Calcio
Cose dell’altro…Calcio di Mattia Grandi – Ayrton Senna Tribute Edition
Sono passati vent’anni e sembra ieri. Ricordo l’elicottero librarsi in cielo, sorvolare la terrazza di casa e dirigersi verso Bologna, Ospedale Maggiore. Un volo pieno di speranza per quanto inutile. Nascere ad Imola significa imprimere nel proprio dna l’amore viscerale per i motori, due o quattro ruote poco importa. Tutta la mia infanzia è scandita dal rombo proveniente dal Ferrari. Interminabili ore scolastiche con quel continuo ronzio di sottofondo che trasformava il banco nell’abitacolo alla Tosa o alla Rivazza. Poi il circus, nel sempre piovoso mese di aprile, attraccava lungo le rive del Santerno, una settimana magica. Il verde rigoglioso di Viale Dante con le bancarelle, i parcheggi a pagamento, le code sulla Selice, le pizzerie stracolme, le automobili dei team davanti agli alberghi, gli adesivi, i cappellini, la scuola chiusa al sabato, la caccia ai piloti per l’autografo di rito, il gadget di Autosprint, il biglietto rigorosamente gratis perché uno di Imola non può pagare per andare alle corse. Un incantesimo tramutatosi in cinico maleficio nello spazio di un bastardo week end del ’94. Ho conosciuto Ayrton Senna ed ammetto, mio malgrado, che il mio personalissimo aneddoto è piuttosto spigoloso. Marzo 1994, test invernali dei principali team di F1 al Ferrari di Imola, i miei quindici anni. Un caro vicino di casa mi regala un pass di accesso al paddock, roba da extrasistole. Superare il cancello di accesso ad altezza Torre Marlboro significava in qualche modo varcare il confine tra mito e quotidianità. Trangugio un piatto di pasta al volo, prendo blocchetto e biro, inforco la mountain bike Bianchi e sono al circuito. C’è Schumacher l’astro nascente con la Benetton, Alesi e Berger i miei miti con la Rossa, Alboreto e Martini con la Minardi, Panis, Fittipaldi Jr., lo sconosciuto Ratzenberger con la Simtek e, ovviamente, Hill e Senna con la Williams. Inutile nascondersi, da tifoso ferrarista Ayrton incarnava una sana invidia sportiva, mica odio. Lui vinceva, la Ferrari no. Lui saliva sempre sul podio, centrava le pole, giri veloci, il cavallino rampante raccoglieva le briciole. Ayrton è dentro al motorhome della Williams piazzato davanti ai primi box lato Torre. La porta del motorhome è aperta. Il campione brasiliano è al telefono con un cellulare che oggi farebbe sorridere, grande quanto un telecomando con un’antenna lunga almeno venti centimetri. Le intercontinentali durano ore, mi apposto in attesa della firma, siamo in quattro persone. Senna esce dalla tana, gli piazzo il blocchetto sotto al naso e tira di lungo infilandosi nel box. C’è una ragazza con la bandiera brasiliana, un meccanico la nota, le chiede in prestito la “flag” che torna griffata dopo pochi minuti. Il copione si ripete nei giorni seguenti. Blocchetto sotto al naso, nada. Diventa una sfida, lui alla fine è il pilota più forte. Il venerdì conclusivo davanti al motorhome siamo io, un bimbo francese e suo padre. Ayrton scende le scalette, posa per la fotografia con il piccolo transalpino, la dedica di rito e arriva il turno del mio blocchetto. Ricordo quei dieci secondi con la minuzia di dettaglio di un cecchino. Senna prende in mano il blocchetto ed inizia a griffare alla velocità della luce, di sdegno, come per cavarsi da un impiccio. La gestualità è talmente repentina che la sfera della penna, non riesce, salvo piccoli tratti a posare sulla carta. L’autografo di Ayrton nel marzo ’94 è quello della foto allegata. L’ho conservato gelosamente, come una reliquia, avevo quindici anni e ci rimasi davvero male. Non ho mai compreso il motivo del suo perpetuato rifiuto in quattro differenti giornate. Ho perfino pensato che avesse captato la mia fede ferrarista. Nessuna folla sconfinata, io, Ayrton, il mio blocchetto e massimo tre persone. Boh. E’ un aneddoto, è il mio personalissimo incontro con uno dei più grandi campioni della storia della F1. Due mesi dopo, l’impatto alla curva del Tamburello, il vano volo con l’elicottero, il buio e la consapevolezza che nulla sarebbe stato mai più come prima. Anche per il mio blocchetto.
Mattia Grandi
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