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Calcio

I PROTAGONISTI DEL MONDIALE (16^ puntata): Francia 1998

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La Francia, patria del padre del Mondiale e della FIFA, si impone in casa coronando un sogno inseguito da sempre e lo fa grazie ad una nazionale fantastica e multirazziale. Zidane diventa un campione a 360°, mentre il fenomenale brasiliano Ronaldo misteriosamente ha un malore la notte prima della finale.

Le precedenti puntate:

– URUGUAY 1930
– ITALIA 1934
– FRANCIA 1938
– BRASILE 1950
– SVIZZERA 1954 
– SVEZIA 1958 
– CILE 1962

– INGHILTERRA 1966

– MESSICO 1970

– GERMANIA OVEST 1974
– ARGENTINA 1978
– SPAGNA 1982
– MESSICO 1986
– ITALIA 1990
– U.S.A. 1994


#IL MONDIALE
Dopo sessant’anni esatti, il Mondiale torna in Francia, la patria della FIFA, del suo primo Presidente (Robert Guerin) e del principale promotore del torneo, Jules Rimet, anch’egli a lungo presidente dell’associazione e proprio negli anni cruciali per l’affermazione del calcio.
Il torneo vede per la prima volta la partecipazione di 32 squadre, con le prime due di ognuno degli otto gironi che accederanno al secondo turno senza ulteriori ripescaggi. I padroni di casa della Francia hanno mancato le ultime due qualificazioni mondiali, e dopo il secondo fallimento hanno messo in atto una rivoluzione epocale, facendo fuori la vecchia guardia (rappresentata da Cantona, Papin e Ginola) in favore di giovani rampanti che agli Europei del 1996 hanno ottenuto il confortevole traguardo delle semi-finali. 
Al Mondiale sono comunque considerati degli outsider, visto che il Brasile del “Fenomeno” Ronaldo, a 22 anni già considerato il più forte giocatore del globo, ha i favori unanimi degli addetti ai lavori: dietro ai verde-oro le solite Italia, Germania e Argentina, mentre altre ottime outsider sono indicate in Olanda, Inghilterra e Spagna. A livello spettacolare il torneo segna un netto miglioramento rispetto alla precedente edizione americana, e le sorprese non mancano: la Bulgaria che negli Stati Uniti era arrivata quarta, pur potendo contare sugli stessi uomini, esce subito collezionando appena un punto. Nello stesso girone anche la Spagna saluta per via degli errori dell’anziano portiere Zubizarreta e di un attacco che come sempre manca di peso specifico. Impalpabili le presenze di Giappone (all’esordio Mondiale) e Stati Uniti, emerge la Nigeria guidata dallo slavo giramondo Milutinovic e la Croazia, Nazionale nata appena 5 anni prima dal discioglimento dell’ex-Jugoslavia, comunque presente a questa rassegna per l’ultima volta.
Mentre i nigeriani crollano al secondo turno, la Croazia va avanti, così come l’Italia che supera la rivelazione Norvegia, il Brasile che schianta un fin lì ottimo Cile e l’Olanda. Tra Argentina e Inghilterra finisce a favore dei sudamericani ai supplementari, dopo uno splendido gol che rivela al mondo il talento di Michael Owen e una ingenua espulsione di Beckham che lascia i suoi in 10, i padroni di casa della Francia faticano contro un Paraguay leggero in attacco ma dalla difesa granitica e anche la Germania fa fatica a sbarazzarsi del Messico: i tedeschi rimontano dallo 0 a 1 al 2 a 1 finale, ma nel mezzo ci sono stati molti errori dei centro-americani.


La Germania quindi pare stanca, e l’impressione viene confermata ai quarti: la Croazia gioca sul velluto e la schianta per 3 a 0, accedendo alle semifinali. Dove arrivano anche la Francia vittoriosa ai rigori contro l’Italia, il Brasile degli straordinari Ronaldo, Bebeto e Rivaldo (fuori la Danimarca rivelazione) e infine l’Olanda, che supera l’Argentina grazie ad uno strepitoso gol di Bergkamp all’ultimo minuto. Le semifinali sono tese e vibranti: nella prima il Brasile ha la meglio sull’Olanda solo ai rigori dopo un pareggio per via delle reti di Ronaldo e Kluivert, con il portiere Taffarel eroe come già 4 anni prima in finale a Pasadena. Nella seconda semifinale si scontrano Croazia e Francia, due squadre che nessuno si aspettava potessero arrivare fino a questo punto.


E’ decisamente LA PARTITA di Lilian Thuram, prodigioso difensore tra i migliori centrali al mondo ma che in Nazionale gioca da terzino destro: sbaglia a far scattare il fuorigioco e la Croazia, a inizio ripresa, passa con Suker. Un minuto dopo però, determinatissimo, rimette le cose a posto superando il portiere avversario dopo un triangolo con Djorkaeff. A 20′ dalla fine, poi, sradica il pallone dai piedi di Jarni e spara una botta dalla distanza che sorprende Ladic. Il risultato non si sblocca più, la Francia va in finale grazie alle uniche 2 reti (in 142 gare) di Thuram con la maglia dei “bleus”.


In finale tutti si attendono il Brasile, che però si presenta al via della gara con Ronaldo in condizioni fisiche pietose: la Francia domina  fin da subito e chiude la gara nel primo tempo grazie a due gol-fotocopia, di testa, di Zinedine Zidane, l’uomo più atteso dai francesi ma fino a quel momento a dir poco deludente. Petit a tempo scaduto realizza il 3 a 0 di una partita mai veramente cominciata da parte dei brasiliani, i tifosi sono in delirio. La Francia è, per la prima volta nella sua storia, Campione del Mondo. E’ il trionfo di un CT mite ma dalle idee chiare ed è soprattutto il riconoscimento al paese primo al mondo per integrazione e apertura culturale: nella Francia campione giocano infatti l’algerino Zidane, l’armeno Djorkaeff, il ghanese Desailly, Thuram che è originario della Guadalupa, e Karembeu, che proviene addirittura dalla Nuova Caledonia. La prima volta della Francia, quindi, è il trionfo di un popolo multirazziale e di un gruppo dal talento cristallino.
 
#GLI EROI
La Francia campione vede la propria porta protetta dal pittoresco portiere Barthez, la cui “pelata” viene baciata prima di ogni gara dal libero e capitano Laurent Blanc. Compagno di reparto di Blanc è il massiccio e completo Desailly, a destra agisce Thuram mentre a sinistra sgroppa il talentuoso basco Lizarazu. Il centrocampo è un mix di potenza (Petit, Karembeu) e classe (Djorkaeff, Zidane) tenuto insieme dalle geometrie di Deschamps. In attacco Stephane Guivarc’h non segna e non da spettacolo ma con il suo fisico apre gli spazi agli inserimenti dei centrocampisti e svolge il cosiddetto “lavoro sporco”.


Il Brasile finalista non è da meno, per quel che riguarda la classe: il CT Zagallo (già campione del mondo da giocatore nel ’58 e nel ’62 e poi da tecnico nel ’70 e assistente di Parreira nel ’94) si affida alla classe di Bebeto e Ronaldo in attacco, mentre il “quadrato magico” del centrocampo ha in Leonardo e Rivaldo i vertici alti e in Dunga e Cesar Sampaio quelli bassi. Sulle fasce furoreggiano Roberto Carlos e Cafu, forse i migliori esterni difensivi nella storia del calcio moderno, mentre il portiere Taffarel è difeso dai non impeccabili Aldair e Junior Baiano


I croati, da sempre, sono chiamati “i brasiliani d’Europa”. La Croazia, dunque, è un concentrato di puro talento che stavolta trova anche una certa continuità: a centrocampo impressionano la classe di Prosincecki e Boban e la costanza di corsa e rendimento degli esterni Stanic e Jarni. In attacco ai gol provvede Davor Suker, capocannoniere del torneo, ben affiancato dal generoso Vlaovic. Il terzo posto è tutt’altro che frutto del caso, dunque.


Il quarto posto va all’Olanda, dove i maturi gemelli De Boer, Winter e Bergkamp fanno da chioccia ad una generazione splendida che comprende il portiere Van der Sar, i difensori Reiziger e Stam, i centrocampisti Seedorf, Davids, Zenden e Overmars e la punta Kluivert
Altre stelle sparse sono il marocchino Moustapha Hadji, il colossale e tecnicissimo centravanti norvegese Tore Andre Flo, la punta del Camerun Patrick Mboma (alle cui spalle scalpita un giovanissimo Samuel Eto’o, 17 anni) e il duo di attaccanti del Cile Ivan Zamorano e Marcelo Salas, autentici fuoriclasse purtroppo male assistiti da una nazionale mediocre.
La sfortunata Italia (fuori ai rigori con la Francia, se passava in tanti la davano per favorita) presenta campioni come Del Piero, Roberto Baggio, Vieri e Inzaghi in attacco, Albertini, Di Biagio e Dino Baggio a centrocampo, Nesta, Cannavaro e Maldini in difesa.


La Danimarca è una rivelazione solo parziale, avendo vinto gli Europei nel 1992 e potendo contare su giocatori del calibro di Schmeichel – per molti miglior portiere al mondo – il duro Tofting a centrocampo e i fratelli Brian e Michael Laudrup davanti. La Bulgaria presenta i soliti Balakov, Stoichkov, Kostadinov e Ivanov, ma sono campioni ormai invecchiati e i risultati sono pessimi.  Nella Nigeria ci sono sempre Okocha, Finidi George e Oliseh, ma vengono affiancati da giovani talenti emergenti come l’interista Kanu ed il rapidissimo Babangida, che la rendono una squadra fortissima davanti ma fragile dietro, il contrario del Paraguay che se in attacco è nullo in difesa vanta fuoriclasse come il duo GamarraCelso Ayala, il terzino Arce e soprattutto il carismatico portiere Jose Luis Chilavert: gli uomini guidati dal brasiliano Carpegiani si arrendono solo ai supplementari contro i futuri campioni francesi.


Nel Messico spiccano il portiere Jorge Campos e le punte Hernandez e Blanco. La Germania campione d’Europa in carica presenta una squadra vecchia e stanca: hanno almeno trent’anni Klinsmann, Reuter, Bierhoff, Marschall, Hassler, Kohler, Helmer, Thon, Moller, Kirsten, Matthaus e il portiere Kopke. L’Iran non fa granché, ma perlomeno vince la sfida “storica” con gli USA, mettendo in mostra alcune individualità come i centrocampisti Madhavikia e Bagheri e le punte Azizi e Ali Daei. Nella Jugoslavia è l’ultimo ciak mondiale per campioni come Savicevic, Mihaijlovic, Stojkovic e Mijatovic. L’Inghilterra se la cava, ma poteva fare molto meglio grazie al duo d’attacco Shearer & Sheringham, il giovane fenomeno Michael Owen, i centrocampisti Ince, Batty, Beckham, Scholes e McManaman. Dicono addio al grande calcio anche i rumeni Hagi, Popescu e Lacatus con una prestazione tutto sommato positiva, mentre nell’Argentina emergono i centrocampisti Ortega e Gallardo e soprattutto futuri fuoriclasse come Veròn, Javier Zanetti e le punte Hernan Crespo e Claudio Lopez. La combinazione di questi talenti con campioni affermati come Batistuta, Simeone e Balbo rendono l’albi-celeste squadra forte ma sbilanciata, spettacolare ma fragile.

#L’EPISODIO
La vigilia della finale tra Brasile e Francia viene scossa dal mistero Ronaldo: il giovane ma già affermato “Fenomeno” di Rio, fino a quel momento protagonista del Mondiale, accusa un malore la notte precedente la gara mentre nella sua camera d’albergo segue il Gran Premio di Gran Bretagna. Il compagno di stanza Roberto Carlos se ne accorge e da l’allarme, e nell’Hotel Grand Romaine si scatena il panico, con voci che dicono che il giovane campione sia addirittura morto. Ronaldo viene portato alla “Clinique Les Lillas” e gli viene somministrato il Gardenale, potente inibitore dei centri nervosi: la diagnosi immediata è infatti stress da superattività, confermata dagli spasimi e dalle convulsioni mostrate. 
Il giorno della finale non è chiaro se Ronaldo sarà della gara, e fino all’ultimo si dice che il suo posto verrà preso da Edmundo, ma quando le squadre scendono in campo il campione dell’Inter è al suo posto: fisicamente, perché mentalmente sembra essere scarico ed esausto, e le voci sul fatto che giochi unicamente per ragioni di sponsor trovano ragione nella sua gara grigia, opaca.


Vaga per il campo senza un perché, il Brasile senza di lui si spegne e la Francia ha vita facile, colpendo per due volte con Zidane, lasciato liberissimo in area da una squadra evidentemente ancora sotto shock. 
Solo nel 2012 il cardiologo Bruno Carù, dopo aver letto la cartella clinica, arriverà ad una diagnosi opposta rispetto a quella fatta dai medici francesi: si è trattato di un attacco di cuore per via della posizione innaturale assunta davanti alla TV, con calo della frequenza cardiaca e della pressione e conseguente perdita di conoscenza. I farmaci, dunque, non solo non hanno curato Ronaldo, ma hanno addirittura rischiato di ucciderlo.
E’ solo il primo di una lunga lista di episodi che colpirà lo splendido e sfortunatissimo campione brasiliano, per molti il più forte giocatore degli ultimi vent’anni.

#IL PROTAGONISTA 
Il suo nome, in arabo, significa “bellezza della religione”. Un nome decisamente azzeccato per quello che è stato un divino interprete dell’arte del calcio, per milioni di persone qualcosa che va addirittura oltre il credo.
E pensare che papà Smaïl, venuto in Francia da giovane dalla Cabilia per fare il muratore, voleva tornarsene in Algeria: il paese era finalmente libero, c’era la speranza di ricominciare a casa propria e non in terra straniera. Ma poi l’amore si mette di mezzo: incontra Malika, anche lei originaria di quelle parti, al porto di Marsiglia.
E’ amore, i due si sposano, decidono di rimanere in Francia e mettono al mondo cinque figli. Il più piccolo di questi lo chiamano Zinedine, “bellezza della religione” appunto. Il mondo lo conoscerà come Zinedine Zidane, il più grande calciatore francese di sempre dopo Platini. Che cresce giocando per strada, abitudine che affina la sua tecnica e la sua capacità, con quel fisico che si ritrova, a tenere lontano chi tenta di rubargli il pallone. Allo stesso tempo non ne stempera il carattere fumantino, anche perché per strada devi farti rispettare con le buone o con le cattive.
La svolta arriva quando, quindicenne, viene notato da Jean Varraud, un osservatore del Cannes: questi lo porta in città per sottoporlo a un provino con il club, l’esito è favorevole, “Zizou” è preso. Qualche anno prima il fratello maggiore Nourredine aveva avuto la stessa possibilità con il Saint-Etienne, ma papà Smaïl aveva ritenuto il ragazzo troppo giovane per andarsene da Marsiglia. Con Zinedine, però, non c’è niente da fare.
E così il ragazzo si trasferisce a Cannes, dove fa il suo esordio in prima squadra molto presto, ancora sedicenne. E’ un talento puro, un orso – fisicamente – ma con l’eleganza di un ballerino. Incanta, il Cannes punta su di lui e lui ripaga la scommessa con prestazioni superbe. Ma forse la società punta troppo solo su di lui, e così arriva la classica stagione in cui niente gira per il verso giusto: la squadra retrocede, Zinedine deve essere ceduto e finisce al Bordeaux. E’ l’inizio di una carriera che forse nessuno, nemmeno lui, osa anche solo immaginare.
Perché è bravo Zidane, e trova l’ambiente ideale per esplodere: un allenatore, marsigliese come lui, che lo soprannomina “Zizou” e che lo capisce, facendone il perno del gioco; due compagni fenomenali, il terzino di origine basca Bixente Lizarazu e il centravanti-guascone Cristophe Dugarry. I tre formano “il triangolo di Bordeaux”, danno spettacolo e conducono la squadra sempre tra le prime della Ligue 1. “Zizou” è senza dubbio il migliore, tanto che a 22 anni vince il premio come miglior giovane del campionato e trova la Nazionale: un esordio da stropicciarsi gli occhi, quello contro la Repubblica Ceca. Zidane, che da poco si è sposato, entra con la squadra bloccata dagli avversari e segna le due reti che valgono la vittoria, dedicandole alla moglie Veronique, che aspetta il primo dei loro figli.
E’ una Francia devastata da due mancate qualificazioni ai Mondiali consecutive: Platini si è ritirato e da allora niente è andato per il verso giusto, il nuovo CT Aimé Jaquet tenta di ricostruire dalle macerie di una generazione (quella di Cantona, Ginola, Papìn) di indubbi campioni che però hanno deluso con la maglia dei “bleus”.

La stagione 1995-1996 è quella che fa conoscere Zidane al grande pubblico internazionale: lui, Dugarry e Lizarazu guidano il Bordeaux dai turni ultra-preliminari dell’Intertoto alla finale di Coppa UEFA, schiantando anche il Milan con una magistrale gara di ritorno dove rimontano il 2 a 0 subito all’andata con un roboante 3 a 0. Dugarry segna due reti e verrà preso dal Milan, mentre “Zizou”, che ha messo i due assist, viene acquistato dalla Juventus, che in lui intravede le stimmate del fuoriclasse assoluto, del nuovo Platini. Prima dell’Italia, però, ci sono gli Europei del 1996: Zidane gioca male pur avendo la massima fiducia del CT, la Francia delude ancora. Quando arriva in Italia c’è quindi un certo scetticismo, perché un conto è fare il fenomeno in Francia e un conto è giocare in Italia.
“E’ lento”, dicono. “Goffo”. “Sembra sempre che stia per scappargli via il pallone”. Sembra, appunto: perché Zidane è così, ha una padronanza talmente perfetta della sfera che può permettersi di far finta di perderla, invitando l’avversario a soffiargliela solo per fargliela sparire sotto il naso e scappare via. E’ anemico, pure, ma quando sei cresciuto nelle strade di Marsiglia non hai certo paura di qualche calo fisico. Il primo mese alla Juve serve per prendere le misure, e quando l’Avvocato Agnelli ricorda che anche Platini faticò, prima di diventare il campione assoluto che fu, è buon profeta. Zidane infatti, dopo un paio di mesi, prende in mano la squadra: nella prima stagione arrivano lo Scudetto numero 24, la Coppa Intercontinentale e la Supercoppa Europea. La Juventus guidata da quel trequartista grande, grosso eppure incredibilmente agile sembra inarrestabile, e anche in Champions League i bianconeri si fermano solo in finale, sconfitti in maniera abbastanza inaspettata dal sorprendente Borussia Dortmund. 


La stagione successiva ci sono tutte le possibilità di ripetersi e addirittura migliorarsi: e la Juventus si ripete – vincendo ancora lo Scudetto – ma non si migliora. Raggiunta ancora una volta la finale di Champions League, viene ancora una volta beffata, stavolta dal Real Madrid di Mijatovic.
E’ la terza finale di coppa consecutiva che Zidane perde, e qualcuno pensa bene, alla vigilia del Mondiale, di farlo notare. E’ così che Zidane diventa per la stampa d’oltralpe “Le Chat Noire”, il gatto nero. Simbolo di sfortuna.
“Zizou”, nell’estate del 1998, affronta dunque il Mondiale con il mirino della critica addosso nonostante le superbe prestazioni offerte in quasi ogni gara. E bravo, si, dicono i critici: ma quando la partita conta lui sparisce.
Deciso a smentire le voci di chi giudica il calcio così grossolanamente, affronta il Mondiale con rabbia e determinazione, le stesse che aveva nelle polverose strade di Marsiglia da bambino. La prima gara vede i francesi trionfare facilmente sul Sudafrica, mentre nella seconda la vittima predestinata è l’Arabia Saudita, regolata per 4 a 0 con una doppietta a testa di due giovani promettenti, David Trezeguet e Thierry Henry. Reminescenze del passato tornano però a galla per “Zizou”, quando a gara già chiusa reagisce calpestando l’avversario che gli ha rifilato l’ennesimo fallo.
Viene squalificato per due gare, dove la Francia dimostra di non patire poi troppo la sua assenza: contro la Danimarca è l’amico-rivale Djorkaeff, altro splendido talento, a ispirare la vittoria, mentre agli ottavi di finale ci pensa il capitano Laurent Blanc a sbloccare la difficile sfida contro gli spigolosi paraguaiani, così aggressivi da far temere a tutti che, fosse stato in campo, Zidane sarebbe potuto addirittura finire in galera visto il carattere.
Che molti cominciano a considerare fragile e che la prestazione contro l’Italia ai quarti, opaca, non contribuisce a smentire: al suo rientro Zinedine sembra voler strafare, gli riesce poco o niente, ma la sorte – che tante volte gli ha voltato le spalle – stavolta gli da una mano. Di Biagio ai rigori coglie la traversa, la Francia è in semifinale. L’attende la rivelazione Croazia, squadra dura e di gran talento, che non è arrivata fino a lì per caso: può essere la partita di Zidane, è invece la gara di Lilian Thuram, che segna le uniche due reti della sua carriera in Nazionale rimontando il gol di Suker e regalando ai francesi il sogno della finale Mondiale. Si, ma Zidane? Contro il Brasile di Rivaldo, Leonardo, Ronaldo e Bebeto sarà il caso di farlo giocare? Non se ne può fare a meno, visto che finora ha fatto poco e niente e che, oltretutto, pare pure porti sfiga?

Aimé Jacquet ha il carattere testardo degli uomini della Loira. La critica non gli ha lasciato scampo per tutto il periodo del Mondiale, nonostante i risultati ottenuti, ed ha ottenuto solo di rafforzare ancor di più le sue convinzioni. Non solo è un fine stratega (in questo Mondiale porrà le basi per il 4-2-3-1 utilizzato poi da tutti negli anni successivi) ma anche un attento psicologo: sceglie gli uomini, prima dei calciatori, come i grandi CT.
E Jacquet decide: Zidane giocherà. Lo ha sempre messo al centro del suo progetto, perché toglierlo proprio adesso?
La gara con il Brasile è storia: Ronaldo si sente male la notte prima, il Brasile appare irriconoscibile, eppure i francesi hanno le gambe che tremano, quelle di chi arriva ad un passo dal traguardo tanto sognato e proprio per questo sente le forze venir meno. Zidane e Djorkaeff mettono due volte Guivarc’h, centravanti che in Nazionale non ne indovina una, in condizione di superare Taffarel, ma niente. Ci sono tutti gli ingredienti per una beffa, per essere marchiato a fuoco – e per sempre – con quell’odioso soprannome di “gatto nero”, come se arrivare SOLO in finale non fosse comunque un successo.
No, Zidane non ci sta. Il destino deve cambiare. E cambia.


Petit batte un calcio d’angolo dalla sinistra, la palla arriva in area. Ricordate le strade di Marsiglia? Bene, se c’è un difetto che Zidane ha sempre avuto è il gioco aereo. Questo perché quando giochi per strada raramente la palla si alza, difficilmente ci si trova in condizione di giocare di testa. Praticamente, si può dire che nonostante sia alto quasi 190 centimetri, non ha mai segnato con un colpo di testa. E su quel pallone che vola in area che fa Zidane? Svetta di testa, anticipando Leonardo, e sbatte il pallone in rete. E’ quasi incredulo quando se ne rende conto, quando i compagni lo abbracciano. Tutti sanno che, contro quel Brasile, contro quel Ronaldo, quel gol vuol dire vittoria. 
Ma per esserne sicuri meglio fare il 2 a 0. Calcio d’angolo stavolta dalla destra, i brasiliani marcano – se così si può dire – gli specialisti francesi. “Zizou” non è uno specialista, gode di un po di libertà. Tanto basta. Un altro colpo di testa, un altro pallone in fondo al sacco. Gol, due a zero. Il resto della partita è accademia, l’attesa di una festa mai vissuta prima dai francesi, il 3 a 0 di Petit arriva a tempo scaduto.


La Francia è campione del mondo. Una Francia multi-etnica, dove tra lo sguardo duro del canaco Karembeu, i cui nonni venivano esibiti nei circhi come primati, e quello furbo e armeno di Djorkaeff, spiccano gli occhi orgogliosi e chiari di questo berbero predestinato, passato in poco tempo da essere “il gatto nero” all’erede designato di Platini. Per alcuni più grande addirittura di “Le Ròi”, e del resto c’è un titolo mondiale a testimoniarlo.
Un titolo deciso da due gol di Zidane, due gol NON DA ZIDANE ma comunque importanti, significativi. Perché Zinedine Yazid Zidane è un campione, un maestro della tecnica individuale, un fuoriclasse: ma quello che in molti non capivano, e che Jacquet – coerentemente dimessosi una volta conquistata la Coppa del Mondo – sapeva con certezza, era che Zidane prima di tutto è un uomo vero. Il resto della carriera è lì a testimoniarlo: quell’anno vince il Pallone d’Oro, due anni dopo i francesi conquistano anche l’Europeo. Nel 2001 passa, prossimo ai trent’anni, al Real Madrid, che per acquistarlo paga 150 miliardi di lire, una cifra mai più spesa per un giocatore di quell’età.
Vero è che la Juventus vince anche senza di lui, ma non è che Zidane si fermi: anzi arriva finalmente la Champions League, che il Real conquista grazie ad un suo splendido gol, al volo, che andrebbe visto e rivisto per far capire a chi sogna di fare il calciatore cosa vogliano dire classe, eleganza, potenza e coordinazione in un solo gesto. Un gol strepitoso.


Chiude la carriera nel 2006, nei minuti finali della finale dei Mondiali di calcio contro l’Italia. Provocato da Materazzi, che offende la sua famiglia e le sue sorelle, reagisce con una testata e viene espulso. I due erano stati protagonisti della gara fino a quel momento, con “Zizou” che aveva realizzato con classe un rigore e il rude difensore dell’Inter che di testa aveva pareggiato. La Francia perde ai rigori, in tanti si affrettano a dargli la colpa per quell’espulsione che forse poteva essere evitata, ma in realtà sono accuse gratuite, visto che i 120′ erano praticamente finiti. Si dirà che è un brutto modo per chiudere una carriera come la sua, ma alla fine la verità è che se la si vuole considerare una macchia questo non cancellerà quanto di grande fatto vedere in quasi vent’anni di carriera: visione di gioco, tecnica, abilità nell’assist e nel tiro, un dribbling praticamente impareggiabile, l’incredibile capacità di essere sempre nel posto giusto al momento giusto e di giocare in quasi ogni ruolo. Zinedine Zidane è stato questo. Un “chat noire” diventato più grande di “Le Roi”. Un giovane berbero diventato eroe dei francesi.

 
Fonti: “Wikipedia”, “Storia dei Mondiali di Calcio” (Bocchio-Toscano), www.storiedicalcio.altervista.org 

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