Calcio
Enéas, il brasiliano triste che fece innamorare Bologna – 3 Ott
Enéas, il brasiliano triste che fece innamorare Bologna
Quel 27 Dicembre del 1988 si dice che ogni tifoso del Bologna versò una lacrimuccia. In seguito ai postumi di un incidente stradale, dopo quattro mesi di battaglia, si spegneva – a 35 anni ancora da compiere – la giovane vita di Enéas de Camargo, per il mondo del calcio semplicemente Enéas.
Aveva giocato a Bologna solo una stagione, 7 anni prima. Una stagione balorda per molti, anche se col senno di poi molti tifosi rossoblù finiranno per rimpiangere quel campionato 1980-81, l’ultimo giocato consecutivamente in A e precedente alla prima retrocessione della storia dei felsinei. Anzi, molti tifosi diranno, con l’avvicinarsi dell’estate dell’1982 e la Serie B dietro l’angolo, che allora non era colpa di Enéas, e che avevano fatto bene a rimanerci male quando la società aveva deciso di cederlo.
Enéas era arrivato a Bologna nell’estate del 1980, scatenando la fantasia della gente: bravo era bravo, anche di più. Rifinitore tecnicamente dotato, amante dei numeri e dei giochi di prestigio, era cresciuto in patria nella Portuguesa, dove si era piano piano imposto e con la quale aveva vinto, non ancora ventenne, il campionato Paulista.
Bologna e l’Italia rappresentavano per quel giovane talento, autore di ben 179 reti in 376 gare disputate in una posizione che stava tra il centrocampo e la linea d’attacco, una novità assoluta: mai era stato fuori dal suo Brasile, mai lontano dal caldo e dalle spiaggie pauliste.
Come detto, nella Portuguesa si era imposto piano piano: aveva addirittura abbandonato il calcio in giovane età, per poi essere convinto a tornare sui suoi passi dall’allenatore, lanciato dal tecnico Cilinho, che dichiarò di avervi visto subito il potenziale per diventare un trequartista con i fiocchi. E così accade, Enéas sbalordisce tutti tanto che dopo una sensazionale partita con il Corinthians, a cui mette in croce la difesa con il suo estro e la sua genialità, appena ventenne viene convocato in Nazionale: sarà un periodo che durerà poco, appena 3 presenze con 1 gol, ma si parla sempre della nazionale brasiliana, dove difficilmente si arriva se non si possiede talento. E poi arriva l’Italia, arriva Bologna.
Enea, sfuggito al massacro della Guerra di Troia, aveva raggiunto l’Italia e lì aveva gettato le basi del nostro popolo. Enéas, millenni dopo, raggiunge anche lui l’Italia destinazione Bologna, per essere “lo straniero” dei rossoblù: da quella stagione, infatti, le società italiane possono nuovamente comprare stranieri dopo un embargo decennale. La Juventus ha Liam Brady, la Roma Falcao, il Napoli Krol e l’Inter Prohaska. Il Bologna ha lui, quel brasiliano funambolo che fa sognare in grande. E l’inizio è promettente, è estate e Enéas si diverte: gioca bene, considerato che si parla sempre di un giocatore non abituato ai duri carichi di lavoro nostrani ne alle marcature decise e al limite della correttezza dei nostri difensori. Viene schierato in attacco, con libertà di svariare al fianco di Garritano, un altra bella meteora del calcio nostrano che quell’anno è il centravanti del Bologna. Piano piano le ambizioni dei rossoblù vengono ridimensionate, arriva l’autunno, poi l’inverno, e Enéas è stravolto da tutto quel freddo: scende in campo con guanti e calzamaglia, ma ovviamente non è la stessa cosa. Vede la neve per la prima volta nella sua vita, e ne rimane talmente affascinato da presentarsi, in una partita di Coppa Italia, vestito da Babbo Natale.
Tuttavia la neve che tanto lo affascina ne riduce drasticamente il potenziale, finisce per infortunarsi e quando ritorna non è più lo stesso: si scoprirà in seguito che non è stato curato bene, ma intanto le sue prestazioni in campo sono deludenti, considerato il talento che lasciava intravedere.
Eppure il problema non era Enéas, sosterranno i tifosi bolognesi: certo, a volte faceva delle cose impensabili, errori madornali, come quando sradicò il pallone dai piedi di un compagno lanciato a rete per poi inciampare e far sfumare l’azione. Ma ogni tanto, come un lampo nel buio, il suo talento, la sua abilità di palleggio, esplodeva, “ed allora avevi l’impressione che fosse il resto della squadra a non riuscire a stargli dietro”, mi raccontò un tifoso del Bologna di una certa età. Insomma, Enéas non era un fenomeno, ma nemmeno il bidone che per anni è stato dipinto da chi ne aveva una conoscenza superficiale.Certamente poco adatto al calcio italiano, certamente infreddolito e malinconico, ma i tifosi del Bologna lo amarono e lui ricambiò, mostrando alcuni sprazzi di grande calcio.
Quella stagione i rossoblù la concluderanno al settimo posto, che sarebbe stato un quinto senza i cinque punti di penalizzazione figli delle vicenda del primo calcioscommesse.
Il merito è di Luigi Radice, che a fine stagione lascia per andare al più blasonato Milan: al suo posto arriva la gloria nazionale Burgnich, che non vede come un talento discontinuo e poco abile nel pressing come Enéas possa essere utile alla causa. Così il brasiliano viene scambiato con l’Udinese, arriva Neumann e con il tedesco in attacco e Burgnich in panchina il Bologna retrocede per la prima volta nella sua storia. Enéas, dal canto suo, Udine la vede solo in cartolina, venendo ceduto immediatamente dai friulani al Palmeiras.
Il ritorno in Brasile non rilancia la carriera di Enéas, anzi l’affossa definitivamente. Mai guarito da quell’infortunio al ginocchio rimediato in Italia, l’allenatore Carlos Alberto Silva non lo vede ne lo aspetta. Gioca pochissimo, e da allora è una discesa verso il basso, verso squadre minori che lo allontanano dai riflettori: eppure Enéas sembra felice, ama il Brasile e vede contenta la moglie, che soffriva in modo indicibile di saudade nella loro esperienza in Emilia. Conclude la carriera nel 1987, ad appena 33 anni, e si reinventa nel settore di marketing e pubbliche relazioni. Purtroppo dura poco, l’agosto del 1988 sulla sua strada c’è un camion, non riesce ad evitarlo – qualcuno dirà per via dell’alcool, un vizio di sempre – si schianta con l’auto e come detto a inizio articolo dopo quattro mesi di coma muore. Se ne va così un talento incompreso ma soprattutto una persona buona, allegra e goliardica, capace di grandi errori come di grandi gesti tecnici e che con tutta la sua carica di umanità e simpatia seppe conquistare, in una sola stagione, tutta Bologna.
Che quel giorno d’inverno del 1988 lo pianse come un figlio.
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