Calcio
Cose dell’altro…Calcio di Mattia Grandi
Dicembre 1995, sala riunioni di una nota cooperativa imolese. Come da tradizione una volta all’anno i migliori piloti del motomondiale incontrano la cittadinanza romagnola in una serata dedicata esclusivamente alle due ruote motorizzate. Ospiti d’onore della manifestazione i campioni del mondo Mick Doohan e Max Biaggi assieme ad un nutrito nugolo di altre stelle del circus. Nascendo ad Imola la passione viscerale per la moto è qualcosa che risiede obbligatoriamente nel DNA. Ho 17 anni e con un compagno di classe neopatentato ci fiondiamo nella splendida location aziendale. Gli onori di casa li svolgono egregiamente come da copione l’Avvocato Carlo Costa e il più noto fratello, il Dottor Claudio Marcello Costa. Ho una maglietta Aprilia da far griffare a Max e nell’occasione ne approfitto per raccogliere altri preziosi autografi su una bandana molto biker. Presentazioni di rito, filmati di repertorio, boato per il Corsaro e per l’australiano, applausi per Capirossi, Cadalora, i fratelli Aoki, il mitico Falappa, Reggiani, Romboni, Gramigni e chi più ne ha più ne metta. Ad un certo punto prende il microfono in mano un ragazzino che ad occhio e croce ha la mia età. Look stravagante, capelli lunghi con una riga in mezzo da far paura, magro, orecchino, occhi azzurri vispi e furbi. Voce da trombetta. “Ciao a tutti, mi chiamo Valentino Rossi, il mio babbo è Graziano, correva nel motomondiale qualche anno fa. La prossima stagione anche io gareggerò nella classe 125, spero di riuscire a raccogliere qualche piccola soddisfazione”. Io e il mio amico ci guardiamo in faccia e scoppiamo in una fragorosa risata. “Ma chi cavolo è questo…ahahahahah…ma come è messo, cosa vuol fare?! Che voce ha?! Poveretto, vai a scuola domani mattina che è meglio…ahahahahhah”. La serata si conclude ed il pubblico scatta in piedi per la caccia all’autografo. Mi metto in una fila chilometrica per avvicinare Doohan e mi accorgo che dietro me, seduto per i cavoli suoi, c’è questo strano elemento. Da vicino è anche bruttino, sembra uno scimmiotto. Mi guarda dritto negli occhi, vede che ho in mano il pennarello nero e la maglietta Aprilia già autografata da 15-20 piloti presenti in sala. Non se lo fila nessuno. Il suo sguardo vale più di mille parole, una firmettina la farebbe anche lui sulla t-shirt. Ci ragiono un attimo. “E’ no, con il cavolo che autografi la mia maglietta, non mi abbasso mica a chiedere la firma a questo soggetto qui anche più giovane di me. No, no, no, orgoglio adolescenziale, tanto, cara la mia voce da trombetta dove vuoi arrivare?!”. Venticinque minuti di fila, maglietta e bandana siglata da Doohan e questo Valentino Rossi ancora incollato alla poltrona solo come un cane. Sghignazzo con il mio amico, salutiamo la compagnia e ci fondiamo in macchina. Il breve viaggio di ritorno a casa è tutta una imitazione di quel ragazzino: “Ciao, mi chiamo Valentino, ahahahahahah…ci vuole un bel coraggio a farlo correre”. Nove titoli mondiali vinti, campione del mondo in quattro classi differenti, uno degli sportivi più conosciuti e ricchi del globo. Piaccia o non piaccia è e sarà sempre una bella fetta della storia motoristica planetaria. La trombetta oggi potrei anche infilarmela dove state pensando tutti. L’ho rivisto un’altra volta da molto vicino. A Bologna, Motor Show di qualche anno dopo. Completamente rasato stava scappando tra un padiglione e l’altro da un nutrito gruppo di fans. Me lo trovo di fronte, gli tengo aperta la porta vetrata: “Grazie, se qualcuno ti chiede qualcosa tu non mi hai visto girare qua dentro…”. Buffa la vita, come cambiano gli scenari in poco tempo. E bravo voce da trombetta, hai fatto la tua carriera, chi l’avrebbe mai detto in quel lontano dicembre del 1995.
Mattia Grandi
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