Calcio
EuRoad. Episodio 3: Euro 2012
Un’Italia commovente, capace di conquistare i cuori dei tifosi, si arrende a una Spagna irreale. Il teatro? L’improbabile cornice di Polonia e Ucraina. L’occasione? Lo straordinario europeo del 2012.
Fa caldo. Caldissimo. L’ondata di calore che colpisce l’Europa meridionale viene percepita soprattutto in Italia. L’estate del 2012 arriva come un macigno bollente nelle case di milioni di italiani. Ventilatori accesi, bibite con ghiaccio e un costante tentativo di ottenere un soffio di aria fresca. Il 2 luglio, la Stazione meteorologica di Treviso Istrana misura la temperatura di 38,2 gradi Celsius. Dalle casse dei bar e degli stabilimenti balneari esce sempre la stessa voce. Un po’ plasticosa, remixata fino allo sfinimento, unita al caldo la hit estiva del rapper americano Flo Rida dice proprio estate: Can you blow my whistle baby, whistle baby Let me know.
Avete presente, no? Ma in una stagione che suda e trasuda Italia così tanto manca qualcosa. Manca un evento che dia senso a quelle settimane tra giugno e luglio, qualcosa che unisca famiglie e amici davanti al televisore. E quel qualcosa c’è. Perché tra l’8 giugno e il 1 luglio 2012 in due paesi forse un po’ improbabili, ma perfettamente inseriti nel pianeta calcio va in scena il campionato europeo.
Dopo aver attraversato il passato lontano, riavviciniamoci al presente, tramite i fasti di un passato più prossimo.
Bentornati a Euro 2012.
Euro 2012: dove e perché
L’organizzazione del campionato europeo del 2012 se la sobbarcano due federazioni. Non una novità per la UEFA che dal 2000 ha sdoganato questa possibilità e, per la terza volta in quattro edizioni, compie la stessa scelta. Polonia e Ucraina si assicurano l’organizzazione del torneo a sorpresa. Tutti, ad aprile 2007 al momento della votazione, davano per favorita l’Italia, forte di una grande tradizione oltre che di un programma molto dettagliato.
Ma a febbraio, durante uno scontro tra gli ultras di Palermo e Catania, muore l’ispettore di polizia Filippo Raciti. Viene scritta una pagina tristissima del nostro calcio e la votazione, in programma pochi mesi dopo, emette un altro verdetto: gli europei si giocheranno in Polonia e Ucraina.
Euro 2012 è l’ultima edizione ancora a 16 squadre. E ciò rende ancora più affascinante la competizione perché l’impressione è di essere di fronte ad un torneo d’elite. Le grandi ci sono tutte. E sono equamente distribuite nei vari gruppi.
Gironi A e B: l’exploit greco e lo strapotere tedesco
L’unico che appare meno di livello è il Girone A, quello della Polonia. Insieme ai padroni di casa c’è la Russia che ha martorizzato gli Azzurri nell’amichevole pre europeo. Un 3-0 che fa davvero preoccupare l’opinione pubblica sul nostro grado di preparazione al torneo. Sulla panchina degli Orsi siede Dick Advocaat, ex assistente di Rinus Michels e allenatore giramondo.
La sua è una buona Russia. Batte 4-1 la Repubblica Ceca nella prima partita, pareggia 1-1 con i polacchi alla seconda e perde con la Grecia nell’ultima gara e, per effetto dello scontro diretto proprio contro gli ellenici, va incontro a una bruciante eliminazione.
Ma restiamo in Grecia. La Nave pirata è un’ottima squadra. Il CT è il portoghese Fernando Santos, che deve fare i conti con la pesante eredità lasciata da Otto Rehhagel, l’eroe della storica vittoria del 2004. I reduci dell’impresa sono il capitano Karagkounis e Katsouranis. Ma ci sono altri giocatori di talento nella squadra. Samaras, ad esempio. Attaccante tecnico e veloce, a dispetto dell’altezza. Oppure Torosidis, terzino restato nei cuori dei tifosi giallorossi, più per l’impegno che per l’effettivo livello delle doti pedatorie, come avrebbe detto Gianni Brera.
I greci rispettano la propria tradizione di squadra tignosa: inchiodano la Polonia sull’1-1 nella gara inaugurale. A Lewandowski risponde Salpingidis. La partita è durissima: nel primo tempo Papastathopoulos viene espulso dall’arbitro Velasco per un discutibile fallo da secondo giallo. Nella ripresa la Grecia, in dieci, prima trova il pari, poi spreca un calcio di rigore. Szczęsny viene espulso e Fabianski ipnotizza Karagounis dal dischetto.
Nella seconda gara gli ellenici hanno un piede fuori dalla competizione. La Repubblica Ceca è avanti 2-0 al 10’ e Gkekas riesce solo a dimezzare lo svantaggio. Ma, come abbiamo visto, nell’ultima gara avviene il miracolo e la Grecia stacca il pass per i quarti di finale a braccetto con i cechi.
Il Girone B è un’altra cosa. C’è una squadra a farla da padrone. Una squadra nota per il proprio cinismo e per la propria freddezza. Una squadra che nel gruppo della morte fa 9 punti senza lasciare la minima speranza alle altre formazioni.
Non avete ancora capito? Allora diciamo così. Semifinalista nel 2006, finalista nel 2008 e semifinalista nel 2010. Esatto. Accesa la lampadina. La Germania sta per raggiungere l’apice del suo percorso. Per talento la formazione tedesca è seconda forse solo alla Spagna. La squadra di Joachim Loew nella fase a gironi è una schiacciasassi. 1-0 al Portogallo, 2-1 all’Olanda e 2-1 alla Danimarca.
“Mah, non mi pare proprio un rullo compressore…” Direte voi. Forse per i risultati può non sembrare, ma è importante tenere conto di alcuni aspetti: punto 1, la Germania è l’unica squadra dell’europeo a vincere a punteggio pieno il proprio gruppo; punto 2, lo fa in un girone formato dall’ultima finalista mondiale e dalla squadra con il più forte giocatore europeo, senza dubbio, e del mondo per alcuni; punto 3, la Germania non è mai stata una squadra da goleade, a cosa servono? Le vittorie valgono sempre tre punti. E la Germania ne fa 9.
Per il secondo posto, ai blocchi di partenza, sembra essere una lotta a due con la Danimarca apparentemente fuori dai giochi. Ma non va così. I danesi battono a sorpresa l’Olanda nella prima gara e si arrendono di misura a Portogallo e Germania. La squadra di Paulo Bento cancella gli Orange con una doppietta di Cristiano Ronaldo e si qualifica. Il girone della morte termina così senza pareggi e la classifica è scolpita nella pietra: Germania 9 – Portogallo 6 – Danimarca 3 – Olanda 0.
Inghilterra e Francia passano il turno, ma non brillano
E le altre grandi? La Francia ad esempio? La nazionale transalpina vive un momento di profondo ricambio generazionale. Dopo la finale persa nel 2006, i Galletti hanno steccato tutte le competizioni. Fuori ai gironi nel 2008, ancora per mano nostra. L’Italia di Donadoni è anche lei una squadra in transizione, ma Pirlo e De Rossi fanno 2-0 e passiamo noi.
Fuori ai gironi nel 2010, dopo essersi qualificati con un gol che ancora grida allo scandalo, in un gruppo tutto sommato abbordabile con Sudafrica, Messico e Uruguay. Ma sul mondiale sudafricano pende l’onta dell’ammutinamento interno. La federazione squalifica Anelka per uno scontro verbale con Domenech in spogliatoio, la notizia esce e la nazionale smette di allenarsi. Un caso ai limiti del grottesco. Nel 2012 in panchina c’è Laurent Blanc. Anche matematicamente siamo perfettamente nel mezzo tra l’ultimo inglorioso valzer di Zidane in maglia bleu e la vittoria del mondiale del 2018, per cui è fisiologico che la squadra non sia nel suo miglior momento.
Nella prima gara del Girone D con l’Inghilterra fanno 1-1. Un pari per non farsi male. Battono l’Ucraina 2-0 con le reti di Menez e Cabaye, a dimostrazione che il talento c’era, ma mancava il resto. E perdono l’ultima con la Svezia. In qualche modo passano il turno, ma non andranno tanto lontano.
Quell’edizione dell’europeo passa alla storia per un’innovazione arbitrale delle più discusse: gli arbitri di porta. Un esperimento voluto dalla UEFA per limitare i gol fantasma e aiutare l’arbitro di campo sui contatti in area. La prova fallisce con l’avvento del VAR, lasciandosi dietro una scia fatta di polemiche. Una di queste trova grande risonanza mediatica in questo europeo.
Il Girone è proprio il D della Francia. Oltre ai Bleus ci sono gli svedesi che, perdendo la prima gara con l’Ucraina, arrivano alla sfida con l’Inghilterra già al dentro o fuori. La partita è bellissima. L’Inghilterra passa in vantaggio con imperioso colpo di testa di Andy Carroll, servito da un lancio telecomandato di Gerrard. Gli inglesi attaccano, vogliono fare la differenza. Ma ad inizio ripresa la Svezia trova il pari al termine di un flipper in area di rigore il cui ultimo, sfortunato, tocco è di Johnson. E l’inerzia della partita si capovolge, ora sono gli svedesi ad offendere e, intorno all’ora di gioco, completano la rimonta. Punizione splendida di Larsson e Mellberg incorna per il 2-1. Finita? Neanche per sbaglio. Passano cinque minuti e Walcott con una botta da fuori trova il nuovo pareggio. La Svezia accusa il colpo e l’Inghilterra la vince con Welbeck.
Ma è nella gara con l’Ucraina, sull’1-0 che arriva l’episodio incriminato. L’errore è macroscopico: il tiro di Devic sembra destinato alla rete, così sarebbe se non fosse per la spaccata di Terry che sembra salvare. Ma al replay è evidente. La palla è dentro. Per intero.
In qualche modo le due grandi passano il turno.
La Spagna è un’armata, ma l’Italia c’è
A questo punto del racconto mancano due squadre: una è la Spagna, che è la protagonista della nostra storia. E l’altra è l’Italia. Le troviamo tutte e due nel Gruppo C.
Le altre due compagini sono entrambe, a loro modo, complicate da affrontare.
Una è la Croazia. L’allena un uomo di un’intelligenza rara nel mondo del calcio: Slaven Bilic. La sua squadra è forte, ma non abbastanza matura. Dovremo aspettare ancora qualche anno per vederla al top, quando centrerà la prima finale della sua storia con Zlatko Dalic in panchina.
L’altra è l’Irlanda. Qui per l’uomo che c’è in panchina dobbiamo fare un inchino. È un ragazzo di settantatrè anni, con la battuta sempre pronta e un nome segnato per sempre nell’albo delle leggende del calcio italiano. È Giovanni Trapattoni. La sua Irlanda non va lontano, perde 3-1 la prima con i croati e il 4-0 che gli infligge la Spagna vuol dire già eliminazione. E noi?
Noi non male con la Spagna. Facciamo 1-1. E resteremo anche l’unica squadra a mettere sotto gli iberici nel punteggio. Minuto 60. Pirlo inventa e segna Totò di Natale. Non facciamo neanche in tempo a esultare che questi vanno in porta. Triangolo Iniesta, David Silva, Fabregas. Gol. Sembra troppo facile. Ma reggiamo.
Con la Croazia benino. Ancora 1-1. Ancora in vantaggio noi. Stavolta Pirlo dipinge un calcio di punizione che non è un tiro, è un’opera d’arte. Quasi sporcato nella sua maestosità dal goffo intervento di Pletikosa. Ma non siamo attenti dietro e Mandzukic pareggia. A questo punto arriviamo all’ultima gara del girone con pochissime certezze. La Spagna può permettersi di pareggiare con la Croazia per arrivare appaiata a cinque punti.
Noi dobbiamo battere l’Irlanda per raggiungere lo stesso punteggio e, stando così la situazione, dovremmo vincere con almeno tre gol di scarto per essere certi di passare. Il biscotto non è lontano nella nostra memoria, la paura c’è. È inutile negarlo.
Ma, dopo un po’ di normale tensione iniziale, la partita scorre nella giusta direzione. Prima Cassano ci porta in vantaggio. Poi, nel finale, Balotelli segna il gol che sarebbe il manifesto del suo calcio se non fosse che pochi giorni dopo, a Varsavia, ne segnerà uno ancora più rappresentativo. Dall’altra parte la Spagna non fa scherzi. Dobbiamo aspettare fino all’88’ minuto, ma Jesus Navas fa 1-0 e ci porta virtualmente ai quarti.
Quarti di finale
Che quarti di finale. Regali, se volete. Su otto squadre, sei hanno già vinto l’europeo almeno una volta. Le altre due sono il Portogallo, che lo vincerà quattro anni dopo, e l’Inghilterra. Gli inglesi non hanno mai vinto un europeo e l’ultimo, e unico, mondiale l’hanno vinto quasi cinquant’anni prima. Ma nessuno li vuole mai incontrare. E li becchiamo noi.
Il Portogallo incontra la Repubblica Ceca. I cechi non sono una squadra fenomenale, ma sono solidi. A difendere i pali c’è uno dei tre portieri più forti al mondo in quel momento: Peter Cech, con il suo inconfondibile caschetto. E a centrocampo hanno una promessa incompiuta del calcio anni 2000. È elegantissimo. Le sue sventagliate di esterno sono da enciclopedia del pallone. Ha una visione di gioco sopraffina e una capacità di intuire i movimenti dei compagni raramente vista da quelle parti. Con un altro fisico il Piccolo Mozart poteva tranquillamente essere uno dei cinque trequartisti più forti della sua generazione. È Tomas Rosický. Ma il Portogallo non fa sconti. 1-0 Ronaldo e i cechi vanno a casa.
Il dominio tecnico di Spagna e Germania
Il 23 giugno a Danzica va in scena Spagna-Francia. Dei francesi abbiamo detto, ma quella Spagna? A mio modo di vedere la Roja del 2012 è ancora più forte di quella campione del mondo due anni prima. E questa differenza la fa un giocatore spesso sottovalutato nell’ecosistema di quella squadra iper talentuosa. Sarebbe troppo facile parlare di Iniesta o di Xavi. Fin’anche di Xabi Alonso, che contro la Francia fa doppietta senza che i transalpini possano neanche provare a contendere un posto in semifinale.
No. L’uomo in più delle Furie Rosse in quel torneo è David Silva. Un giocatore strepitoso. Convocato sì nel 2010, ma gioca solo due spezzoni. All’europeo è centrale. Formalmente fa l’ala destra, ma è ovunque sul campo. Una capacità di dettare il ritmo della partita incredibile. Lo trovi tra le pieghe della gara a verticalizzare, ma allo stesso tempo funge da centrocampista di inserimento. Dà del tu al pallone come pochi e spesso e volentieri va al tiro. Nella gara con la Francia fa una prestazione così così, ma i Galletti non ci sono. 2-0 e semifinale, quasi senza sforzo.
Il quarto di finale che va in scena il 22 giugno a Danzica si inserisce perfettamente nel momento storico del Vecchio Continente. La crisi economica che colpisce l’Europa ha una vittima su tutte: la Grecia.
Con la disoccupazione a maggio dello stesso anno che si attesta intorno al 20%, gli ellenici hanno poco da sorridere. E l’avversaria dei quarti di finale è, manco a dirlo, la Germania.
La squadra politica tedesca ha come capitano, o forse come allenatore, una signora non molto simpatica, ma dotata di un carisma sconfinato. È cresciuta nella campagna berlinese, ma a est del muro. Lo stile è senza fronzoli, quindi. Fa Angela di nome e Merkel di cognome, e negli ultimi mesi sta guidando l’Unione Europea in una delle fasi più delicate della sua storia. E bacchettare, si fa per dire, i greci è un aspetto molto importante della sua professione. Sul campo di calcio non va tanto diversamente. La squadra di Santos regge per un’ora. Lahm apre le marcature con gran gol dalla distanza al 39’, pareggia Samaras al 55’. Ma il colpo al volo di Khedira, sei minuti dopo, spegne l’entusiasmo ellenico.
I tedeschi dilagano. Finisce 4-2, con il rigore di Salpingidis a un minuto dal recupero che serve solo per rendere meno amara la sconfitta.
Quindi la prima semifinale sarà Portogallo – Spagna e la seconda tra Germania e la vincente di Inghilterra – Italia.
Italia grande e fortunata, Spagna solo fortunata
Il 24 giugno, a Kiev, l’Italia arriva con consapevolezza. L’Inghilterra è in una fase un po’ interlocutoria della sua storia. Il talento c’è, ma il distacco tecnico tra le grandi d’Europa sembra incolmabile. Non siamo favoriti, ma possiamo giocarcela. E non solo ce la giochiamo. Dominiamo ininterrottamente per 120 minuti. La supremazia è talmente evidente da non sembrare reale. Prendiamo due pali. Il primo è al 3’ con De Rossi che lascia partire un tiro al volo da trenta metri che fa tremare ancora il montante. Se le premesse sono queste… Ma il gol non arriva. Ci proviamo in tutti i modi. Hart si traveste da Superman, Balotelli delude ancora una volta. Ai supplementari ci vediamo pure annullare, giustamente, un gol di Nocerino per un fuorigioco netto. Insomma. Si va come non volevamo finisse. Ai calci di rigore.
Partiamo noi. Balotelli è perfetto: incrocia il destro, Hart intuisce, ma non basta. Risponde Gerrard. Rigore pressoché identico e il risultato è il medesimo. Poi dagli undici metri va Riccardo Montolivo. Il suo è un rigore giusto nelle intenzioni, ma angola troppo. Fuori. A questo punto le strade della memoria del calcio italiano di solito si fanno intricate. Se sbagliamo per primi, di solito perdiamo. Ce lo insegna la storia. Ma l’errore di Montolivo non ha l’impatto emotivo di Baresi nel ‘94 o di Donadoni nel ‘90. No. La memoria riporta ad un altro calcio di rigore fuori. Molto simile nelle fattezze. Quando Antonio Cabrini calcia fuori nella finale del mundial ‘82, quell’errore non mina le nostre certezze. Siamo più forti. È solo un incidente di percorso.
E così va. Rooney segna perché è un campione, ma da lì in poi è solo un’onda azzurra. Dal dischetto va Andrea Pirlo. Ha giocato un europeo indescrivibile. Ci ha preso per mano nei momenti più difficili con la sua classe e la sua eleganza. In seguito dirà che vedeva Hart troppo sicuro e voleva fargli abbassare le ali. Detto fatto. Cucchiaio. L’inerzia della sequenza si capovolge. Non possiamo più perdere. Ashley Young calcia con paura e centra la traversa. Nocerino è glaciale e riequilibra la situazione.
Spesso si è detto che Gigi Buffon non era un pararigori. Ma non è vero. Buffon è stato un portiere così straordinario che questo appellativo gli stava stretto, ma Gigi ne parava di rigori. Eccome. Quello di Ashley Cole non è granchè e il portiere azzurro la blocca.
E adesso sul dischetto si presenta un personaggio chiave di questo incredibile viaggio.
Nella storia azzurra non è mai esistito un giocatore così. Uno con un battito cardiaco diverso, di talento certo, ma con uno stigma un po’ casereccio. Un giocatore divertente, ma soprattutto divertito. Frizzante, ma sempre a servizio della squadra. Un po’ alla Schillaci, ma non così trascinatore. Prandelli al 78’ ha deciso che è arrivato il suo momento. E si è subito messo all’opera. Ha colpito un palo e ha servito l’assist per il gol poi annullato a Nocerino. E adesso è il suo turno di calciare. Mentre si avvia, Pirlo lo guarda e gli dice: “Faglielo anche tu lo scavetto.” E il nostro giocatore, che risponde al nome di Alessandro Diamanti, risponde: “Ma che sei matto? Non sono mica te, io ho fatto 200 partite di C eh…”
Te lo diciamo noi Andrea, va bene lo stesso. Palla da una parte, Hart dall’altra. Siamo in semifinale.
La prima semifinale
E per decidere la prima finalista di Kiev ci vogliono ancora una volta i tiri dal dischetto. I 120 minuti di Portogallo Spagna sono noiosissimi. I lusitani riescono a ingabbiare il tiki-taka spagnolo con una prestazione difensiva di altissimo livello. Poi dal dischetto, però, contano altri fattori. E gli errori di Joao Moutinho e Bruno Alves rendono ininfluente la parata di Rui Patricio su Xabi Alonso. In finale ci vanno ancora una volta le Furie Rosse.
L’altra semifinale è una vera e propria classica del calcio europeo. Che Italia Germania non sia una partita come le altre non lo si scopre certo quel giorno. E ad aggiungere pepe a una rivalità già di per sé sentitissima ci si mette anche la politica. Nello stesso giorno in cui si gioca la semifinale, sull’ostico campo di Bruxelles va in scena il primo atto della sfida. La Cancelliera di ferro, di cui abbiamo decantato poc’anzi le meritate lodi, incontra il nostro Primo Ministro, Mario Monti in un delicatissimo vertice europeo sullo scudo antispread. Questioni economiche che si fondono con la rivalità calcistica. Ma se in Belgio soffriamo, è innegabile, a Varsavia va diversamente.
Ancora una volta è Italia – Germania
Quella è l’Italia di Cesare Prandelli. Una squadra che si fonda sul blocco juventino dietro, fresco vincitore del primo Scudetto dell’era Conte, su un centrocampo meraviglioso e su uno, spumeggiante quanto improbabile, duo d’attacco. Antonio Cassano, ma soprattutto Mario Balotelli. Il nostro numero 9 ha sempre convissuto con l’etichetta di campione limitato dal carattere e in quella competizione ha, fino alla semifinale, deluso le aspettative. Evanescente con Spagna e Croazia, ha sì segnato contro l’Irlanda, ma ci si aspetta di più da lui. L’Italia intera si aggrappa al suo centravanti. Come un innamorato sconfortato, ma che non smette di crederci. E stavolta facciamo bene.
I tedeschi sono una gran squadra. Hanno vinto tutte e quattro le partite, ma ben al di là di questo sono più forti. Ma ci soffrono. Quando ci hanno incontrato in una gara ad eliminazione diretta hanno sempre perso. Ricapitoliamo? Perché no dai, è sempre un piacere. 1970, semifinale mondiale, vinciamo 4-3 nella Partita del Secolo. 1982, finale mondiale, 3-1 senza appello. Campioni del mondo per tre volte, grida Martellini. 2006, semifinale mondiale, non avete bisogno. E ora all’europeo. Fischio d’avvio a Varsavia. Si parte.
Partono meglio loro. Attaccano forte. Ci salviamo prima con Pirlo sulla linea e poi con una bella parata di Buffon. Ma poi gli Azzurri si scrollano di dosso la tensione e cominciano a macinare gioco. Al 20’ Cassano lavora un bel pallone sulla sinistra. Il talento barese è spalle alla porta, Boateng prova ad anticiparlo, Hummels tenta di chiudere la morsa, ma Fantantonio elude il raddoppio e mette dentro un cross magnifico. Balotelli salta in testa a Badstuber che si vede planare sopra questo cacciabombardiere travestito da attaccante. Il colpo di testa è un inno allo strapotere fisico. 1-0.
Ma i tedeschi sono la squadra mentalmente più forte, ce lo dice la storia. Riprendono ad attaccare, ancora più furiosamente di prima. Khedira fa partire un missile con una traiettoria stupenda. Buffon c’è.
E proprio dal conseguente calcio d’angolo il nostro portiere smanaccia come può. La palla arriva a Montolivo che porta su la sfera e, quasi improvvisamente, verticalizza. Nello spazio c’è Balotelli che è scattato in posizione regolare.
Il gol è incredibile. Certo che la sassata all’incrocio rimane scolpita nella nostra memoria, ma è pazzesca anche la capacità di Supermario di controllare. La palla non gli arriva sulla corsa. Balotelli, spalle alla porta, ha l’intelligenza per lasciarla scorrere. Non perde tempo a stoppare, ma sfrutta il rimbalzo per ricoordinarsi e andare in accelerazione. Lahm non lo può prendere. È uno contro uno con Neuer che non esce, lo sfida al tiro. E Mario non si fa pregare. “È una statua d’ebano che si sta stagliando nel cielo di Varsavia!” Urla Francesco Repice ai microfoni di Radio Rai, incorniciando così una delle fotografie più belle della storia azzurra.
Nella ripresa la Germania ci assedia e noi non riusciamo a chiudere la partita in contropiede. Rischiamo di pagare questa mancanza di lucidità, quando al 92’ Ozil fa 1-2 dal dischetto per un ingenuo fallo di mano di Balzaretti. Gli ultimi tre minuti sono agonici. Ma al triplice fischio in finale ci andiamo noi.
Un triste finale per l’Italia, un trionfo per la Spagna
E sarebbe bello concludere questa storia qui, lasciando sospesa la narrazione di un europeo incredibile prima della finale. Perché la finale di Kiev è una ferita difficile da rimarginare. Per dovere di cronaca lo diciamo: finisce 4-0. Ma realmente non c’è mai partita. Prandelli cambia assetto tattico rispetto alla gara del girone. Via il 3-5-2 e dentro il 4-4-2 con centrocampo a rombo. Col senno di poi paghiamo per tutta la durata della partita l’inferiorità numerica a centrocampo. Gli spagnoli arrivano da tutte le parti. Nel primo tempo segnano David Silva e Jordi Alba. Nella ripresa proviamo timidamente a reagire, ma il colpo di grazia arriva al 60’ quando Thiago Motta, entrato da tre minuti, si fa male a cambi esauriti e rimaniamo in dieci. Nel finale Torres e Mata arrotondano il punteggio. La Spagna è campione d’Europa per la seconda volta consecutiva.
Ma ben oltre la sconfitta, oltre le lacrime amare degli Azzurri, resta scolpito nella memoria di ognuno di noi il calcio della Spagna. Capace di vincere due europei e un mondiale per un quadriennio così spettacolare da essere ai limiti dell’assurdo.
Una nidiata di calciatori sensazionali, in grado di modificare il modo di concepire e percepire lo sport più bello del mondo.
Non poteva finire diversamente. Neanche contro un cuore collettivo tinto di azzurro.
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