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Calcio

I PROTAGONISTI DEL MONDIALE (17^ puntata): Giappone & Corea del Sud 2002

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Il Mondiale si sposta in Asia, lo organizzano due paesi (Giappone e Corea del Sud) ma anche stavolta il campione può essere immancabilmente uno solo: la spunta ancora il Brasile, che si prende il 5° titolo della sua storia grazie al ritrovato talento del “Fenomeno” Ronaldo, che si mette finalmente alle spalle un periodo oscuro che purtroppo per lui non sarà l’ultimo.

Le precedenti puntate:

– URUGUAY 1930
– ITALIA 1934
– FRANCIA 1938
– BRASILE 1950
– SVIZZERA 1954 
– SVEZIA 1958 
– CILE 1962

– INGHILTERRA 1966

– MESSICO 1970

– GERMANIA OVEST 1974
– ARGENTINA 1978
– SPAGNA 1982
– MESSICO 1986
– ITALIA 1990
– U.S.A. 1994
– FRANCIA 1998

#IL MONDIALE
Quello del 2002 è un Mondiale atipico e dei record: per la prima volta infatti il torneo viene ospitato in un Continente che non è l’America o l’Europa, e per la prima volta viene organizzato da due paesi congiunti, Giappone e Corea del Sud. Ciò avviene dopo il ritiro della Corea del Nord, che si era offerta in prima istanza di ospitare la manifestazione insieme ai “cugini” del sud. Subentra il Giappone, paese che da anni sta cominciando ad amare il calcio in modo viscerale.


I due paesi mettono a disposizione 10 stadi ciascuno, rendendo questa edizione quella con il numero-record di impianti utilizzati, 20 appunto: i 10 stadi coreani sono tutti costruiti ex-novo per l’occasione.
Nelle qualificazioni, la sorpresa è la debacle dell’Olanda, eliminata da Portogallo e Irlanda. Si rivede la Polonia, si conferma il Belgio (sesto Mondiale consecutivo) e debutta la neonata Slovenia. Altre novità sono il Senegal (Africa) e la Cina (Asia), mentre in Sudamerica non ci sono novità particolari pur se Brasile e Uruguay si qualificano con qualche affanno.


Al Mondiale destano una buona impressione le rivelazioni Turchia e Corea del Sud, capaci di spingersi fino alle semi-finali (anche se gli asiatici hanno un grosso aiuto da parte degli arbitri) mentre deludono il Portogallo zeppo di talento, l’Argentina dominatrice del girone sudamericano e la Francia campione del Mondo in carica: vengono tutte eliminate al primo turno, e per i “Bleus” è la fine di un epoca iniziata nel Mondiale del 1998 e proseguita con la vittoria nell’Europeo del 2000. Destano buona impressione il Senegal (tra i “giustizieri” dei francesi), gli Stati Uniti (fuori ai quarti con la Germania dopo un aspra lotta) mentre Spagna e Italia sono vittime sacrificali degli arbitri Byron Moreno e Ghamal Al-Ghandour, che favoriscono smaccatamente la Corea padrona di casa, che è capace comunque di giocare un buon calcio. La finale si gioca al Nissan International Stadium di Yokohama e vede la vittoria, per la quinta volta nella storia, del Brasile, che supera la Germania grazie a Ronaldo, fenomeno da poco ritrovato.


E’ una vittoria meritata per una Nazionale capace di esprimere solidità dal centrocampo in giù e gran classe in attacco grazie al tridente Ronaldinho-Rivaldo-Ronaldo, che trova finalmente l’acuto che gli mancava in carriera.

#GLI EROI 
Il Brasile “Pentacampeão” è un miscuglio di campioni che il CT Scolari ha assemblato con un solido (ed inedito per i verde-oro) 3-4-1-2: davanti al portiere Marcos agiscono i tre centrali Lucio, Edmilson e Roque Junior, mentre a centrocampo Gilberto Silva e Kleberson assicurano dinamismo e copertura. Sulle fasce furoreggiano Cafu a destra e Roberto Carlos a sinistra, probabilmente la miglior coppia di esterni del calcio moderno. Questo impianto difensivo permette a Ronaldinho, talento immenso e imprevedibile, di agire dietro le punte cercando la soluzione personale o l’assist smarcante per il duo d’attacco composto da Ronaldo e Rivaldo: il primo è appena tornato ad essere “il Fenomeno” dopo anni di guai fisici, il secondo è un talento fuori dagli schemi capace di fare quel che vuole con il pallone. Riserva pittoresca e fuori dagli schemi è l’ala Denilson, che ai tempi promette di diventare uno dei migliori giocatori al mondo: purtroppo si rivelerà un fuoco di paglia, mentre ben diversa sarà la carriera della misconosciuta comparsa 20enne Kakà, che 5 anni dopo vincerà il Pallone d’Oro.


La Germania è come sempre squadra solida e costante, anche se la classe non manca grazie al talento di Bernd Schneider e Michael Ballack: anche gli uomini guidati da Rudi Voller (già finalista nel 1986 e campione nel 1990 da giocatore) giocano con il 3-4-1-2, pur se l’interpretazione è ovviamente più pratica e concreta. In attacco spiccano il veloce Neuville ed il rapace Klose, a centrocampo c’è la sostanza di Jens Jeremies e in difesa il senso della posizione di Ramelow. Tuttavia la stella della squadra è senz’altro il portiere Oliver Kahn, miglior “numero uno” della manifestazione ma colpevole in finale di un paio di incertezze che risulteranno poi fatali. Degna di nota la sfortuna di Michael Ballack, che nella stagione 2001-2002 perde con il Bayer Leverkusen il campionato all’ultima giornata e le finali di Champions League e Coppa di Germania e poi, con la Nazionale, la finale del Mondiale, a cui è tra l’altro costretto ad assistere da spettatore in quanto squalificato.


La Turchia arriva terza con le proprie forze, ed è la coronazione dell’ottimo lavoro del CT Şenol Güneş e – soprattutto – della piena maturazione della “generazione d’oro” turca: in porta si distingue Rüştü Reçber, in difesa svetta il solido Alpay Ozalan, in attacco “il Toro del Bosforo” Hakan Şükür (record-man di gol con Turchia e Galatasaray e fugaci esperienze al Torino e all’Inter) è assistito dal dinamismo di Arif Erdem, Ilhan Mansiz e Hasan Sas, mentre il centrocampo è forse il miglior reparto, potendo contare su gente come Umit Davala, Emre Belozoglu, Muzzy Izzet, Tugay Kerimoglu e Okan Buruk. Una signora squadra, dunque, quella che giunge terza a questo Mondiale.


Al quarto posto ecco la Corea del Sud, padrona di casa e senza dubbio aiutata da alcune controverse decisioni arbitrali: tuttavia la base c’è, il CT olandese Hiddink ha modellato la squadra su un 3-4-3 fatto di corsa a tutto campo e pressing altissimo e sostenuto dove spiccano poco le individualità. Degni di nota sono comunque il portiere Lee Woon-Jae, il libero Hong Myung-Bo, il giovane Park Ji-Sung (cresciuto finirà addirittura al Manchester United) il laterale Cha Du-Ri (figlio della leggenda sudcoreana Cha Bum-Kun) e gli attaccanti Seol Ki-Hyeon e Ahn Jung-Hwan: quest’ultimo gioca in Italia al Perugia, e dopo la rete che elimina gli azzurri sarà osteggiato dal proprio presidente Luciano Gaucci e infine ceduto in Giappone agli Shimizu S-Pulse.


Altre stelle varie? L’Inghilterra può contare su stelle come David Beckham, Paul Scholes, Rio Ferdinand e Michael Owen ma viene tradita da un errore clamoroso del 38enne portiere David Seaman; gli Stati Uniti, che sono molto cresciuti come movimento calcistico, schierano il bravo e sfortunato John O’Brien, il regista “old-school” Claudio Reyna e le rapidissime ali Landon Donovan e DaMarcus Beasley, mentre in panchina si nota il portiere Tony Meola, titolare a “Italia 90”; la Spagna finalmente può contare su una coppia d’attacco degna di questo nome, il duo formato dal rapace Fernando Morientes e dal talento purissimo di Raùl, mentre a centrocampo spiccano Mendieta, Helguera e Valeròn e in difesa fa sempre la sua figura il “totem” Fernando Hierro; il Senegal arriva ai quarti di finale grazie alle sorprendenti prestazioni del mediano Papa Bouba Diop, alle parate di Tony Silva e ai gol del rapidissimo Henri Camara


Il bomber Jon Dahl Thomasson, assistito dalle ali Rommedahl e Grønkjær, fa le fortune della Danimarca; la Francia è una miniera di talento con Thuram, Desailly e Candela in difesa, Djorkaeff e Vieira a centrocampo e il bomber Trezeguet in attacco, ma purtroppo l’assenza di Zidane (infortunato, gioca solo l’ultima gara) svela uno spogliatoio diviso in clan che spaccano una squadra che è una polveriera e che il CT Lemerre non riesce a tenere unita; all’Uruguay non bastano i servigi degli “italiani” Montero, Sorondo, Magallanes, Carini e Recoba per passare il turno, così come alla Slovenia non basta il talento di Zlatko Zahovic per fare almeno un punto – anzi, il trequartista viene escluso per indisciplina dopo la prima gara – e al Sudafrica la incredibile velocità di Benny McCarthy, meteora al Porto.
Gli esordienti “bafana bafana” vengono infatti eliminati dal Paraguay, guidato come 4 anni prima dalla difesa formata dal portiere Chilavert e dal duo di centrali GamarraAyala: al CT Cesare Maldini (al Mondiale precedente alla guida dell’Italia) non basta nemmeno scoprire il talento della punta Roque Santa Cruz, numeri da predestinato ma futuro che sarà purtroppo deludente. Nella Polonia si distinguono il portiere Dudek (futuro Campione d’Europa con il Liverpool nel 2005) e la punta nigeriana naturalizzata Emmanuel Olisadebe, devastante nelle qualificazioni ma nullo nella rassegna mondiale.
Il Portogallo è forse la delusione più vivida del torneo: va fuori al primo turno nonostante possa contare su talenti come Luis Figo, Manuel Rui Costa Paulo Sousa a centrocampo e Nuno Gomes e Pauleta in avanti. Fuori subito anche il Camerun, dove deludono gli attaccanti Mboma ed Eto’o e i centrocampisti Djemba-Djemba e Foé: quest’ultimo troverà la morte sul campo per arresto cardiaco esattamente un anno dopo il Mondiale.
Discrete le prove di Roy Keane, Damien Duff e Robbie Keane, che portano l’Eire ad un passo dai quarti di finale (sconfitta ai rigori con la Spagna) mentre deludono profondamente le stelle argentine Almeyda, Samuel, Claudio Lopez, Batistuta, Ortega, Veròn, Simeone e Crespo: l’albi-celeste, guidata dal pittoresco Marcelo Bielsa, esce al primo turno superata da Inghilterra e Svezia, dove brillano i difensori Mellberg e Mjallby, i centrocampisti Ljungberg e Farnerud e le punte Henrik Larsson e Allback. Gioca due gare anche un giovane 20enne destinato ad essere uno dei migliori giocatori al mondo ma che qui non brilla: il suo nome è Zlatan Ibrahimovic.
La Croazia è ancora una buona squadra, come nel 1998, ma le stelle della squadra, ovvero Jarni, Prosinecki, Suker, Boksic, Soldo e Stanic, sono tutte abbondantemente oltre i trent’anni e pagano dazio alla fatica, finendo eliminati al primo turno da Italia e Messico: gli azzurri schierano una squadra sulla carta fortissima, con Buffon tra i pali, Maldini, Cannavaro e Nesta in difesa, un centrocampo di corridori formato da Tommasi, Gattuso, Di Livio e Di Biagio e un attacco atomico con Totti, Del Piero, Vieri e Inzaghi. Il Messico da par suo passa addirittura per primo grazie alle punte Borgetti e Blanco e ai centrocampisti Torrado e Rafa Marquez. Infine nel Giappone padrone di casa la stella è senza dubbio Hidetoshi Nakata, centrocampista dal talento smisurato capace di conquistare fama e rispetto in Italia (dove vincerà uno Scudetto con la Roma) ben coadiuvato dalla dinamica meteora Inamoto e dal talentuoso e rapido Shinji Ono.

#L’EPISODIO
Negli ottavi di finale, l’Italia trova la Corea del Sud. I giornali locali, nei giorni precedenti, danno per sicuro il passaggio del turno dei padroni di casa e, durante la partita, i tifosi coreani esibiscono lo slogan “Again 1966!”, a ricordo dell’1-0 rifilato dalla Corea del Nord agli Azzurri nel mondiale inglese di quell’anno. Nel film ufficiale del mondiale 2002, Trapattoni dichiarerà di ricordare che l’arbitro non rispose ai saluti dei giocatori italiani prima di entrare in campo.


L’incontro inizia e la difesa dell’Italia, senza Nesta che patisce i postumi dell’infortunio e Cannavaro che sconta una giornata di squalifica, vacilla nei primi minuti: la Corea potrebbe approfittarne per andare in vantaggio su rigore al 4º, ma Buffon intuisce la traiettoria del tiro di Ahn e devia in calcio d’angolo. L’Italia si riassesta e va in gol al 18º, con un colpo di testa realizzato da Christian Vieri (al quarto centro personale, nono complessivo ai Mondiali) su calcio d’angolo. Nel secondo tempo, nonostante le difficoltà ambientali e qualche scontro al limite (Zambrotta subisce un brutto fallo da Choi Jin-Cheul e s’infortuna, Del Piero si prende una gomitata a gioco fermo da Kim Tae-Young, Maldini un calcio in testa non sanzionato dall’arbitro, l’ecuadoriano Byron Moreno), l’Italia argina le avanzate coreane e sfiora a più riprese il raddoppio; a due minuti dalla fine, però, Seol Ki-Hyeon pareggia approfittando di una leggerezza di Christian Panucci.


Si va così ai tempi supplementari e Moreno dapprima espelle Totti per simulazione e dopo annulla erroneamente per fuorigioco un gol marcato da Tommasi. Poi, a chiudere la partita, ci pensa Ahn di testa: anche stavolta la difesa azzurra non è impeccabile e a sbagliare è soprattutto Coco che si lascia sfuggire il giocatore del Perugia. Per la Corea del Sud si tratta di un’impresa storica: era dal 1966 che una squadra asiatica non accedeva ai quarti di finale di Coppa del Mondo. Anche quella volta, era stata l’Italia ad essere eliminata e a passare il turno era stata l’altra Corea, quella del Nord. La partita è stata oggetto di discussioni a causa dell’arbitraggio, anche se molti giornali anche italiani sottolinearono i numerosi errori sotto porta da parte degli azzurri: a rendere ancor più controversa la figura dell’arbitro Moreno arriverà una radiazione nel 2003 per altri presunti illeciti durante una gara del campionato ecuadoriano e un arresto nel 2010, quando trovato in possesso di sei chili di eroina all’aeroporto “JFK” di New York, viene condannato a 30 mesi di reclusione.

#IL PROTAGONISTA
Scoperto giovanissimo nel Sao Cristovao dalla leggenda brasiliana Jairzinho, Ronaldo si mette in mostra ancora minorenne nel Cruzeiro, segnando quasi un gol a partita e venendo aggregato all’ultimo momento al Brasile che vince il quarto Mondiale nel 1994, dove però non gioca neanche un minuto chiuso da Romario e Bebeto pur se la stampa brasiliana ne invoca l’ingresso in campo in pratica in ogni gara. E’ in quell’anno che sbarca in Europa: come il grande Romàrio, la destinazione è il PSV, campionato olandese, dove addirittura fa meglio del grande “Baixinho”. In appena 2 stagioni arrivano 54 gol in 57 gare, che portano però in bacheca appena una Coppa d’Olanda.
Il mondo si accorge di questo calciatore completo, potente e velocissimo (raggiunge i 36 km orari) dotatissimo con entrambi i piedi e freddissimo sotto porta: la spunta il Barcelona, come era stato per Romàrio, e come nel caso del “Baixinho” la storia dura appena un anno ma è molto fruttifera. Nella sua prima esperienza con il calcio ad alto livello, infatti, “Il Fenomeno” (come viene chiamato) segna la bellezza di 47 reti in 49 partite ufficiali, ma anche in questo caso non arrivano titoli in campionato ma la Coppa delle Coppe. L’estate 1996-97 vede il presidente dell’Inter Massimo Moratti, deciso a portare i nerazzurri alla vittoria dello Scudetto, pagare l’intera clausola di rescissione di 50 miliardi per portare Ronaldo a Milano: soldi ben spesi, anche se l’Inter (anche per via di alcune controverse decisioni arbitrali) deve arrendersi alla Juventus nella corsa al titolo. Ronaldo realizza comunque 25 reti in 32 gare e conquista, ad appena 22 anni, il “Pallone d’Oro”.


Il Mondiale del 1998 dev’essere il suo torneo, la sua consacrazione, e Ronaldo lo gioca bene, segnando 4 reti e contribuendo a portare la squadra in finale: tuttavia, la notte precedente la gara, è colto da spasmi e convulsioni, e quando scende in campo è solo l’ombra di se stesso. Il Brasile gioca male, la Francia vince 3 a 0 ed è campione, mentre il mondo si chiede cosa è successo al Fenomeno. Purtroppo è solo la prima avvisaglia di una carriera che, raggiunto il suo apice prestissimo, ha già cominciato la sua parabola discendente: il 21 novembre del 1999, impegnato contro il Lecce, si lesiona il tendine rotuleo del ginocchio destro, torna in campo dopo quasi sei mesi ma si fa male dopo pochissimi minuti tentando uno scatto. Il tendine ha ceduto, si teme per la sua carriera ma dopo un anno di operazioni e riabilitazione può tornare a giocare: nelle prime gare ogni tifoso di calcio trattiene il fiato per paura di un nuovo crack, ma il ginocchio regge e Ronaldo torna a giocare come sa, pur se non può evitare l’ennesima delusione interista, con lo Scudetto che sfugge il 5 maggio del 2002 contro la Lazio. Il Fenomeno piange, ma ci sono i Mondiali alle porte ed è giunto il momento di ribellarsi ad un destino tanto beffardo: Ronaldo prende per mano il Brasile, segna 8 reti grazie ad una squadra che gioca per lui (una doppietta in finale contro la Germania) e ben assistito da due talenti purissimi come Ronaldinho e Rivaldo. Finalmente è vittoria, finalmente arriva la consacrazione per quello che per molti è stato il più forte giocatore dell’epoca moderna.


Il resto della carriera è più che buono, tuttavia inferiore a quello che prometteva di essere: certo, arriva un altro Pallone d’Oro, e in quel Real pieno di stelle (quello degli “Zidanes y Pavones” di Florentino Perez) segna la bellezza di 104 reti in 177 gare, ma si vede che è forte, fortissimo, ma non più fenomenale, come se la paura di farsi ancora male avesse il sopravvento là dove una volta era tutto istinto e guizzi nervosi. Affina ancora di più il talento, non potendo contare sulla potenza dirompente degli esordi, ma il declino è dietro l’angolo: il Ronaldo 31enne che sbarca a Milano, stavolta per vestire il rossonero del Milan, è l’ombra del Fenomeno che fu. Qualche gol arriva, per carità, ma ben più numerosi sono gli infortuni più o meno gravi che lo mettono prima ai margini e poi fuori dalla rosa. Gli scade il contratto, torna in Brasile come tanti ex-campioni, inseguito da scandali sessuali e nuovi dubbi su uno stato fisico ormai compromesso dai lunghissimi periodi di inattività. In patria segna ancora, e ci mancherebbe, ma pare non trovarci più gusto: a 35 anni si ritira ufficialmente, pur avendo chiuso con il grande calcio almeno un lustro prima.


Questo è stato Ronaldo, “il Fenomeno”, il più grande e completo attaccante degli ultimi vent’anni e oltre, capace di fare gol anche da solo e dotato di tutto il repertorio che il calciatore ideale deve avere: destro, sinistro, gioco aereo, rapidità, velocità, potenza. Dribbling, tiro, freddezza, visione di gioco. Un campione assoluto fermato da un’incredibile serie di infortuni che non gli hanno permesso di splendere come avrebbe potuto ma che gli hanno portato fama planetaria, gol a grappoli ed un posto immortale nell’iconografia dei grandi di questo sport. Perché al suo meglio, Ronaldo ha raggiunto picchi di grandezza che forse mai nessuno prima di lui aveva raggiunto. Roba da fenomeni. Anzi, da “Fenomeno”. 

Fonti: “Wikipedia”, “Storia dei Mondiali di Calcio” (Bocchio-Tosco) 

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