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Calcio

FLOP 11: i peggiori giocatori della Serie A 2013-14

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#11 – Marko LIVAJA (Atalanta)

Considerando la giovane età (21 anni a fine agosto) il ragazzo ha ampissimi margini di miglioramento ed in futuro potrà davvero diventare un bel giocatore. Al livello attuale, però, trattasi di punta che segna con il contagocce e dal carattere davvero molto difficile. Bergamo poteva essere la piazza giusta per esplodere: vero che davanti c’era il monumento Denis, ma le sue occasioni il croato le ha avute. Appena 2 reti in 20 gare, lo scontro feroce con i tifosi orobici al termine del match con il Verona e l’addio all’Italia, paese che lo ha visto crescere e che ha incredibilmente rinnegato. Chissà se al Rubin Kazan rinascerà. Peccato, perché i mezzi ci sarebbero tutti.  

#10 – Zeljko BRKIC (Udinese)

Fisico da potenziale top, Brkic ha avuto la carriera impantanata da grandissimi limiti tecnici e mentali. Poteva essere la sua stagione, si è rivelata (complice anche il fallimento della sua riserva Kelava) quella di Simone Scuffet, che a 18 anni si è mostrato subito indispensabile ad un Udinese spenta e poco ispirata anche per i limiti del proprio portiere. Guidolin lo ha tolto dalla formazione titolare per disperazione dopo avergli dato numerose chance, ed è difficile pensare che queste si ripresenteranno. Sarebbe tutto regolare, non si parlasse di un portiere che nelle rarissime giornate di grazia sembrerebbe quasi un campione.

#09 – Sebastian LETO (Catania)


Numeri da fuoriclasse, mezzi fisici adeguati, mentalità da rivedere. Purtroppo sostituire “El Papu” Gomez si è rivelato più arduo del previsto, ed è un peccato per un talento che sembrava essere stato frenato nella sua ascesa solo dal tremendo infortunio occorsogli mentre giocava nel Panathinaikos. Nell’annus horribilis del Catania non è stato il solo errore (Peruzzi, Monzon) ma senz’altro quello più determinante: significativo il fatto che a sprazzi abbia fatto vedere numeri da fenomeno, aumentando quindi ancora di più il rimpianto di quei tifosi che gli contestavano problemi di concentrazione e continuità. Poteva fare la differenza, ma purtroppo l’ha fatta in negativo.

#08 – Sergio PELLISSIER (Chievo)

Per salvarsi, il Chievo ha dovuto finalmente ammainare la propria bandiera: 12 stagioni in maglia clivense, oltre 100 reti, quasi 400 presenze. Prima o poi doveva arrivare la stagione-no, ed è stata questa: 22 gare, la miseria di una sola rete e ben 2 espulsioni che hanno inguaiato una squadra che non può certo permettersi leggerezze. L’esplosione di Paloschi e la conferma di Thereau lo hanno spinto ai margini, e difficilmente tornerà quel che era vista anche l’età. 

#07 – Diego MILITO (Inter)

Walter Mazzarri, che è noto per non affidarsi facilmente ai giovani, ha dovuto giocare quasi tutta la stagione con Palacio prima punta, e quando questi si è fatto male ha lanciato Icardi dopo aver provato per un paio di gare Milito. “El Principe”, l’eroe del Triplete, è sembrato in quelle partite l’ombra del giocatore che fu, senz’altro abbattuto dall’infortunio che ne aveva rimandato il ritorno in campo dopo quello assai grave della stagione scorsa. Il fiuto del gol sembrava essergli rimasto (in gol contro il Sassuolo) ma è stato solo un fuoco di paglia: le polveri del 35enne (ex) bomber argentino erano ormai inesorabilmente bagnate. La miseria di 2 reti e tanta panchina in quella che è stata la peggior stagione dell’intera carriera, il mesto addio all’Italia. Peccato salutare così. 

#06 – Antonio ADAN (Cagliari)

Scuola Real Madrid, a 25 anni Adán si è scocciato di attendere la sua occasione nella squadra con più stelle nel pianeta, o forse è stato realista nei riguardi dei propri mezzi tecnici: sia quel che sia, per giocare nel Cagliari del “fuori rosa” Agazzi e dell’incerto Avramov non bisognava certo essere Buffon. A gennaio eccolo quindi arrivare in Sardegna: l’esordio non è male, poca ordinaria amministrazione in uno scialbo pareggio con il Chievo. La gara successiva è con la Juventus, e qui il nostro ne combina una dietro l’altra: soprattutto il gol di Marchisio, un tiro da 30 metri senza pretese che gli piega le mani, è sua responsabilità, ma anche la bradipesca uscita sul 4 a 1 finale appare fantozziana. Il capolavoro però avviene nei giorni successivi: “ci siamo sbagliati”, sembrano dire tutti. Adán rescinde e se ne va, torna in Spagna al Betis. E difficilmente lo rivedremo da queste parti.

#05 – Mirko VUCINIC (Juventus)

Quando a gennaio è saltato lo scambio Vucinic-Guarin con l’Inter, pochi tifosi juventini si sono chiesti se il motivo della contestazione del popolo nerazzurro non fosse tanto il non troppo amato Guarin quanto la contropartita proposta da Marotta e accettata da Branca. Mirko Vucinic infatti sembrava da mesi ormai un ex-giocatore: qualche numero di classe, vero, ma in mezzo a moltissima indolenza, incostanza e incapacità di accettare la concorrenza. L’esplosione di Llorente lo ha cancellato dai radar bianconeri, è rimasta una figurina inutile nello scacchiere di Conte: un declino incredibilmente rapido per un calciatore poco più che trentenne che difficilmente ritroverà il suo spazio nel calcio che conta. Indubbiamente una carriera buona sulla carta ma appena discreta per gli impressionanti mezzi tecnici di cui disponeva fin da giovanissimo. L’addio alla Juve è scontato.

#04 – Miroslav KLOSE (Lazio)

Il tempo passa per tutti, anche per il fresco “miglior bomber di sempre” della Germania. Il problema però non è soltanto l’età, quanto la palese indolenza e la tendenza a risparmiarsi di questo calciatore, caratteristiche che hanno condannato la Lazio ad un campionato mediocre che poteva persino essere peggiore se non fosse esploso Keita e non ci fosse stato il Candreva più ispirato di sempre. Era già successo nell’anno degli Europei, si è ripetuto in vista dei Mondiali: un infortunio, un lentissimo recupero e la plateale mancanza di voglia di rischiare qualcosa che possa compromettere il torneo con la Nazionale. Sbaglia anche Lotito a non acquistare una riserva credibile da anni, ma questo è tutto un altro discorso: Klose non può prendere la squadra che lo paga come quella dove allenarsi per la Germania.

#03 – Marek HAMSIK (Napoli)

Cosa è mancato al Napoli per competere non dico per lo Scudetto ma almeno per il secondo posto? Una difesa di qualità, senza dubbio. Un po di fortuna, forse. Ma soprattutto è mancato Marek Hamsik: quello che era il miglior centrocampista “a tutto campo” della A si è inspiegabilmente perso proprio con l’arrivo sulla panchina partenopea di Rafa Benitez, che con il suo 4-2-3-1 lo aveva messo al centro della squadra. E invece, ingabbiato da obblighi tattici fino ad allora sconosciuti, Hamsik è scomparso: una brutta crisi tecnica e soprattutto di personalità, una svalutazione pesante per quello che sembrava un lusso per Napoli e per la Serie A e che invece si è rivelato un giocatore fragile e persino ingombrante, dato che Benitez ha praticamente dovuto attenderlo per tutta la stagione. Pochi gol, pochissime giocate, tanti errori e tanto nervosismo. Un incredibile involuzione per un campione a cui manca però, forse, il necessario rigore tattico per fare la differenza.

#02 – Alessandro MATRI (Milan/Fiorentina)

Viene ancora da ridere pensando a Galliani e al suo “quote” nel momento del passaggio di Matri dalla Juventus al Milan per la bella cifra di 11 milioni. “Con Matri siamo alla pari con tutti in Italia e in Europa” è una frase pesante, che tutto l’ottimismo del mondo non giustifica: trattasi infatti di una discreta punta che però nella Juventus era riserva e che al Milan ha fatto poco più che la comparsa nonostante il momento non facile dei rossoneri. La miseria di una rete ha portato alla cessione in prestito alla Fiorentina, falcidiata dagli infortuni di Gomez e Rossi. I Viola potevano essere l’ambiente ideale per rinascere, invece tolto lo scoppiettante esordio (doppietta al Catania) Matri ha mostrato il nulla più assoluto, risultando impalpabile e fallendo il terzo appuntamento su tre a grandi livelli. Il treno ormai pare passato.

#01 – Rolando BIANCHI (Bologna)

Si, Guaraldi ha smontato mezza squadra in corsa. Certo, la cessione di Diamanti è stata un brutto colpo. E i continui infortuni? Chiaro che non facilitino un attaccante di stazza come Rolando Bianchi. Eppure il lauto stipendio e l’assoluta mancanza di una concorrenza credibile in attacco avrebbero dovuto responsabilizzarlo, aiutarlo a fare meglio. Pioli ha tentato di preferirgli Cristaldo, Ballardini al suo posto ha spesso utilizzato Acquafresca e persino il “desaparecido” Paponi. Ma alla fine Rolandone le sue 28 gare le ha giocate, condendole con la miseria di 3 reti (tra cui un assurda doppietta al Napoli) e con un rigore fallito contro il Verona che poteva – forse – cambiare la stagione rossoblù. La retrocessione pesa su tutti, ma principalmente sul nome più di spicco del peggior attacco d’Europa: Acquafresca, Cristaldo e Paponi non hanno fatto meglio, ma almeno hanno dato l’impressione di provarci. Bianchi invece è stato un fantasma per tutta la stagione, il simbolo (in campo) della retrocessione causata da Guaraldi.

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