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Calcio

I PROTAGONISTI DEL MONDIALE (12^ puntata): Spagna 1982

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Protagonista della storia di oggi è l’Italia di Bearzot e Paolo Rossi, che torna sul trono mondiale del calcio dopo quasi mezzo secolo. Un torneo vissuto tra mille contestazioni e culminato con la più inaspettata, e per questo magica, delle vittorie.

Le precedenti puntate:

– URUGUAY 1930
– ITALIA 1934
– FRANCIA 1938
– BRASILE 1950
– SVIZZERA 1954 
– SVEZIA 1958 
– CILE 1962

– INGHILTERRA 1966

– MESSICO 1970

– GERMANIA OVEST 1974
– ARGENTINA 1978


#IL MONDIALE

Mondiale dei record: si gioca in 17 stadi (record tuttora imbattuto), partecipano 24 squadre divise in 6 gironi e per la prima volta sono rappresentati tutti i continenti. Si registra anche la vittoria più larga di sempre: l’Ungheria (comunque eliminata) sconfigge 10 a 1 El Salvador, all’esordio mondiale come Kuwait e Honduras. All’appello, tra le big, mancano due nomi clamorosi: l’Uruguay due volte campione (già assente nel 1978) e l’Olanda che nelle due precedenti edizioni era arrivata due volte in finale.
Alla vigilia sono molte le squadre favorite: l’Argentina campione in carica può contare sull’ossatura della squadra del ’78 con l’aggiunta di alcuni nuovi fenomeni, il Brasile è tornato la rutilante macchina da gol e spettacolo che è sempre stata, la Germania Ovest esprime una nuova nidiata di fenomeni, l’Inghilterra sta dominando le Coppe Europee e quindi è naturalmente molto considerata nei pronostici. Le possibili outsider sono la Polonia, Austria e Belgio maestre nel contropiede, la Francia che conta su un centrocampo di rara eleganza.
L’Italia, che era arrivata quarta nel 1978 mostrando un ottimo calcio, non gode di buoni pronostici: nel 1980 ha deluso agli Europei organizzati in casa, lo scandalo del “Totonero” ha minato la credibilità della Serie A portando al triste spettacolo di giocatori arrestati sul campo, il principale bomber Roberto Bettega è assente infortunato e il capocannoniere del campionato Roberto Pruzzo è stato lasciato a casa dal CT Bearzot, che ha preferito portare Paolo Rossi appena rientrato dalla squalifica e si è inimicato stampa e tifoseria rinunciando anche a Evaristo Beccalossi, talentuosa mezzala dell’Inter.
Dopo una partenza davvero mediocre ed una qualificazione strappata per i capelli, al secondo turno gli azzurri però si trasformano: Paolo Rossi si sveglia dal torpore che lo ha avvolto contro Polonia, Perù e Camerun e rifila una tripletta al Brasile nella gara decisiva per accedere alla semifinale dopo che un incrollabile Gentile ha annullato Maradona contro l’Argentina in una gara tesa e vibrante vinta grazie ai gol di Tardelli e Cabrini. Il bomber pratese si ripete in semifinale, suoi sono i due gol con cui l’Italia sconfigge la Polonia. Infine in finale gli azzurri confermano la loro tradizione favorevole contro una Germania stanca e sfiduciata, e ad aprire le danze è ancora lui, Rossi, seguito da Tardelli ed Altobelli. L’Italia è campione per la terza volta nella sua storia, 44 anni dopo l’ultimo trionfo del 1938.

#LE STELLE

L’Italia campione costruisce il suo successo, come da tradizione, su una difesa quasi insuperabile: davanti al quarantenne Zoff, che smentisce chi 4 anni prima lo dava per finito, giganteggia Gaetano Scirea, probabilmente il miglior difensore della storia azzurra. Da libero guida una linea formata da Gentile e Collovati, con Cabrini a sinistra libero di avanzare. Si rivela utile anche il giovanissimo Bergomi, che nemmeno ventenne gioca le ultime tre gare contro Brasile, Polonia e Germania Ovest. A centrocampo Oriali dell’Inter e Tardelli della Juventus garantiscono dinamismo, lo splendido Giancarlo Antognoni una lucida regia e Bruno Conti la fantasia e la capacità di saltare l’uomo che serve. In attacco Paolo Rossi è come detto letale nella fase finale, mentre Graziani al gol decisivo per il passaggio del primo turno abbina corsa e sacrificio.


La Germania Ovest ha perso il CT Schön ed ha così ritrovato il ribelle Paul Breitner, che guida la squadra non più da terzino ma da regista: la difesa è affidabilissima, con Schumacher tra i pali, i fratelli Karlheinz e Bernd Förster in difesa insieme a Kaltz e Stielike. A centrocampo giganteggiano Breitner e Briegel, in attacco la classe di Rumenigge e Littbarski non è però assecondata da un bomber degno di questo nome: Fischer, Hansi Muller e Hrubesch sono buoni giocatori, ma non fenomeni.


Nella Polonia terza brilla ancora una volta un trittico composto dai soliti Zbigniew Bonierk e Grzegorz Lato, mentre al posto di Deyna assente brilla la stella del bomber Szarmach. La Francia quarta mette in mostra il “calcio-champagne” con un centrocampo dall’altissimo contenuto tecnico composto da “Le Roi” Michel Platini, Jean Tigana e Alain Giresse: i “Bleus” ottengono la loro miglior prestazione nella storia fino a quel momento, perdendo la semifinale con la Germania Ovest solo ai rigori e dopo essere stati in vantaggio, ai supplementari, per 3 a 1.

Altre stelle sparse. Nel Camerun che esce senza sconfitte brillano il portiere Nkono (idolo di un piccolissimo Gigi Buffon) e la punta Roger Milla, nel Perù ci sono i soliti Chumpitaz e Cubillas, l’Austria si affida ancora alla velocità di esecuzione del trio ProhaskaSchachnerKrankl, l’Argentina mostra al mondo due nuovi talenti: Jorge Valdano e quello che per moltissimi sarà il più forte giocatore di sempre, Diego Armando Maradona, che si affiancano ai “reduci” Fillol, Bertoni, Passarella e Kempes, peraltro deludente. 


Il Belgio del “santone” Guy Thys vanta forse il miglior portiere al mondo all’epoca, Jean-Marie Pfaff, ed un centrocampo interessante che vede la presenza di Ceulemans e Vandereycken. L’Inghilterra delude le aspettative perché pur vantando una difesa solida ed un centrocampo impreziosito dalla presenza di Kevin Keegan, Glenn Hoddle e Bryan Robson manca di un finalizzatore in avanti. L’Irlanda del Nord sorprende tutti: spiccano l’ala dal look bizzarro Noel Brotherston, la punta Gerry Armstrong autore di 4 gol e il giovanissimo Norman Whiteside, più giovane esordiente di sempre ad un Mondiale a 17 anni e 41 giorni. Nell’Algeria che viene eliminata soltanto da un vergognoso “accordo di non belligeranza” tra Austria e Germania brilla la stella di Rabah Madjer, futuro “Tacco di Allah” e campione d’Europa e Intercontinentale con il Porto.


Il Brasile è bellissimo e incompiuto, uscendo ancora una volta più per un eccessiva sicurezza in se che per limiti tecnici. Anzi, il centrocampo è da favola, con Falcao, Cerezo, Leo Junior, Socrates e Zico. I limiti sono il portiere Valdir Peres e la grossa e goffa punta Serginho Chulapa, tecnicamente mediocre e la cui presenza serve unicamente per fare da sponda agli inserimenti delle mezzepunte. Infine l’URSS getta le basi per quello che nel 1986 sarà “il calcio del 2000”: in porta Dasaev è già una certezza, in attacco Oleg Blochin (Pallone d’Oro nel 1975) è temibile, ma i due non bastano ai sovietici per lasciare il segno. Il CT Beskov sarà allontanato e al suo posto arriverà un tale Lobanovski, uomo destinato a lasciare il segno nel calcio mondiale. 

#L’EPISODIO
Il Kuwait partecipa per la prima (e per ora ultima) volta ad un Mondiale: calcisticamente sempre stato insignificante, l’emirato cresce di spessore negli anni ’70, conquistando diverse “Coppe del Golfo”. Nel 1980 organizza la Coppa d’Asia, che vince sconfiggendo in finale la Corea del Sud. Quella che si qualifica ai Mondiali di Spagna è dunque una buona squadra, sicuramente la migliore nella storia del paese, sostenuta con passione dagli emiri. 
L’esordio mondiale è un clamoroso pareggio con la Cecoslovacchia, un 1 a 1 che va persino stretto agli asiatici e che sembra aprire la strada per una clamorosa qualificazione. Il sogno sfuma già alla seconda gara, quando la deliziosa Francia di Platini sconfigge i volenterosi ma mediocri kuwaitiani: in questa partita accade un fatto divertente quanto increscioso.


Sul 3 a 1 per i “bleus”, Giresse raccoglie un lancio dalle retrovie, la difesa araba si ferma e per la mezzala del Bordeaux è un gioco da ragazzi segnare. Ma perché i giocatori del Kuwait si sono fermati? Semplice, avendo udito un fischio credevano che l’avversario fosse stato colto in fuorigioco (peraltro inesistente) e quindi hanno lasciato correre. L’arbitro russo Stupar sostiene però di non aver fischiato niente, probabilmente gli arabi si sono confusi con un rumore dagli spalti. Ne nasce una discussione, si sfiora la rissa con i francesi, fino a quando lo sceicco Fahad Al-Ahmed Al-Jaber Al-Sadah, presidente della federcalcio del Kuwait, irrompe in campo dagli spalti prendendo l’arbitro da parte e discutendoci animatamente.
Nell’incredulità di tutti, il risultato è che la rete viene annullata senza un motivo. Una scena inutile, visto che i francesi segneranno poi lo stesso il 4 a 1 con Bossis, ma che porterà alla radiazione dell’arbitro e all’affossarsi della credibilità del Kuwait nel calcio mondiale.


Lo sceicco troverà la morte nel 1990, ucciso dai soldati iracheni nell’invasione del suo paese voluta da Saddam Hussein: il corpo sarà mostrato per le strade della sua città e quindi seppellito sotto falso nome allo scopo di renderne difficoltoso il riconoscimento. 

#IL PROTAGONISTA

Cresciuto nella squadra giovanile del Santa Lucia di Prato (la squadra del quartiere dove vivo NdR) che poi lancerà anche Christian Vieri e Alessandro Diamanti, Paolo Rossi si aggrega giovanissimo alla Juventus e nonostante una pletora di infortuni riesce ad esordire in bianconero non ancora diciottenne.
A vederlo non gli daresti una lira: non è alto, è piuttosto mingherlino, tecnicamente è buono ma non eccellente, è rapido ma non velocissimo. Certo qualcosa ci devono vedere, alla Juventus, ma non è abbastanza: dopo un anno sfortunato in prestito al Como, viene ceduto in comproprietà al Lanerossi Vicenza. Qui trova l’allenatore giusto, Giovan Battista Fabbri, che lo mette al centro dell’attacco ricavandone in cambio 21 reti che portano i bianco-rossi in Serie A. Il secondo anno a Vicenza è addirittura da sogno: i veneti arrivano secondi in campionato da neo-promossi, Rossi segna e incanta grazie alla sua grandissima capacità di intuire dove finirà il pallone una volta giunto in area, un fiuto del gol raramente visto in un giocatore tanto giovane. C’è da risolvere la comproprietà con la Juventus, e il Presidente Farina spara alto, acquistandone l’intero cartellino per oltre 2,5 miliardi di lire, una cifra folle per l’epoca. Ma si parla di un calciatore già fortissimo, convocato da Bearzot per il Mondiale del 1978 dove tra l’altro fa bella figura in coppia con Bettega. Ma proprio quando sta per volare, Paolo Rossi cade per la prima volta.

Accade la stagione successiva. Dopo il secondo posto da neo-promossi, al Vicenza sognano in grande ora che Rossi è tutto loro: eppure nonostante i suoi 15 gol niente gira per il verso giusto, e alla fine arriva la clamorosa retrocessione in B. Rossi è un lusso che la cadetteria non può permettersi, ed è per questo che il Vicenza lo cede al Perugia, giovane squadra rampante, con un prestito biennale molto oneroso: 500 milioni a stagione. Per permetterselo, gli umbri per la prima volta in Italia mettono uno sponsor sulla propria maglia. Rossi segna come sempre, ma come detto per ogni suo volo ci sarà sempre una ricaduta: accade nella primavera del 1980, Rossi viene accusato di aver “aggiustato” il pareggio tra Avellino e Perugia e viene condannato ad una squalifica esemplare di due anni. Addio Europei del 1980 in casa, dove non a caso gli azzurri deluderanno, e addio Perugia. Per un po Rossi pensa anche di lasciare il calcio, disgustato da quella che a suo dire è “una squalifica ingiusta, dovuta solo a coincidenze”. Invece no, questo gracile cigno cade spesso ma si rialza sempre: torna a bussare alla sua porta la Juventus, che lo aveva scaricato da giovane e che ora lo rivuole nonostante manchi ancora un anno al suo ritorno in campo. Rossi accetta.


Torna in campo nella primavera del 1982, in tempo per giocare le ultime tre gare di campionato. Segna anche una rete, a dimostrazione che se il fisico è arrugginito il fiuto è sempre quello. Se ne accorge anche Bearzot, che contro ogni logica e ogni volere di popolo decide di convocarlo per i Mondiali.
Non solo: per lasciarlo tranquillo, rinuncia al capocannoniere del campionato, Roberto Pruzzo, preferendo convocare al suo posto il più modesto Selvaggi.
La critica è impietosa, l’Italia delude in ogni amichevole prima del torneo spagnolo e anche nel girone si qualifica senza vincere una gara con Perù, Polonia e Camerun: Rossi è impalpabile, l’ombra del bomber che fu, eppure Bearzot continua ad avere fiducia in lui. Lo schiera anche contro l’Argentina, dove fa il suo compito pur senza strafare: ma il CT, come Fabbri al Vicenza molti anni prima, ha capito che giocatore ha tra le mani. Non è un problema fisico, è solo una questione mentale, di convinzione nei propri mezzi. Lo prende da parte e gli dice che si, nella gara decisiva contro il Brasile, quella che vale la semi-finale, sarà ancora il suo centravanti.


Il resto è storia: Rossi segna tre reti ai fortissimi verde-oro, l’Italia agguanta una semifinale insperata e la vince, ancora con due reti del bomber un tempo criticato da tutti e sul cui carro ora tutti vogliono salire. C’è la finale, ma è quasi una formalità con un Rossi così: apre le danze, Tardelli e Cabrini le chiudono, l’Italia è Campione del Mondo. Bearzot per tutti diventa un mago, Rossi il miglior centravanti al mondo, tanto che a fine anno vince il Pallone d’Oro. Si sa, è il calcio. 


Il resto della carriera non è certo da buttare: un altro Scudetto con la Juve, una Coppa Italia, una Coppa delle Coppe, la prima Coppa dei Campioni nella storia della Juventus vinta da capocannoniere. Eppure per tutti Paolo Rossi sarà sempre quello del “Mundial dell’82”, quello che fece piangere il Brasile. Tanto che nel 1989, trovandosi nel paese verde-oro per il “Mundial over-35” (anche noto come “Coppa Pelé”) si vede intimare da un tassista di scendere una volta riconosciuto e solo dopo una lunga trattativa ottiene di essere riportato al suo albergo. Più delle coppe e dei gol, forse, il segno più tangibile di quello che Paolo Rossi ha scritto in quella magica estate spagnola. 

Fonti: Wikipedia, “Storia dei Mondiali di Calcio” (Bocchio-Tosco), “Ho fatto piangere il Brasile” (P.Rossi) 

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