerun e Costa d’Avorio. Finisce 0-1. Decide la sfida un grandissimo gol di Gradel che calcia dai venticinque metri sorprendendo il portiere sul primo palo. La partita, quindi, condanna i Leoni Indomabili all’ultimo posto e qualifica Yaya Tourè e compagni ai quarti di finale. Guinea e Mali sono a pari punti alla vigilia dell’ultima gara del girone per quella che, a tutti gli effetti, è una gara di spareggio. Parte meglio la Guinea che al 15’ sblocca la gara: il gol su rigore è “italiano”, cucchiaio di Kevin Costant, in quel momento in forza al Trabznospor, ma con un passato con le maglie di Chievo, Milan e Genoa. Ma il Mali reagisce subito e neanche un giro di lancette dopo ottiene il secondo rigore di giornata: sempre un giocatore del nostro campionato dal dischetto, il romanista Seydou Keita, che però calcia malissimo e Yattara blocca. Il Mali trova comunque il pari ad inizio ripresa: cross da destra e Maiga fa 1-1. Che è anche il risultato finale. Con le due squadre pari in ogni tipo di classifica è necessario un sorteggio e dall’urna del giorno seguente esce il nome della Guinea.
Il girone A emette subito un forte verdetto: fuori al primo turno il Burkina Faso, vicecampione in carica, che lascia la competizione con un solo punto, frutto di un pareggio a reti bianche con la Guinea Equatoriale che vince e si qualifica alle spalle della Repubblica del Congo.
I diavoli rossi in quell’edizione sono allenati da Claude Le Roy, profeta del calcio africano e non solo. Il francese è uno di quegli allenatori che hanno visto calcio in tutte le forme. Vicecampione d’Africa col Camerun nel 1986, allena la nazionale della Malesia tra il 1992 e il 1995. Dopo una breve esperienza come osservatore del Milan, vince anche la Coppa del Golfo con l’Oman nel 2008 e siede sulla panchina siriana per appena due mesi nel 2011, prima di fare una straordinaria doppia esperienza: Repubblica Democratica del Congo fino al 2013 e Repubblica del Congo fino alla coppa del 2015.
Un giramondo che porterà i congolesi fino ai quarti di finale dopo aver battuto anche il Gabon di Pierre-Emerick Aubameyang che lascia anzitempo la competizione.
Nel Girone B la Repubblica Democratica del Congo deve fare gli straordinari per passare il turno. Dopo l’1-1 della prima giornata con lo Zambia campione in carica, i Leopardi pareggiano anche con la Tunisia, che si qualifica come prima, e con Capo Verde, eliminato solo per aver segnato un gol in meno dei congolesi e che, quindi, non riesce nell’impresa di replicare i quarti di finale nell’edizione precedente. Gli Squali Blu si consoleranno, però, due mesi dopo con la prima storica vittoria ai danni del Portogallo, peraltro in casa dei lusitani.
Il Girone C è, invece, sicuramente il più interessante. La prima partita è già un crocevia importante. Da una parte il Ghana, allenato da un israeliano, Avraham Grant, un altro che di calcio ne ha visto parecchio. Dopo quindici anni alla guida di club della propria nazione, nel 2002 prende il posto di Richard Moller-Nielsen, commissario tecnico della Danimarca nella storica vittoria dell’europeo 1992, sulla panchina della nazionale israeliana. Fallisce la qualificazione al mondiale 2006, chiudendo al terzo posto il girone, pur rimanendo imbattuto. Il biennio successivo lo vede centrare una storica finale di Champions League, poi persa, alla guida del Chelsea. Dopo qualche esperienza sempre in Inghilterra e una vittoria del campionato serbo con il Partizan Belgrado, diventa commissario tecnico della nazionale ghanese nel 2015, pochi mesi prima della Coppa d’Africa..
Dall’altra parte il Senegal, allenato da Giresse, che parte male e al 14’ va sotto per un rigore di Andrè Ayew. Ma i leoni del Teranga non si arrendono e ribaltano la partita: prima Diouf ribadisce in rete di testa la sua conclusione precedente finita sul palo, poi Sow incrocia in porta l’ultimo pallone della partita, regalando al Senegal una vittoria fondamentale. Sembra l’inizio di un cammino trionfale, ma la squadra di Giresse, prima pareggia con il Sudafrica e poi perde con l’Algeria, dicendo così addio alla competizione.
Ma per un sogno che si infrange ce n’è un altro che continua: l’Algeria fa il suo dovere contro il Sudafrica e capitola solo al 92’ della sfida contro il Ghana.
Che squadra. Dopo aver tenuto i tedeschi in scacco per novanta minuti nel mondiale precedente, le Volpi del Deserto puntano tutto sulla coppa continentale. Sulla panchina siede Christian Gourcuff, allenatore francese molto noto in patria, che di fatto mantiene la struttura del mondiale precedente: in porta Rais M’bolhi, estremo difensore molto forte fisicamente che si era messo in mostra al mondiale; in difesa il terzino sinistro del Napoli, Faouzi Ghoulam, al centro Boguerra e Mejani; a destra c’è Mandi; a centrocampo una conoscenza del nostro campionato, Saphir Taider, e due ottimi giocatori come Bentaleb e Soudani. Ma è l’attacco che fa veramente impressione: a destra Feghouli, al centro Slimani e a sinistra lui. Miglior calciatore del campionato inglese nella stagione 2015-16 e miglior giocatore africano nel 2016. Mancino funambolico, con una capacità di pensare calcio e poi metterlo in pratica raramente vista da quelle parti. Signori e signore, Riyad Mahrez.
È proprio lui ad aprire le marcature nell’ultima e decisiva gara del girone contro il Senegal: dimenticato dalla difesa, scatta sul filo del fuorigioco, stoppa e chiude in porta prima che la difesa senegalese si possa accorgere del pericolo.
Viene così completata la rosa delle otto compagini che giocheranno la fase ad eliminazione diretta. Da una parte del tabellone l’impressione è che la vincente tra Costa d’Avorio e Algeria possa puntare dritta alla finale; mentre dall’altro lato il Ghana non sembra poter avere avversari in grado di metterli veramente in difficoltà. Così è infatti. Nei quarti di finale le Black Stars regolano senza difficoltà i guineani: 3-0. E in semifinale infrangono il sogno dei padroni di casa con un altro rotondo 0-3. Il viaggio della Guinea Equatoriale vale, però, la pena di essere raccontato. La nazionale dello Nzalang partecipa alle qualificazioni per la manifestazione quando ancora la sede doveva essere il Marocco, ma viene estromessa dal torneo già al primo turno, nonostante la vittoria sul campo, per aver schierato un giocatore non eleggibile contro la Mauritania. Sogno apparentemente finito prima di cominciare, ma il cambio di sede concede un pass straordinario alla squdra.
Squadra che viene affidata all’argentino Esteban Becker, già allenatore della nazionale femminile campione d’Africa nel 2012 capace di un cammino straordinario. E la squadra gira, passa un girone difficile da seconda e approda ai quarti di finale dove incontra la Tunisia. La gara è brutta e tirata. Tanti calci e poco calcio. Dopo 70 minuti di gioco, per così dire, arriva il gol del vantaggio tunisino al primo vero tiro in porta della sfida. A segno Akaïchi che sfugge alla marcatura, attacca benissimo il primo palo e trova l’impatto col pallone che vale lo 0-1. Sembra tutto pronto per la semifinale, quando al 92’ l’arbitro Seechurn indica il dischetto per un fallo inesistente ai danni di Ibàn. Ma a caval donato non si guarda in bocca e Balboa è glaciale. Supplementari. E al 102’ lo stadio esplode. La stessa ala, che in carriera può vantare una manciata di presenze con nientepopodimeno che il Real Madrid, toglie le ragnatele dall’incrocio con una punizione tanto bella quanto storica perché manda la Guinea Equatoriale in semifinale.
Lì il Ghana, però, non fa sconti. 3-0. Segnano entrambi i figli di Abedì Pelè, Jordan e Andrè, e Wakaso. E stavolta il sogno finisce per davvero.
Dall’altro lato del tabellone la partita di cartello è per forza di cose Costa d’Avorio – Algeria, ma il derby del Congo non può essere una gara come le altre. I due stati, in tensione continua durante la guerra fredda, attendono con impazienza la partita che, almeno sul piano dello spettacolo, non tradisce le attese. Succede tutto nella ripresa. La squadra di Le Roy va avanti 2-0, con le reti di Dorè e Bifouma. Ma i Leopardi non si arrendono e mettono in scena una rimonta straordinaria. Prima ad accorciare le distanze è Mbokani. Lo zio del difensore dell’Udinese Kabasele, di nome fa Dieumerci perché la madre ha aspettato otto anni prima di concepire, ma l’espressione viene anche in mente per ciò di straordinario a cui dà il via. Perché a un quarto d’ora dalla fine la squadra guidata in panchina da Florient Ibengè pareggia. Il gol è di Bokila, ma la festa non è ancora finita. Sei minuti dopo Kimwaki colpisce di testa e la rimonta è completata. Nel finale ‘Dio grazie’ chiude il conto in contropiede e regala un’incredibile semifinale ai suoi Leopardi.
Il sogno s’interrompe proprio contro una Costa d’Avorio troppo forte anche per gli orgogliosi cuori congolesi. La squadra tiene fino al 40’ il risultato di 1-1, ma poi Gervinho dimenticato dalla difesa riporta in vantaggio gli ivoriani e nella ripresa Kanon chiude la pratica.
Ma per arrivare in semifinale gli Elefanti devono affrontare un ostacolo duro, durissimo. La squadra è allenata da Hervé Renard, condottiero francese, eroe del continente nero. La gara è seguitissima, come detto c’è l’impressione, corretta, che chi vincerà questa partita si giocherà il trofeo.
Parte meglio l’Algeria, ma al 26’ la Costa d’Avorio passa. Bel cross da sinistra di Gradel, ottimo inserimento di Aurier che di testa coglie il palo. L’azione prosegue e Gradel, stavolta da destra, mette un’altra bella palla a centroarea. Wilfried Bony, centravanti del Manchester City, si fa trovare libero per il colpo di testa che fredda M’bolhi. In avvio di ripresa le volpi trovano il pareggio. Pasticcio della difesa, confezionato prima dall’uscita scellerata di Gbohouo e poi dal liscio di Bailly, e Soudani è bravo a mettere in porta. Salgono i gradi della tensione, entrambe le squadre provano a vincerla. Ci va vicina l’Algeria al 66’, con l’ennesimo traversone di Feghouli. Palla bassa, flipper in area di rigore e gran riflesso di Gbohouo a salvare la squadra di Renard. Ma due minuti dopo sono proprio gli ivoriani a trovare il vantaggio. Pennellata su punizione di Yaya Tourè e in mezzo all’area Bony fa quello che gli riesce meglio: gira di testa e segna. A quel punto l’Algeria si riversa in avanti alla ricerca del pari, ma sull’ultimo ribaltamento di fronte Gervinho, con calma olimpica, raccoglie l’assist e mette il sigillo sulla sfida.
E con la serena vittoria in semifinale gli ivoriani volano. Perché la finale, forse annunciata, è ormai storia. L’8 febbraio all’Estadio de Bata, scendono in campo Costa d’Avorio e Ghana.
Formazioni. Renard deve rinunciare al portiere titolare, Gbohouo, che dà forfait. In campo va l’espertissimo Copa Barry. L’allenatore francese cambia modulo e si affida a un 3-4-3 con gli esterni difensivi per bloccare sul nascere le volate delle Black Stars. La difesa è quindi Kanon e Bailly braccetti e al centro Kolo Tourè. La spina dorsale della squadra è l’asse dei fratelli Tourè, appunto, con Yaya e Diè a centrocampo e larghi Aurier e Tienè. L’attacco è sfavillante: a sinistra la velocità di Gervinho, a destra la classe di Gradel e al centro l’incisività sotto porta di Bony.
Grant risponde schierando i suoi con un moderno 4-2-3-1. In porta c’è Razak, portiere del Mirandes. La difesa è Afful-Rahman terzini e coppia di centrali Mensah-Boye. I due mediani sono Wakaso e Acquah, conoscenza del nostro campionato. La trequarti è il meglio del talento africano: a sinistra gioca Atsu, eletto poi miglior giocatore del torneo, al centro Appiah e a destra la fame di Andrè Ayew. Il centravanti di mille battaglie, capitano di quella squadra, la storia del calcio ghanese è Asamoah Gyan.
Alle ore 20 spaccate con le squadre schierate l’arbitro, il gambiano Gassama, fischia l’avvio.
La gara è particolarmente europea. I due allenatori l’hanno preparata bene, senza lasciare nulla al caso. Poi il peso della storia si sente per entrambe. Il Ghana non vince dal 1982, la Costa d’Avorio dal 1992. Lo spazio è poco, l’attenzione tattica è tanta. Prima semi occasione al 14’. I tifosi ghanesi trattengono il fiato mentre Yaya Tourè prende la rincorsa, ma il suo destro su punizione è facile preda di Razak. Due minuti dopo ancora gli Elefanti pericolosi, Gervinho recupera un bel pallone in uscita e serve Gradel nello spazio. Il numero 15, forse preoccupato dell’arrivo del difensore, affretta il tiro e calcia alto. La partita c’è, le squadre ci provano. Al 25’ la prima grande occasione per il Ghana: Ayew porta palla sulla trequarti e serve Atsu. Il numero 7 prende la mira e, praticamente da fermo, spara un sinistro impressionante dalla distanza che colpisce il palo. L’occasione sembra ammutolire gli ivoriani che nel primo tempo non si rendono più pericolosi. Neanche le Black Stars a dire la verità, se non per un’imbucata ben giocata da Rahman con Ayew chiuso in extremis. Per cui Renard sente il bisogno di cambiare e fa una scelta forte. A metà ripresa fuori l’evanescente Gradel e dentro il peso di Doumbia. La vecchia volpe sa che una gara così bloccata se si deciderà, sarà per una palla sporca, non certo per colpo di classe. Ed è proprio Doumbia che al 90’ va vicino al gol, ma manca l’appuntamento con la storia dopo l’uscita di Razak. Supplementari. Ma anche qui succede poco. Grant prova a scuotere la squadra inserendo Jordan Ayew, ma la partita è bloccatissima. C’è un finale scritto, un finale epico. Come nel 1992, ivoriani e ghanesi si stringono forte, a centrocampo e sul divano, perché si va ai calci di rigore.
Qui si entra in un mondo in cui il calcio c’entra relativamente. Un mondo in cui la freddezza domina sulla tecnica e i pensieri si confondono.
La sequenza di questa finale è qualcosa di inspiegabile: dopo i primi quattro non sembrano esserci dubbi sulla vittoria ghanese: Wakaso e Jordan Ayew segnano, Bony e Tallo sbagliano. Sembra fatta. Ma i successivi quattro ribaltano clamorosamente la questione: Acquah si fa parare il tiro e Acheampong calcia fuori, mentre i romanisti Gervinho e Doumbia sono perfetti. 2-2 prima dell’ultima serie. Ultima si fa per dire perché Ayew e Yaya Tourè non sbagliano e si va a oltranza. I successivi dieci calci di rigore sono l’esemplificazione del concetto che durante una serie di penalty non esistono specialisti: non previsti, non contati, non scelti, ma tutti e dieci segnati. Ed è qui che torniamo al momento in cui è iniziato il nostro viaggio, alle parole che stavamo rivolgendo all’eroe per caso di questa sfida. Stavamo parlando con te Copa. Tu che questa finale non dovevi neanche giocarla e ne sei diventato lo storico protagonista. Forse un grazie te lo meriti, non tanto per il rigore segnato, quello è solo un fondamentale con una discreta dose di fortuna. No, ti diciamo grazie perché hai consegnato ai posteri una pagina leggendaria di calcio, senza africano attenzione, perché quel gol è la pura essenza dello sport più bello del mondo, il più inaspettato fra gli epiloghi, nella magia di una competizione senza eguali.
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