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GRANDI ALLENATORI: Jack Hunter e la “Piramide di Cambridge”

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Iniziamo oggi un rapido percorso a puntate con l’obbiettivo di raccontarvi la storia del calcio attraverso le storie dei più grandi innovatori tattici, gli allenatori che dalla panchina spesso hanno influenzato l’evoluzione di questo sport come neanche i più grandi campioni sono riusciti a fare. Vi racconteremo le vite di alcuni tra gli allenatori più importanti della storia di questo fantastico gioco, e insieme ad esse anche le innovazioni tattiche di cui furono protagonisti.


JACK HUNTER E LA NASCITA DELLA PIRAMIDE

Nei suoi primi anni di vita, il football non conobbe alcuna tattica. Nei numerosi giochi noti come “Field Game” che venivano praticati nelle varie public schools inglesi, infatti, era completamente assente qualsiasi forma di organizzazione tattica o di strategia che non consistesse nell’impossessarsi del pallone e poi caricare a testa bassa la porta (o la meta, a seconda del regolamento) avversaria. Anche quando il calcio prese ufficialmente forma, nella famosa riunione della Freemason’s Tavern di Londra nell’autunno/inverno del 1863, e persino quando le regole vennero finalmente definite nel 1870, a nessun nobiluomo inglese – perché in Inghilterra la pratica del football era riservata al ceto medio-alto della società – venne mai in mente che potesse esservi una strategia nel football.

Richard Sanders, nel suo straordinario “Beastly Fury – The Strange Birth of British Football”, ci racconta che questa assenza di tattica dovrebbe affondare le sue radici nella stessa società inglese del periodo, che esaltava valori quali il coraggio, la furia e l’individualismo eroico. Passare il pallone, contare sui propri compagni insomma, era visto come un gesto da codardi, da vigliacchi, e celebre rimaà l’episodio in cui durante una sfida contro la Scozia il povero Billy Mosforth, talento straordinario di Sheffield inserito in una formazione di ricchi londinesi, non si vide mai passare il pallone dagli altezzosi compagni che, a domanda, risposero che “qui ognuno gioca per il proprio divertimento.”

L’inevitabile evoluzione dell’umanità sarebbe coincisa, per la prima e non certo ultima volta, con l’evoluzione stessa del gioco del calcio e dei suoi principi. Dopo circa un decennio di dominio incontrastato, i nobili inglesi seguaci del “calcia e corri” furono infatti costretti a realizzare che il football era un gioco dove l’organizzazione aveva una grandissima importanza: ne avevano già avuto un assaggio quando nel corso della prima partita internazionale della storia, pur potendo vantare atleti più in forma e più esperti, avevano visto il proprio 1-1-8 imbrigliato dal più accorto 2-2-6 degli avversari scozzesi, decisamente più minuti fisicamente – in quanto più poveri – e quindi costretti a non ridurre la sfida a una serie di scontri individuali dove avrebbero certamente avuto la peggio.

Da allora la Scozia era cresciuta e aveva preso a vincere una sfida dopo l’altra contro l’Inghilterra, che dal canto suo minimizzava la situazione dando ogni volta la colpa alla sfortuna, al terreno di gioco, a una giornata di scarsa forma dei suoi uomini. L’1-1-8 degli esordi era stato presto cambiato nel 2-2-6, ma i principi di individualismo non erano affatto spariti. 

In questa Inghilterra che subiva un’umiliazione dopo l’altra dai cugini scozzesi, che giustamente si sarebbero vantati di aver capito prima degli inglesi di come il football andasse giocato, agiva da half-back, cioè da centrocampista, Jack Hunter. Nativo di Sheffield, tra il 1878 e il 1882 collezionò 7 presenze con la maglia della Nazionale, collezionando però sconfitte in serie: a un esordio da incubo, con la Scozia che superò l’Inghilterra 7-2, seguirono altre due batoste contro gli abitanti delle Highlands, un 6-1 a Londra e un 5-1 in trasferta. Con un’altra clamorosa sconfitta, 5-3 a Wrexham contro il debolissimo Galles, la carriera di Hunter in Nazionale terminò senza gloria.

A livello di club le cose non sarebbero state molto diverse: dopo aver servito numerose squadre di Sheffield, principalmente l’Heeley, Hunter – che nella vita di tutti i giorni faceva il macellaio – partorì un’idea incredibilmente rivoluzionaria per l’epoca, creando la compagine dei The Zulus. Questa altro non era che una selezione dei migliori calciatori della città che, vestendo abiti della tribù Zulu che allora era in guerra con la Gran Bretagna, fingeva di percorrere l’Inghilterra in tour, sfidando la varie squadre locali in amichevoli i cui profitti sarebbero andati proprio alle famiglie di chi aveva perso qualcuno sul fronte africano.

Un’idea lodevole, peccato però che la Football Association scoprì che i giocatori “Zulu” tenevano invece il denaro per se, e in seguito alla minaccia di una squalifica a vita Hunter e i compagni furono costretti a sciogliere la squadra. Ormai trentenne, Jack riparò a Blackburn, dove avrebbe scritto la storia. Ingaggiato (in modo ovviamente non ufficiale) come allenatore-giocatore del Blackburn Olympic, una compagine modesta che da poco aveva visto la luce, Hunter fu a tutti gli effetti il primo vero e proprio allenatore della storia. Fu lui infatti a selezionare i compagni, scegliendoli tra i migliori talenti della città e consigliando quindi al magnate della siderurgia cittadina Sidney Yates, mecenate dell’Olympic, di assumerli nelle sue industrie. Fu sempre Hunter a istituire diete e ritiri, oltre ad allenamenti settimanali mirati a migliorare fiato, tecnica e organizzazione tattica.

Fu lui, soprattutto, a sdoganare il 2-3-5 noto anche come “Piramide di Cambridge”, che dal 1883 al 1934 sarebbe stato non solo il modulo dominante nel calcio, ma anche l’unico, il primo. L’idea non fu completamente sua, dato che non solo a Cambridge – dove si dice sia nato – questo modulo veniva usato nelle annuali sfide contro Oxford, ma anche in Scozia e Galles era capitato che una squadra più debole arretrasse uno dei suoi attaccanti a centrocampo, in pratica come difensore aggiunto. Qualcuno aveva anche arretrato una punta nel ruolo che oggi potremmo dire di trequartista, ma mai nessuno aveva creato il centromediano come fece Hunter, che si prese peraltro il ruolo nell’Olympic.

football formations

Il 2-3-5, così organizzato, favoriva una rapida circolazione del pallone e una maggiore attenzione alla fase difensiva, qualità vincenti che Hunter aveva notato durante le disastrose sconfitte contro gli scozzesi ma che non era stato possibile spiegare agli altezzosi compagni, che lo consideravano nientemeno che un villico che già doveva sentirsi contento di essere tra tanti campioni di “sangue blu”. Jack Hunter e il Blackburn Olympic diedero la più straordinaria lezione che questi nobili ormai fuori dal tempo avessero mai subito, quando nella FA Cup del 1883 fecero fuori una dopo l’altra tutte le avversarie più accreditate imponendosi poi in finale contro gli Old Etonians grazie a qualità come la corsa, le marcature individuali e – soprattutto – il gioco corale, di squadra.

Fu la rivoluzione del football, la classe operaia che andava in Paradiso. Dopo aver dominato le prime dieci edizioni della FA Cup, a Londra non avrebbero più rivisto la coppa fino al 1901, quasi vent’anni dopo. Un tempo che sembrò infinito e che servì per riprendersi dalla lezione impartita da un gruppo di operai semi-professionisti, che riuscì finalmente a cancellare il football “calcia e corri” che orgogliosamente aveva continuato ad essere praticato nonostante evidenti lacune e numerose umiliazioni. 

Oltre che ad inventare i ritiri collegiali e gli allenamenti settimanali – pratiche in cui fu aiutato dai “falsi lavori” che i suoi calciatori svolgevano – Hunter lanciò il professionismo nel calcio e sdoganò appunto il 2-3-5, il primo vero e proprio modulo calcistico da cui poi sarebbero nati tutti gli altri. L’Olympic fallì nel giro di pochi anni, colpevole di aver voluto volare troppo in alto, e così terminò nell’oblio anche la carriera di Hunter, che allenò ancora qualche squadra prima di morire poco più che cinquantenne nell’aprile del 1903, consumato dalla tubercolosi. 

Il nome di questo straordinario innovatore non è oggi molto noto persino ai fan inglesi, ma è giusto invece ricordarlo e ricordarne le gesta, poiché questo macellaio di Sheffield fu il primo vero e proprio genio visionario del football.


 Jack Hunter è uno dei protagonisti del mio primo libro, “Pionieri del Football – Storie di calcio vittoriano”. Altre fonti per questo articolo sono state le seguenti: 

– Sanders, Richard (2009) Beastly Fury: the strange birth of british football, p. 85-105

– Phythian, Graham (2007) Shooting Stars: The Brief and Glorious History of Blackburn Olympic 1878-1889

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