Calcio
I PROTAGONISTI DEL MONDIALE (11^ puntata): Argentina 1978
Prosegue la “Storia breve dei Mondiali”: quest’oggi vi racconto l’edizione del 1978. Finalmente l’Argentina può organizzare il Mondiale, finalmente lo vince, anche se non mancheranno le polemiche per una coppa conquistata in mezzo al sangue e ad un regime militare.
Le precedenti puntate:
– URUGUAY 1930
– ITALIA 1934
– FRANCIA 1938
– BRASILE 1950
– SVIZZERA 1954
– SVEZIA 1958
– CILE 1962
– INGHILTERRA 1966
– MESSICO 1970
– GERMANIA OVEST 1974
#IL MONDIALE
Dopo tre tentativi andati a vuoto (1938, 1962 e 1970) l’Argentina ottiene finalmente l’organizzazione dei Mondiali di Calcio del 1978. Lo ha fatto già nel 1966, quando il Messico l’ha superata su spinta dei brasiliani: ma da allora molto è cambiato nel paese, dove regna dal 24 marzo del 1976 una giunta militare guidata dal generale Jorge Rafael Videla e ispirata dalla CIA e dalla P2 italiana nell’ambito dell’Operazione Condor.
Videla è totalitarista e sanguinario, sospende la costituzione e reprime ogni forma di opposizione. E’ la “Guerra Sporca”, che porta a quasi 2500 omicidi politici. E’ il periodo tristemente noto come “dei Desaparecidos”: 30.000 persone che vengono fatte sparire dal giorno alla notte, spesso sedate e gettate nell’Oceano dagli elicotteri se non fucilate e gettate in fosse comuni. L’atmosfera che regna in Argentina è dunque molto pesante, anche se la giunta militare si sforza di nascondere le proprie nefandezze mostrando al mondo un paese entusiasta e allegro: l’obbiettivo viene raggiunto grazie alla macchina propagandistica, che intimidisce e influenza i mass-media internazionali allontanando chi vuole vederci chiaro.
Videla ha istituito per il torneo l’EAM (Ente Autàrquico Mundial ’78) che dispone di fondi illimitati per rendere il torneo una dimostrazione di quanto l’Argentina sia progredita dai tempi di Peròn: questo porta ad un incredibile lievitare dei prezzi, e il Mondiale costerà alla fine ben 520 milioni di dollari contro i 100 preventivati inizialmente.
L’assente più illustre è l’Inghilterra, eliminata dall’Italia in un gruppo di
qualificazione che prevede anche Lussemburgo e Finlandia: gli azzurri si qualificano grazie alla miglior differenza reti. Manca anche l’URSS, che viene eliminata dall’Ungheria. Alla vigilia le squadre favorite sono le solite: la Germania Ovest campione in carica, l’Olanda finalista 4 anni prima, l’Argentina padrona di casa e il Brasile che è pur sempre il Brasile.
Le possibili outsider sono l’Italia di Enzo Bearzot, la Scozia (il cui CT ha addirittura detto che la Coppa è alla portata) e la Polonia rivelazione del torneo precedente. La formula è la stessa del 1974: quattro gironi, al secondo turno si classificano le prime due. Le otto squadre rimaste formano altri due gironi, e chi li vince è in finale.
La vittoria finale arride, non troppo sorprendentemente pur se per la prima volta nella storia, all’Argentina allenata da Cesar Menotti: una squadra forte e solida, non troppo spettacolare ma dal grande carattere, oltretutto favorita da una situazione ambientale decisamente favorevole. L’Olanda, che si è presentata senza Cruijff (si dice per protesta contro il governo Videla, ma in realtà il fuoriclasse ‘orange’ ha da poco subito un furto e non vuole allontanarsi troppo dalla famiglia) arriva in finale – pur mostrando solo a sprazzi il ‘Calcio Totale’ che aveva stupito il mondo nel 1974 – ma ancora una volta si ferma sul traguardo, mancando la Coppa per un soffio. Il terzo posto va al Brasile, che manca la vittoria pur non avendo perso una sola gara, mentre il quarto è appannaggio dell’Italia, che mostra un bel gioco e sorprende tutti sconfiggendo i padroni di casa nel primo turno. Deludono Scozia, Spagna e Polonia, che si mostrano molto acerbe di fronte alle vere potenze del calcio, e i campioni della Germania Ovest, a cui non riesce il dovuto ricambio generazionale.
#GLI EROI
L’Argentina padrona di casa e campione finale è una compagine di tutto rispetto: Menotti rinuncia al giovanissimo fenomeno Maradona in luogo del suo ‘feticcio’ Omar Larrosa, e a pochi giorni dal torneo deve rinunciare anche al difensore Carrascosa, che sembra contestare così la giunta militare. Dei 22 convocati, 21 giocano in Argentina: spiccano tra loro il portiere Fillol, i difensori Tarantini e Passarella, i centrocampisti Gallego e Ardiles e le punte Luque e Bertoni. Il solo “straniero” gioca nel Valencia e sarà l’uomo decisivo per gli ‘albiceleste’: Mario Kempes, da due stagioni capocannoniere del campionato spagnolo.
L’Olanda, come detto, rinuncia a Cruijff e ha cambiato anche allenatore: Rinus Michels ha lasciato per dedicarsi solo ad Ajax prima e Barcellona poi, al suo posto è arrivato l’austriaco Ernst Happel. Il gioco degli ‘arancioni’ è più meccanizzato, meno legato all’estro individuale, ma ugualmente veloce ed efficace: oltre ai ‘soliti’ Krol, Haan, Neeskens, Rensenbrink e Rep spiccano i gemelli Willy e René Van de Kerkhof, che nel 1974 erano riserve. Un altra riserva di allora adesso sarebbe il titolare, il portiere Schrijvers, che però si infortuna prima della finale nella quale l’Olanda schiera ancora il trentottenne Jan Jongbloed.
Anche il Brasile che conclude imbattuto si divide tra ‘vecchia guardia’ (Leao, Rivelinho, Dirceu) e nuovi giovani rampanti come Toninho Cerezo, il bomber Roberto Dinamite e il fenomenale Zico. Nell’Italia spicca invece la coppia d’attacco composta dal bomber juventino Roberto Bettega e dalla rivelazione Paolo Rossi, che si fa preferire ai ‘gemelli del gol’ del Torino Graziani e Pulici. A centrocampo Bearzot può contare sulla classe di Antognoni, Sala e Causio e sul dinamismo di Tardelli, Benetti e Zaccarelli, in difesa su gente come Scirea, Gentile, Cuccureddu e la rivelazione ventenne Cabrini, in porta il monumentale Dino Zoff, il quale sbaglierà la gara decisiva per l’approdo in finale subendo due gol dalla distanza. Si dirà che è troppo vecchio (ha 36 anni) e che dovrebbe ritirarsi. Peccato che nel 1982 smentirà tutti i critici…
Altre stelle sparse sono il giovane ventenne Hugo Sanchez, che spicca in un Messico davvero mediocre; il francese Michel Platini, a cui manca un partner degno di questo nome; i ‘soliti’ polacchi Deyna e Lato, a cui si affianca il talento emergente Zbigniew “Zibì” Boniek; i “reduci del ’74” tedeschi Maier, Vogts, Holzenbein, a cui si affianca il giovane talento Rumenigge ma a cui pesa l’assenza di Beckenbauer e Gerd Muller; gli austriaci Prohaska, Krankl e Schachner, futura ‘meteora’ in Italia; la “spina dorsale” del Perù, Chumpitaz–Cubillas–Sotil.
#L’EPISODIO
Il secondo turno vede il Girone B composto dalle tre sudamericane (Argentina, Brasile, Perù) e dalla Polonia rivelazione. Nella prima giornata, il Brasile sconfigge un Perù scioltosi come neve al sole per 3 a 0 con una doppietta di Dirceu nella prima mezzora ed un rigore di Zico nel finale. L’Argentina padrona di casa fatica contro la Polonia di uno splendido Boniek, ma alla fine si impone per 2 a 0 con una doppietta di Kempes.
Nella seconda giornata i polacchi hanno ragione dei peruviani (1-0, gol di Szarmach) mentre argentini e brasiliani pareggiano 0 a 0 in una gara brutta e nervosa che vede le due compagini più impegnate a difendersi.
Si arriva all’ultima giornata, dunque, con Brasile e Argentina a 3 punti, Polonia a 2 e il Perù ormai fuori dai giochi a 0.
Il calendario, fatto apposta per favorire i padroni di casa, prevede che gli argentini giochino una volta conclusa la gara tra polacchi e brasiliani, con l’ovvio vantaggio di sapere – in caso di successo verde-oro – la differenza reti necessaria da colmare per arrivare primi. Il Brasile affronta la Polonia, che potrebbe avere ancora velleità di qualificazione, e la sconfigge 3 a 1 attestandosi a 5 punti in classifica con +5 nella differenza reti. L’Argentina gioca contro il Perù, e le servono dunque 4 o più reti per sopravanzare i brasiliani ed andare in finale.
La vigilia è stata dura per Chumpitaz e compagni, la polizia ha “dimenticato” di presidiare il loro albergo ed il baccano dei tifosi argentini li ha tenuti svegli tutta la notte: anche l’autista ha “dimenticato” la strada che dall’albergo porta allo stadio, sbagliando diverse volte direzione e mettendoci alla fine due ore invece che il quarto d’ora che serve. Li ha scaricati poi, per giunta, all’entrata della curva argentina, dove i tifosi li hanno accolti con fischi e lanci di oggetti. Il Brasile ha chiesto al Perù di onorare la gara, i bianco-rossi ci provano ma a parte il palo iniziale colto da Cubillas ben presto si capisce che andrà come tutti temevano: alla fine del primo tempo siamo 2 a 0 grazie alle reti di Kempes e Tarantini, nel secondo tempo gli albi-celeste dilagano.
Finisce 6 a 0, Kempes e Luque segnano una doppietta a testa, gli altri gol sono di Houseman e, appunto, Tarantini.
L’Argentina grazie a questo risultato vola in finale, e sulla gara piovono subito sospetti di combine: degna di nota è la presenza tra i pali peruviani di Ramon Quiroga, argentino che solo l’anno prima ha preso la cittadinanza del Perù. Si dice che abbia voluto favorire i suoi compatrioti, lui replica che è il blocco “di colore” della squadra ad essersi venduto. Forse. O forse è l’intero Perù, il cui Governo è sostenuto economicamente da quello di Videla da anni e che oramai tanto era eliminato…
Chumpitaz anni dopo dirà che, semplicemente, lui e i compagni erano stanchissimi, ipotesi rafforzata dal pessimo rendimento del Perù dopo la prima fase. Comunque, la gara passa alla storia come la “marmelada peruana”, la marmellata peruviana.
Il fattore ambientale già utilizzato contro il Perù verrà rispolverato dagli argentini anche in finale contro l’Olanda, che dovrà attendere un buon quarto d’ora sul campo, in mezzo ai fischi, l’arrivo dei rivali. Anche in questo caso, poi, la buona sorte ci metterà del suo negando il gol agli ‘orange’ con un palo. Insomma, un po per forza, un po per pressioni dall’alto e un po per destino questo deve essere il Mondiale dell’Argentina. E lo sarà.
#IL PERSONAGGIO
Nato nella provincia di Cordoba, Mario Kempes fin da giovanissimo prometteva di essere una delle più grandi stelle della storia del calcio argentino, eppure l’essere il giocatore-simbolo del “Mundial della vergogna”, quello del 1978 gestito (e in pratica vinto) dalla giunta militare di Videla, ne ha un po ridimensionato la figura nella memoria degli appassionati.
Un errore, perché Kempes fu fenomeno vero, pur se la sua stella si spense abbastanza rapidamente: appena maggiorenne, nell’Instituto, esordiva nella massima serie argentina realizzando 11 reti in 13 gare e guadagnandosi la chiamata da parte del Rosario Central. La stagione successiva, ventenne, segna con la nuova maglia 25 reti, è capocannoniere e viene chiamato per i Mondiali del 1974: la prestazione degli albi-celeste è però deludente, e coincide con la sua. Troppo acerbo, forse. Forse.
Teniamo presente, quando si parla di Mario Kempes, che non si sta parlando di una classica prima punta che vive solo per il gol come i numeri lascerebbero immaginare: no, Kempes fu un attaccante esterno dal gran dinamismo e dall’ottima corsa, utile per la squadra in fase di copertura e micidiale quando affiancato da una punta classica portata ad aprirgli gli spazi, dove lui si inseriva con micidiale puntualità.
Lascia il Rosario Central ventiduenne, dopo tre stagioni in cui ha segnato la bellezza di 89 reti in 107 gare: lo vuole il Valencia, che è allenato dalla leggenda delle leggende argentine, Alfredo Di Stefano, e sarà un matrimonio fortunatissimo. Kempes vince due volte consecutive la classifica marcatori, contribuisce a portare il Valencia a vincere prima la Coppa di Spagna, poi la Coppa delle Coppe e infine la Supercoppa Europea.
E’ in quel periodo che Cesar Menotti, ct dell’Argentina, sta mettendo insieme la squadra che affronterà il Mundial del ’78. L’intenzione è di chiamare solo giocatori che militino nel paese, per dare al mondo una dimostrazione di autarchia: ma come si può lasciare fuori uno come Kempes?
Non si può, e infatti su 22 giocatori sarà il solo “straniero” della squadra, quel che serve per fare la differenza e vincere finalmente la Coppa del Mondo.
Peccato che Kempes non parta bene: nel girone del primo turno rimane a secco, deludendo le aspettative dei tifosi. Stenta Kempes e, ovviamente, stenta anche l’Argentina, che si qualifica come seconda dietro all’Italia e finisce nel girone B del secondo turno, che vede come rivali il fortissimo Brasile, la Polonia rivelazione ed un Perù che appare ormai l’ombra di quello visto nella prima fase complice un calo fisico repentino.
Come l’Argentina arrivi in finale è noto ai più, ma non vanno dimenticate le due reti con cui Kempes stende i forti polacchi ne le altre due che realizza contro il Perù. Il suo capolavoro però è la terza tripletta di quel torneo, inferta all’Olanda “Arancia Meccanica” di Happel.
Una partita tutta da raccontare, che vede l’Olanda reagire con rabbia alle pressioni e provocazioni argentine e sfiorare il gol dopo pochi minuti: Rep di testa sfiora il palo, Fillol si supera ancora sul centravanti olandese. Al 40° l’Argentina si sveglia ed affonda, Kempes riceve il pallone a bordo area, si infila superando il difensore e deposita alle spalle di Jongbloed. Esplode di gioia “El Matador”, come lo hanno soprannominato, perché con questo gol a tutti pare fatta. Ma l’Olanda ha già perso in finale nel 1974 e non vuole che la storia si ripeta: manca Cruijff, è vero, e si gioca in casa di una dittatura militare che di tutto ha fatto e di tutto sarebbe capace di fare pur di vincere. Ma gli olandesi sono nel calcio quello che il ’68 è stato per il mondo, sono ribelli, non hanno paura di niente. Riprendono a macinare il loro gioco, e nel finale, quando gli argentini già preparavano la festa, segnano: il gol arriva di testa, lo realizza il nuovo entrato Nanninga, e Fillol – che si è già superato ancora su Rensenbrink – non può farci niente.
Si va ai supplementari.
Negli spogliatoi l’Argentina viene catechizzata dal proprio CT.
E’ un uomo dal naso aquilino e lo sguardo distante, da poeta. E’ un grande allenatore, che poi giungerà in Italia alla guida di una deludente Sampdoria e per questo verrà marchiato come “bollito” dai tifosi, che poco sanno di chi fosse davvero. Il CT è Cesar Menotti, ha accettato di guidare la Nazionale in un momento certo non facile per il paese. Si è preso l’obbligo di vincere un Mondiale dove la sua squadra non era tra le più forti, lo ha fatto plasmando un gruppo di uomini veri e tenendolo lontano dalle voci, dalle proteste del popolo, dal sangue e dai ‘Desaparecidos’.
Guarda negli occhi i suoi giocatori e – più o meno – quando parla il concetto è questo: “Nei 90 minuti li avevate già battuti. Ora andate fuori e fatelo di nuovo.” Ha ragione lui, gli olandesi sono cotti, e chi prende in parola “El Flaco” Menotti più di tutti è lui: Mario Kempes, che da quando ha tagliato i baffi su consiglio del tecnico ha preso a segnare dopo una prima fase opaca.
E’ il suo Mondiale, è la sua occasione per entrare nella storia: e il gol che decide la storia di quel torneo è significativo. Kempes si infila in area alla sua maniera e con rabbia e fortuna vince uno, due, tre contrasti, l’ultimo dei quali con il portiere Jongbloed in uscita. La palla gli rimane lì, deve solo sospingerla in rete e lo fa nonostante i difensori ‘orange’ tentino un recupero disperato.
E’ il giusto 2 a 1, l’Argentina corre il doppio dei rivali, lotta su ogni pallone, fa impressione la ferocia con cui gioca: ha “azzannato” la Coppa, e non vuole mollarla. Nel finale arriva il 3 a 1 di Daniel Bertoni, è l’apoteosi. L’Argentina, per la prima volta, è Campione del Mondo di calcio: a “metterla sulla mappa mondiale del calcio”, come dirà anni dopo Maradona, è Mario Alberto Kempes, “El Matador”, che non si ripeterà nel Mundial successivo (complice anche lo spostamento ad ala pura) e che conoscerà un precoce declino anche per via di numerosi guai fisici.
Tuttavia, in un Mondiale come quello del 1978 largamente influenzato dalla giunta militare che regnava in Argentina, Kempes fu la nota lieta, l’eroe, la stella, la dimostrazione che il popolo argentino non è mai domo.
E alla fine, quando il generale Videla premiò la squadra, Mario Kempes fu il solo a non stringergli la mano. Soltanto un caso?
A chi scrive piace pensare di no.
Fonti: Wikipedia, “Storia dei Mondiali” (Bocchio-Tosco), “I Mondiali della Vergogna” (P. Llonto)
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