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Calcio

EuRoad. Episodio 5: Euro 2020. Prima parte

In questa prima parte del viaggio di Euro 2020, andremo a raccontare i successi e le sconfitte, girone per girone.

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Fa caldo. Non è una novità nelle estati italiane quel caldo che ti prende e rende appiccicoso qualunque vestito. Ma in quella precisa estate c’è un’aggiunta alla tua sensazione di fastidio: quella perfida mascherina che devi indossare nei luoghi chiusi. Nei negozi, sull’autobus e poi non aspetti altro che levartela e sentire un po’ di quell’aria non fresca, ma almeno vera, reale e non vincolata da quel materiale a metà tra la plastica e il tessuto. E per gli italiani, in quell’estate, c’è anche un altro evento. In un contesto in cui la sofferenza ha davvero dilagato ovunque, se Arrigo Sacchi ha ragione, e almeno a suo dire ce l’ha spesso, il calcio è la cosa più importante delle cose meno importanti.

E a noi italiani in quei mesi infernali è forse mancato più di altro. Sommate che l’Italia non partecipa a una competizione internazionale di livello dal 2016, beh in quell’estate la voglia di azzurro pervade l’aria del nostro paese. Come una lucida allucinazione. Se siete qui sapete anche come va a finire, ma provate per un attimo a tornare a quell’inizio di giugno. Provate a ricordare com’era elettrica l’atmosfera. Come se qualcosa stesse per succedere. E succederà.

Bentornati a Euro 2020.

Un europeo itinerante

I campionati europei del 2020 si giocano, in realtà, nell’estate del 2021 per ovvi motivi riguardanti la pandemia. In Italia, come nel resto del mondo, la sofferenza è onnipresente. Si fa fatica a non parlarne, tutto ci ricorda cosa stiamo vivendo. Sembra un incubo senza fine. Ma poi le cose cominciano piano piano a migliorare, si comincia vedere la luce alla fine di questo orribile tunnel.

E il calcio, spesso metafora della vita, va di pari passo. Gli stadi, per un aberrante biennio, sono stati totalmente vuoti, dando un senso di vuoto a chi guardava. Il calcio è della gente.

Nel 2012 la UEFA non è soddisfatta delle candidature e, di conseguenza, abbraccia il progetto Euro for Europe, sancendo il via del primo trofeo per nazioni itinerante.

La scelta non poteva tenere conto della pandemia e, quasi sette anni dopo, appare come uno strano scherzo del destino. Ma il progetto resta e, seppur con un anno di ritardo, si parte. Per la prima volta le squadre partecipanti sono 24, divise in sei gironi e, per forza di cose, alla fase ad eliminazione diretta verranno ripescate anche le quattro migliori terze.

L’Italia domina il girone; il grande spavento per Eriksen

Il Gruppo A è quello dell’Italia.

Gli Azzurri sono senza ombra di dubbio la squadra più forte del girone, ma un po’ i trascorsi recenti un po’ la scaramanzia ci impongono cautela. Sbagliamo. Siamo una macchina da guerra. 3-0 alla Turchia nella gara inaugurale e 3-0 alla Svizzera per assicurarci il passaggio del turno.

Non diamo mai l’impressione di poter andare in difficoltà. Giochiamo a Roma, in uno stadio ancora con tifosi distanziati, ma caldissimi. La nostra squadra è letteralmente trascinata, si crea una scena di fervore popolare che, forse, non si vedeva da Italia ‘90.

Gli Azzurri fanno gruppo attorno al condottiero in panchina: quel Roberto Mancini che con la maglia della nazionale aveva sempre fatto fatica da giocatore, si rifà con gli interessi in giacca e cravatta. La sua squadra gioca un calcio strepitoso, battiamo anche il Galles in un sonnacchioso 1-0 e ci qualifichiamo a punteggio pieno.

Non succedeva da Euro 2000, mondiali compresi. Ci sono formazioni più attrezzate, ma gli altri cominciano ad accorgersi di noi.

Le altre due che raggiungono gli ottavi sono Svizzera e Galles che non si fanno male alla prima e poi si sbarazzano senza difficoltà della Turchia.

Il Gruppo B non ha un tasso tecnico elevatissimo, ma è molto equilibrato.

Il Belgio è indubbiamente la potenza del girone. I Diavoli Rossi sono probabilmente all’ultima chiamata. La generazione d’oro che di cui il mondo si è accorto probabilmente intorno al 2014 è ormai sul viale del tramonto. Ai De Bruyne, Lukaku e Courtois ancora in piena forma si sommano i vari Hazard, Vertonghen e Mertens ormai nella fase calante della propria carriera. Ma il girone è agevole e la squadra di Roberto Martinez fa en-plein.

Più serrata appare la lotta per il secondo posto, soprattutto alla luce di ciò che accade il pomeriggio del 12 giugno.

Allo Stadio Parken di Copenaghen scendono in campo le formazioni di Finlandia e Danimarca. Il punteggio è ancora fermo sullo 0-0 quando, al 43’ accade l’imponderabile. Il centrocampista dell’Inter e stella indiscussa della Danimarca, Christian Eriksen, si accascia a terra, privo di sensi. La paura pervade lo stadio e al giocatore, colpito da un improvviso quanto repentino arresto cardiaco, viene praticato un tempestivo massaggio cardiaco. L’aria è pesantissima, l’atmosfera di terrore non ha nulla a che vedere con lo sport.

Eriksen viene trasportato d’urgenza all’ospedale dove gli viene installato un defibrillatore cardiaco.

La partita viene sospesa per qualche ora finché non viene dato l’annuncio: il giocatore è fuori pericolo.

La gara, che deve sottostare al calendario stringente di una kermesse per giunta itinerante, riprende, ma ovviamente la squadra danese è troppo scossa e perde, contro pronostico, per 1-0. Ma da lì in avanti qualcosa di mistico pervade quello spogliatoio, guidando i giocatori a una cavalcata impensabile. La squadra di Kasper Hjulmand perderà anche con il Belgio, ma all’ultima giornata travolge la Russia regalandosi un insperato pass per gli ottavi di finale.

Olanda e Inghilterra: avanti facilmente; la Macedonia non fa l’impresa

Il Girone C appare fin da subito un gruppo in cui i rapporti di forza sono ben delineati.

L’Olanda, dopo sei anni di buio, torna alla ribalta internazionale con una squadra di assoluto livello. In panchina c’è una personalità nota dalle nostre parti. Quel Frank De Boer, che tanto male aveva fatto alla corte dell’Inter, guida una formazione di grande talento. Forse non ancora sufficientemente maturi e privi del proprio capitano e leader Virgil Van Dijk, gli Orange chiudono il girone a punteggio pieno. 3-2 all’Ucraina; 2-0 all’Austria; 3-0 alla Macedonia del Nord. Un passaggio del turno mai in discussione.

Ma in quello stesso gruppo, le storie che s’intrecciano nel formare la matassa emozionale dello sport sono tantissime. Avrete notato, per esempio, la presenza di un’esordiente di eccezione: la Macedonia del Nord.

La Legione di Alessandro fa 0 punti nel girone, ma già il fatto di esserci rende l’impresa meritevole di un racconto. I macedoni staccano il biglietto per l’europeo agli spareggi e a realizzare il gol della qualificazione, nella finale contro la Georgia, è Goran Pandev che chiude un meraviglioso triangolo in area di rigore e conquista l’Europa che conta con un tocco di destro che vale una festa nazionale. Come un moderno Alessandro Magno.

Che giocatore Goran Pandev. Vent’anni in Italia, intervallati da una breve parentesi turca con la maglia del Galatasaray, atipico nel suo essere molto tecnico, ma allo stesso tempo vero opportunista. Non centravanti, non trequartista, ma splendido ovunque sul fronte d’attacco. Dodicesimo uomo decisivo nell’Inter del triplete, ma anche splendido interprete nel Napoli di Mazzarri.

Capitano e uomo simbolo della propria nazionale, aveva annunciato il ritiro dalla scena internazionale, salvo poi ritrattare per guidare la sua squadra alla prima storica partecipazione a un campionato europeo.

Come detto, quella Macedonia non andrà lontano. A passare il turno sono l’Austria e l’Ucraina, dietro all’Olanda.

Affascinanti incroci anche nel Girone D. Inghilterra e Croazia danno vita, già alla prima giornata, alla rivincita mondiale di tre anni prima. I Sudditi di Sua Maestà vincono di misura grazie a un gol di Sterling che, dopo un pareggio a reti bianche con la Scozia, bissa e regala il primo posto ai suoi. La nazionale di Southgate non brilla, ma è concreta.

Al contrario la Croazia è più elettrica, ma racimola solo 4 punti. Merito anche di una Repubblica Ceca sorprendere che si qualifica agli ottavi anche grazie alla vittoria sugli scozzesi. Un 2-0 targato Patrik Schick che si scrolla di dosso le critiche e regala due perle nella suggestiva cornice dell’Hamden Park di Glasgow: la prima è un imperioso colpo di testa, la seconda è un meraviglioso affresco. L’ex meteora romanista vede Marshall fuori dai pali e lo beffa con una palombella geniale da metà campo che si infila alle spalle dell’incredulo estremo difensore scozzese.

Il Girone E vede l’ennesima delusione polacca e una Spagna a due facce. Le Furie Rosse passano il turno al secondo posto. Dopo aver pareggiato con la Svezia, che chiuderà il girone al primo posto con 7 punti, e Polonia, la squadra di Luis Enrique va a valanga sulla Slovacchia: manita servita e passaggio del turno.

Il girone della morte

A questo punto della storia vi sarete resi conto del fatto che all’appello mancano delle potenze continentali: la Francia campione del mondo? Il Portogallo campione in carica? La Germania? Ecco. Per un meccanismo indubbiamente fallace nell’assegnazione delle fasce di sorteggio, le tre grandi sono tutte nello stesso girone.

Il meccanismo delle migliori terze permetterà comunque una qualificazione alla fase ad eliminazione diretta di tutte e tre, ma al momento del sorteggio ci si rende subito conto che l’epicentro del torneo sarà equamente diviso tra Monaco e Budapest, le due città che ospitano le gare del Girone F. Già, Budapest. Perché la quarta squadra, quella che appare come la vera e propria vittima sacrificale del gruppo della morte è l’Ungheria.

Il CT dei magiari è un italiano. Uno di quegli allenatori che ha fatto la gavetta vera: Serie C, Serie D, ma senza mai fare il salto di qualità. Sembrava finita, il pensiero di mollare era lì ad attanagliare un uomo che ha vissuto per quell’odore dell’erba. Poi per Marco Rossi è arrivata la svolta:

“Andai a trovare un amico che ha un ristorante a Budapest, per la prima volta nella mia vita decisi di propormi, chiamai Fabio Cordella, direttore sportivo all’Honved Budapest. Ho iniziato da lì, poi ho vissuto una stagione in Slovacchia, all’Fk Dac prima che arrivasse la chiamata della federazione ungherese“ racconterà poi in un’intervista. E quindi è lì con la sua Ungheria.

Gli scherzi del destino, affrontare la squadra campione in carica e rendersi conto che quella è la gara più “semplice”. Ma i magiari sono una squadra estremamente organizzata. In porta non c’è Gabor Kiraly, il pittoresco portiere con la tuta che aveva difeso i pali ungheresi quattro anni prima in Francia, ma Peter Gulacsi, estremo difensore di gran talento in forza al Lipsia.

I magiari tengono molto bene il campo per ottanta minuti, reggono l’urto e provano a ripartire, ma a sei dalla fine Raphael Guerreiro sblocca la partita e la diga crolla. Cristiano Ronaldo si iscrive all’europeo con una doppietta nel finale e finisce 0-3, ma gli addetti ai lavori si rendono conto che l’Ungheria non è lì per farsi prendere a pallate.

Detto, fatto perché alla seconda giornata la squadra di Rossi ferma i campioni del mondo sull’1-1.

Dalla sua, la Francia arriva forte di una vittoria di misura sui tedeschi, maturata grazie a un autogol di Hummels nel primo tempo, e di una stella in più nella meravigliosa costellazione che è il proprio reparto d’attacco. Karim Benzema, dopo una stagione fantascientifica con la maglia del Real Madrid, viene redento.

Nel 2016 viene escluso dal giro della nazionale per una vicenda giudiziaria che aveva visto il centravanti protagonista, accusato di aver partecipato a un’estorsione ai danni del compagno Mathieu Valbuena, ricattando quest’ultimo pena la diffusione di un video a sfondo sessuale. A sei anni dall’ultima volta, però, Didier Deschamp lo richiama in maglia bleu. 

Alla vigilia dell’ultima giornata, complice anche il rocambolesco 4-2 fra Germania e Portogallo, i verdetti sono ancora tutti da emettere. La classifica parziale recita Francia 4 Germania 3 Portogallo 3 Ungheria 1. Tutto è ancora, incredibilmente, possibile.

La sera del 23 giugno si decide tutto in un clima difficilmente preventivabile alla vigilia. Le due gare si giocano in contemporanea e tutto può cambiare da un momento all’altro. Ma andiamo con ordine.

Ore 21. Calcio d’inizio a Monaco, fra Germania e Ungheria, e a Budapest, tra Francia e Portogallo.

All’11’ cambia il risultato all’Allianz Arena. Adam Szalai in tuffo di testa porta in vantaggio i magiari con un gol che, temporaneamente, regala il passaggio del turno. Ma la girandola di emozioni è appena all’inizio del suo folle percorso.

Alla mezz’ora Lloris esce a valanga su Danilo Pereira. Scomposto e ruvido, l’intervento del portiere francese viene valutato come meritevole del calcio di rigore. Dal dischetto Ronaldo è una sentenza.

Ma allo scoccare del 45’, mentre a Monaco le occasioni imperversano senza cambiare il punteggio, Mbappé va giù nel contatto con Semedo. Se sulla massima punizione per il Portogallo si poteva discutere, questa, francamente, è un’invenzione del direttore di gara. Benzema spiazza Rui Patricio: 1-1 a Budapest.

Si va negli spogliatoi, quindi, con la seguente classifica: Francia 5 Portogallo 4 Ungheria 4 Germania 3. Il cerino più corto, all’intervallo, l’hanno pescato i tedeschi.

Ad inizio ripresa, però, il copione viene ancora stravolto. Pogba verticalizza, Benzema scatta sul filo del fuorigioco, la difesa portoghese sale male e Karim The Dream è glaciale: 2-1, non prima di una revisione del VAR che serve solo ad aumentare il pathos di una serata che sembra un film di Christopher Nolan.

Stando così le cose, il Portogallo sarebbe condannato.

A Monaco la Germania attacca senza sosta, ma è a Budapest che non si può respirare. Ora di gioco. Ronaldo tenta il cross e Koundé sbraccia clamorosamente. Stavolta non ci sono dubbi. E Ronaldo non perdona neanche stavolta. 2-2 e classifica di fine primo tempo ripristinata.

Il risultato a Budapest non cambia più e il palcoscenico di questa commedia dell’imponderabile ritorna ad essere Monaco di Baviera.

Minuto 66. Palla messa nel mucchio, Gulacsi esce malissimo e Hummels lo anticipa. La traiettoria s’impenna, superando il portiere ungherese e Havertz da un metro fa 1-1. La Germania torna in corsa e sarebbe lecito aspettarsi che una squadra di tale tradizione tenga questo risultato o chiuda la pratica, ma dall’altra parte c’è un gruppo di combattenti che non si arrende e non considera neanche per un attimo di accontentarsi dell’onore delle armi.

Non passano neanche due minuti e la retroguardia tedesca legge male una palla in profondità. Neuer, per una volta, è in ritardo nell’uscita e Schäfer la spinge dentro di testa, di cuore, di tutto.

Il fortino magiaro resiste strenuamente fino all’84’. Allo stesso minuto in cui il muro era crollato contro il Portogallo, Leon Goretzka spacca la porta di destro al termine di un batti e ribatti infinito in area di rigore. 2-2, come a Budapest. Finisce così.

Agli ottavi, quindi, come da pronostico ci vanno le tre grandi, ma l’orgoglio ungherese resta una delle pagine più belle del sensazionale romanzo di questo europeo.

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