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Calcio

I PROTAGONISTI DEL MONDIALE (18^ puntata): Germania 2006

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L’Italia torna a conquistare la Coppa del Mondo dopo un estate che sconvolge il calcio italiano, esattamente come avvenuto nel 1982. Gli azzurri, guidati in panchina dallo straordinario CT Marcello Lippi, si compattano contro le polemiche esterne e partita dopo partita legittimano una vittoria che alla fine è riconosciuta da tutti come meritatissima. E’, più di ogni altra volta precedente, la vittoria di un gruppo, di una squadra nel vero senso del termine. Sono i Mondiali del 2006 in Germania.

Le precedenti puntate:

– URUGUAY 1930
– ITALIA 1934
– FRANCIA 1938
– BRASILE 1950
– SVIZZERA 1954 
– SVEZIA 1958 
– CILE 1962

– INGHILTERRA 1966

– MESSICO 1970

– GERMANIA OVEST 1974
– ARGENTINA 1978
– SPAGNA 1982
– MESSICO 1986
– ITALIA 1990
– U.S.A. 1994
– FRANCIA 1998
– GIAPPONE & COREA DEL SUD 2002


#IL MONDIALE

L’assegnazione del Mondiale 2006 alla Germania è avvenuta nel 2000 e non senza strascichi polemici: nella votazione decisiva, infatti, i tedeschi hanno prevalso per appena un voto sul Sudafrica, che richiedeva l’organizzazione del torneo a nome di tutta l’Africa. Non è tanto il “cosa” è avvenuto a indignare i rappresentanti del Continente Nero, ma il “come”: i votanti sono stati infatti raggiunti la notte precedente il voto da un biglietto dove venivano promessi doni tipicamente tedeschi (wurstel, senape, orologi a cucù) in caso di esito favorevole della votazione, e anche se si scopre che era uno scherzo della rivista goliardica “Titanic” il sospetto che ciò abbia influito sull’esito finale è forte, tanto che la FIFA promette al Sudafrica il torneo successivo, ovvero il Mondiale del 2010.
Quella del 2006 è una Coppa del Mondo con molte novità: l’Africa ad esempio su 5 rappresentanti porta ben 4 esordienti (Angola, Costa d’Avorio, Sudafrica e Togo), l’Australia ritorna in una fase finale dopo ben 32 anni (e curiosamente anche allora il torneo si svolse in Germania) mentre il Centro-America presenta, oltre ai consueti Messico, USA e Costa Rica presenta per la prima volta assoluta Trinidad & Tobago.
Assenti di lusso non mancano: in Europa mancano la Russia, la Turchia giunta terza nel 2002 e la Grecia Campione d’Europa appena nel 2004. Il Sudamerica perde per strada l’Uruguay, superata prima dall’Ecuador nel girone e poi sconfitta ai rigori dall’Australia nello spareggio decisivo. L’Africa lascia a casa i campioni continentali dell’Egitto, il Senegal che era giunto ai quarti di finale nel 2002 e storiche rappresentanti come Camerun, Marocco e Nigeria. Il torneo si svolge con la stessa formula delle ultime due edizioni, ma rispetto a quelli di Giappone & Corea del Sud questi Mondiali si rivelano un po meno spettacolari e con un minor numero di sorprese: ai quarti di finale l’unica squadra che giunge nella sorpresa generale è l’Ucraina, che può comunque contare su un campione assoluto come Shevchenko.


L’Italia, travolta dallo scandalo ‘Calciopoli’, ha trovato in Marcello Lippi un allenatore esperto, vincente e capace di adeguarsi alle situazioni (tattiche ed ambientali) all’istante:
gli azzurri, compattati anche dalle polemiche scoppiate all’interno del proprio calcio, partono bene e si qualificano quasi senza affanni, stentando poi solo a superare l’Australia negli ottavi di finale, con la vittoria che arriva su un rigore molto generoso assegnato dall’inadeguato arbitro spagnolo Medina Cantalejo a tempo scaduto dopo che un errore dello stesso direttore di gara aveva portato all’espulsione di Materazzi e ad una gara giocata per 2/3 del tempo in inferiorità numerica. Dopo i “Socceroos” è il turno dell’Ucraina, che cade sotto i colpi di Zambrotta e Toni, mentre in semifinale arriva l’ennesima vittoria contro i tedeschi padroni di casa, beffati da un gran gol di Grosso e da un contropiede di Gilardino concluso letalmente da Alessandro Del Piero. 
La finale vede l’Italia di Lippi affrontare la Francia, risorta dopo il crollo del 2002: è una bella gara, che vede minuto dopo minuto gli azzurri soffrire mentre il CT transalpino Domenech, che può contare su tanti campioni, spinge i suoi all’attacco per evitare i rigori. Si arriva invece ai tiri dal dischetto, e per una volta questi dicono bene agli azzurri, che realizzano tutti i propri tiri. David Trezeguet invece colpisce la traversa, e la Coppa del Mondo è per la quarta volta italiana. E’ il meritato trionfo di una squadra forte e coesa, dove il gruppo prevale su qualsiasi individualità e dove la difesa è insuperabile: i 12 gol azzurri sono segnati da 10 giocatori diversi, mentre Buffon subisce appena 2 reti di cui un rigore (in finale) e un autorete. Lippi e i suoi uomini sollevano la Coppa nonostante l’infortunio pesante di Alessandro Nesta e la bufera che si è appena abbattuta sul calcio italiano: buona parte della stampa, prima del torneo, ha chiesto le dimissioni del CT, che adesso viene osannato come un mago della panchina e che corentemente, finiti i festeggiamenti, confermerà l’abbandono del ruolo di Commissario Tecnico. Il carattere d’acciaio dell’Italia è confermato anche dal fatto che il 50% esatto dei gol gli azzurri li segnano su calcio piazzato, segnale evidente di concentrazione e feroce determinazione.


#GLI EROI
Nell’Italia campione brillano luminose principalmente le stelle della difesa: Buffon garantisce una resa altissima, Cannavaro gioca talmente bene da conquistare il Pallone d’Oro, Materazzi (subentrato all’infortunato Nesta nello scetticismo generale) si rivela decisivo con due gol e tanto carattere. Sulle fasce Zambrotta a destra e la rivelazione Grosso a sinistra sono utili e determinanti, con il primo che sblocca la gara dei quarti contro l’Ucraina ed il secondo che stende la Germania in semifinale e realizza il rigore decisivo. A centrocampo in chiaroscuro l’esperienza di De Rossi, mentre si confermano ottimi interpreti del ruolo l’ala italo-argentina Mauro Camoranesi e i centrocampisti Pirlo e Gattuso, con Perrotta prezioso jolly, mentre in attacco Lippi ha solo l’imbarazzo della scelta: Gilardino o Toni? Del Piero o Totti? Nessuno di loro brilla particolarmente (anzi, si fa notare un bravo e duttile Iaquinta), ma ognuno svolge la sua parte nel momento giusto.


La Francia è persino superiore, per pura grana tecnica, all’Italia: il portiere Barthez è coperto da due solidi centrali come Thuram e Gallas, il centrocampo è chiuso a doppia mandata da due mediani fenomeni come Vieira e Makelele e così in avanti hanno libertà di colpire i vari Ribery, Zidane, Henry e Trezeguet. Nella Germania brillano alcune vecchie glorie come Frings, Klose (capocannoniere del torneo con 5 reti) e Neuville e diversi giovani dall’avvenire luminoso come Lahm, Podolski, Jansen, Kehl e Mertesacker, di cui solo il primo diventerà poi un “big” assoluto. Il Portogallo raggiunge il 4° posto, miglior risultato dai tempi di Eusebio, grazie all’apporto di Ricardo Carvalho, Deco e Cristiano Ronaldo ben sorretti da due vecchie volpi come Luis Figo e Pauleta. Altre stelle sparse sono gli argentini Cambiasso, Crespo, Mascherano, Riquelme e Tevez (e in panchina si intravede il talento del 18enne Lionel Messi), i brasiliani Adriano, Kakà, Ronaldo e Ronaldinho, gli inglesi Terry, Gerrard, Beckham, Lampard e Owen con anche in questo caso un giovane 21enne dall’avvenire certo, Wayne Rooney


L’Ucraina, esordiente, fa una bella figura grazie alle parate di Shovkovsky, alla lucida regia di Tymoschiuk e al tridente d’attacco composto da Shevchenko, Rebrov e Voronin. Anche l’Australia se la cava, grazie ad una rosa vecchia ma esperta dove degni di nota sono il portiere-gigante Kalac, gli “italiani” Grella e Bresciano, i cursori di centrocampo Emerton e Culina e il duo d’attacco composto da Viduka e Kewell e ben supportato da Tim Cahill. La migliore delle africane è il Ghana fuori agli ottavi: debole in attacco, la truppa del CT serbo Dujkovic può contare su Kuffour in difesa e su Essien, Muntari e Appiah a centrocampo. Delude la Spagna (che però comincerà una lenta ma inesorabile crescita subito dopo il torneo) nonostante talenti acclamati come Raùl e Fernando Torres in attacco e Xabi Alonso e Xavi in mediana, mentre al contrario la Svizzera che esce come gli iberici agli ottavi di finale desta un’ottima impressione: potendo contare su un solido collettivo in cui spiccano giovani talenti come Behrami, Margairaz, Dzemaili, Djorou e Senderos, i rosso-crociati escono senza aver subito un solo gol ai rigori con l’Ucraina.


Degni di nota sono anche Wanchope (Costa Rica), Delgado e Kaviedes (Ecuador), i deludenti Ibrahimovic (Svezia) e Drogba (Costa d’Avorio), i giovani Sneijder, Van Persie e Robben (Olanda), il talentuoso Stankovic (Serbia) e poi ancora Marquez, Torrado, Borgetti e Pardo (Messico), Nedved e Poborsky (Repubblica Ceca).

#L’EPISODIO
La finale del Mondiale vede di fronte la sorprendente Italia di Lippi e l’altrettanto inaspettata Francia di Domenech: gli azzurri hanno trovato da subito consapevolezza e compattezza, anche grazie alla vicenda di Calciopoli, mentre i francesi hanno scoperto queste qualità strada facendo, eliminando una dopo l’altra Spagna, Brasile e Portogallo e mostrandosi rinati dopo l’appannamento avvenuto in Giappone e Corea nel 2002. Negli azzurri sono tanti i protagonisti, e uno di questi è certamente Marco Materazzi: subentrato nella diffidenza generale al posto di Nesta infortunato, il difensore dell’Inter si è lentamente conquistato la fiducia dei compagni e dei tifosi grazie a grinta e potenza fisica, mostrandosi pure molto affidabile tatticamente.


Stella della Francia è invece, indubbiamente, Zinedine Zidane, che dopo il Mondiale ha annunciato il suo ritiro dal calcio giocato e che intende dunque chiudere nel migliore dei modi una carriera strepitosa: “Zizou” è da molti considerato il vero allenatore in campo, e certamente è il collante che tiene unita una squadra che è una polveriera per via di tensioni razziali mai del tutto sopite e che in sua assenza, nel 2002, sono esplose portando la Francia allo sbando ad essere eliminata al primo turno.


Sono proprio Zidane e Materazzi i protagonisti principali della finale: al 7° minuto Malouda entra in area azzurra, Materazzi lo stende e l’arbitro Elizondo non può fare altro che fischiare il rigore. Zidane è freddo nel calciare un rigore “a cucchiaio” che beffa l’ex-compagno Buffon, sbatte sulla traversa ed entra in rete. L’Italia però non è doma, anzi: al 19° minuto, su calcio d’angolo, è proprio Materazzi a sovrastare Vieira e a infilare di testa Barthez per il gol del pareggio azzurro. La partita poi si trascina fino oltre i tempi regolamentari, le emozioni infatti non mancano ma il risultato rimane 1 a 1. Poco dopo l’inizio del secondo tempo supplementare, però, accade l’evento simbolo di questa finale: con la palla lontana, il quarto uomo Medina Cantalejo richiama l’attenzione dell’arbitro Elizondo su Materazzi, a terra nella sua trequarti di campo. Inizia un lungo conciliabolo tra arbitro e quarto uomo, mentre le immagini televisive ci mostrano che il difensore azzurro è caduto in seguito ad una testata sul petto ricevuta proprio da Zidane. Dopo due minuti in cui la confusione regna sovrana, Elizondo estrae il cartellino rosso ed espelle il fuoriclasse francese, lasciando la squadra di Domenech in 10.


Ma cos’è successo? L’episodio verrà solo parzialmente chiarito successivamente dai due diretti interessati: secondo quanto i due raccontano, dopo l’ennesima trattenuta della maglia da parte di Materazzi, Zidane si sarebbe a questi rivolto in modo ironico dicendo che, se proprio voleva la sua maglia, poteva attendere la fine della partita. A questa provocazione, Materazzi avrebbe reagito dicendo di preferire “la puttana di tua sorella”, provocando a quel punto la reazione di Zidane che con una violenta testata sul petto avrebbe vendicato l’offesa.
Ovviamente Materazzi ha esagerato un colpo certo non letale, tuttavia a termini di regolamento l’espulsione di Zidane è sacrosanta, in quanto non conta l’effettiva violenza dell’intervento falloso quanto l’intenzione.
Anzi, l’espulsione di Zidane SAREBBE sacrosanta: esistono infatti molti dubbi sul fatto che il quarto uomo, prima di confermare all’arbitro quanto avvenuto, abbia guardato il replay dell’azione su uno schermo, utilizzando quindi la “prova TV” che non era permessa dal regolamento.
Si chiudono con questo episodio le speranze dei francesi di avere la meglio sulla difesa italiana: si andrà ai rigori, e gli azzurri trionferanno.
Si chiude così anche la carriera di uno straordinario campione quale è stato Zinedine Zidane, una macchia di cui però il fuoriclasse di origini algerine non si dichiarerà mai pentito in quanto le offese alla famiglia per lui sono imperdonabili, peggiori persino di quelle razziali. “Zizou” confermerà di avere un carattere a detta di tutti spesso buono e docile ma incline agli scatti d’ira: in carriera si era già reso protagonista di alcuni episodi violenti e sopra le righe, e del resto i 14 cartellini rossi ricevuti in carriera sono lì a testimoniarlo. L’atteggiamento di Materazzi però verrà anch’esso condannato, visto che se per qualcuno sarà un eroe per molti sarà l’ennesimo “italiano” che ha fatto il furbo.


A parere di chi scrive, tuttavia, l’episodio in se è ininfluente sulla gara, che non è stata vinta da Materazzi ne persa da Zidane. La testata del francese rimane comunque uno degli episodi più noti del calcio moderno.

#IL PROTAGONISTA
Il calcio non ha regole precise. Se da ragazzino sei un fenomeno di cui parla tutto il mondo, non è detto che in età adulta sarai tra i protagonisti dei Mondiali, la storia del pallone è piena di queste meteore.
Nel calcio tutto può succedere. Anche che a 24 anni fai il tuo esordio in Serie A dopo aver visto solo la C2, a 26 trovi la Nazionale e a 29 vinci il Mondiale. Da protagonista assoluto.
In un Italia infatti dove i protagonisti sono stati innumerevoli (Buffon, Cannavaro, Materazzi, Totti, Del Piero) il vero eroe del 2006 non può che essere considerato Fabio Grosso. Lui che quel torneo doveva viverlo dalla panchina, e già sarebbe stato tanto visto come si era messa la sua carriera intorno all’età in cui i campioni acclamati dalle folle e protagonisti dei Mondiali esplodono.
Soprattutto perché se qualcuno glielo avesse detto appena 6 anni prima, probabilmente sarebbe stato preso per pazzo: a quei tempi Fabio disputava la Serie C2 con la maglia del Chieti, ruolo trequartista. Un bel giocatore, per carità, ma si dice che se a 23 anni sei ancora a sfangarla in quarta serie un motivo ci deve pur essere. E invece a volte il calcio semplicemente si dimentica di qualcuno, lo lascia per strada. Può accadere: magari il giorno che tale osservatore di tale club è venuto a vederti non eri particolarmente in forma, magari circolano voci su di te che nessuno ha voglia di controllare se siano vere, chi lo sa. Accade raramente, ma accade. Per cui anche una bella stagione come quella nel Chieti 2000/2001, con la squadra promossa e il suo trequartista autore di 9 reti, può passare senza sussulti.


E invece in quegli anni c’è una squadra, in Serie A, che ha un presidente tanto vulcanico quanto – a volte – geniale: Luciano Gaucci sente parlare di Grosso, intuisce che ci può scappare l’affare a basso costo e lo prende. Un salto triplo, quindi: dalla C1 conquistata sul campo alla Serie A, categoria che ormai Fabio pensava di vedere solo in TV. E invece eccolo lì, a spingere sulla fascia sinistra – dove viene riadattato dall’allenatore del club umbro, Serse Cosmi – di un club che sorprende tutti piazzandosi all’ottavo posto nel 2000/01 e al nono (ma con l’aggiunta di una semifinale di Coppa Italia) la stagione successiva. Grosso convince sempre di più, ha fisico, fiato e piedi niente male, soprattutto quel sinistro con cui in due stagioni segna 5 reti. Nel 2003/04, però, il giocattolo si rompe: Gaucci si fa prendere la mano e si fida decisamente troppo del suo intuito, Cosmi fatica a trovare un equilibrio in una rosa oceanica dove appare persino Saadi Al-Gheddafi, figlio del leader libico e personaggio a dir poco pittoresco e fuori luogo nella Serie A. La squadra parte male, a gennaio Gaucci tenta di rivoluzionarla compiendo numerosi acquisti e altrettante cessioni e tra i partenti c’è Grosso, ceduto all’ambizioso Palermo di Zamparini, altro presidente a dir poco vulcanico come Gaucci ma con idee decisamente più chiare. Così il Perugia sprofonda in B a giugno, proprio mentre il Palermo di Grosso conquista la A vincendo il campionato grazie ai gol di Luca Toni.


Il bomber si conferma anche in Serie A con 20 reti, la squadra è buonissima e guidata da un allenatore, Francesco Guidolin, decisamente sottovalutato: compagni di Grosso, oltre a Toni, sono nomi come Zaccardo, Barzagli, Corini, Morrone. I rosa-nero arrivano sesti nella sorpresa generale, qualificandosi alla Coppa UEFA. La stagione successiva non è altrettanto fortunata, i siciliani partono con Luigi Delneri in panchina ma il tecnico paga un campionato altalenante con l’esonero a gennaio. Viene sostituito da Papadopulo, che porta un po di ordine in una squadra indebolita dalla cessione di Toni alla Fiorentina (lo ha sostituito Caracciolo, che non è proprio la stessa cosa) e provata dall’impegno infrasettimanale in Europa, dove giunge agli ottavi di finale. Non è un caso che dopo l’eliminazione dalla UEFA la squadra migliori le sue prestazioni riuscendo ad arrivare addirittura ad un comunque meritato ottavo posto che poi varie sentenze di Calciopoli successive trasformano addiritturai in un quinto che vale la seconda partecipazione consecutiva alle coppe Europee. I giocatori rosanero festeggiano, ma in quell’estate del 2006 però c’è anche un Mondiale da giocare. Il Palermo, nonostante il campionato altalenante, riscuote l’apprezzamento del CT Marcello Lippi, che pesca dalla sua rosa addirittura quattro elementi da portare in Germania per la Coppa del Mondo: il centrocampista Simone Barone e i difensori Cristian Zaccardo, Andrea Barzagli e Fabio Grosso. Proprio così, a 29 anni il nostro eroe, dopo aver conquistato all’ultimo tuffo la Serie A, è tra i 23 dell’Italia ai Mondiali.
Come riserva, sia chiaro: l’idea di Lippi è di schierare Oddo a destra e Zambrotta a sinistra, ma nel calcio tutto può succedere.


Dei quattro del Palermo alla fine Grosso sarà l’unico a giocare titolare, prendendo il suo posto sulla sinistra della difesa alla terza gara contro la Repubblica Ceca: è una partita importante, che qualifica l’Italia agli ottavi di finale e che vede l’infortunio di Nesta e l’ingresso al suo posto di Materazzi, che sarà per vari motivi decisivo alla conquista della vittoria finale. E’ una Nazionale, a dire la verità, dove tutti sanno essere a turno protagonisti: se contro i forti cechi è Materazzi, come detto subentrato per caso, a sbloccare la gara con un colpo di testa imperioso, contro l’Australia agli ottavi due sono gli eroi, Totti e proprio Grosso. Gli australiani infatti sono tutto meno che una “cenerentola”, ma possono contare su una squadra esperta e su giocatori temprati dalla militanza nei migliori campionati europei. Materazzi viene espulso da un arbitro decisamente non in giornata, lasciando gli azzurri in 10. Mentre il cronometro scorre ci si rende conto che l’Italia è sempre più in difficoltà, fino a quando Totti non pesca Grosso sulla sinistra: lo stop a seguire è di classe e permette al nostro terzino di superare sullo slancio Bresciano, entrare in area di rigore e finire a terra in seguito ad un contrasto con Neill che porta ad un rigore per l’Italia che, rivedendo le immagini, appare quantomeno generoso. Siamo al 93° minuto, è l’ultima occasione: Totti si presenta sul dischetto e mentre tutta l’Italia trattiene il fiato fulmina Kalac, tra l’altro ex-compagno proprio di Grosso al Perugia. L’Italia supera il turno, grazie ad arbitro mediocre, alla freddezza di Totti e soprattutto al cuore e al coraggio del terzino del Palermo, bravo comunque a crederci fino all’ultimo secondo.


E se nella successiva gara contro l’Ucraina il protagonista è il fino a lì poco convincente Luca Toni (pure lui ex-Palermo) che con una doppietta stende gli avversari dopo un gran goal di Zambrotta, nella semifinale contro i padroni di casa tedeschi è ancora Fabio Grosso ad ergersi a match-winner confermando il proprio incredibile momento di grazia.
Mancano due minuti al termine dei tempi supplementari, Italia e Germania sono ancora sullo 0 a 0 di una partita tesa e vibrante giocata a viso aperto dagli azzurri. Del Piero batte un calcio d’angolo dalla destra, il cross viene respinto dalla difesa tedesca e finisce sui piedi di Pirlo fuori area il quale temporeggia fino a che non vede il varco per un passaggio: Grosso riceve palla, controlla e fa partire un tiro di sinistro a rientrare sul quale Lehman non può arrivare. E’ il gol che sblocca la gara e che, di fatto, la termina. Il 2 a 0 di Del Piero, ben assistito da Gilardino, arriva oramai a tempo scaduto, ma è indubbio che la rete decisiva è stata la prima, quella segnata in modo incredibile da quel terzino ex-trequartista affacciatosi nel calcio che conta a 24 anni e che ha agguantato un posto per i Mondiali all’ultimo tuffo e nell’indifferenza di tutti. La corsa e l’urlo di Fabio Grosso dopo la rete ricorda a tutti quella di Marco Tardelli nel 1982, quindi i buoni auspici ci sono tutti. E infatti in finale l’Italia è brava a reagire al rigore di Zidane con Materazzi, mostrando grinta, cuore, carattere. Quando si arriva ai rigori le sensazioni sono, per una volta positive nonostante gli azzurri storicamente non vantino una buona tradizione con i tiri dal dischetto: segna Pirlo, segna Wiltord, segna Materazzi. Il secondo rigore per i francesi lo tira David Trezeguet, che non ha un buon rapporto con il CT Domenech in quanto il trainer francese è appassionato di astrologia e non vede di buon occhio chi è del segno dello Scorpione come il centravanti franco-argentino della Juventus: sembra una buffonata (e di sicuro non è questo il motivo per cui ciò accade) ma Trezeguet sbaglia, cogliendo la traversa. L’Italia segna i suoi rigori con De Rossi e Del Piero, i francesi fanno altrettanto con Abidal e Sagnol. Si arriva quindi al quinto tiro azzurro e sul dischetto si porta proprio Fabio Grosso.
Quando nel 1998 il portiere che si trova di fronte, Barthez, vinceva i Mondiali in casa, lui iniziava il primo anno di professionismo in C2, al Chieti: il calcio è proprio uno sport dove tutto può succedere. L’Italia trattiene il fiato, Grosso dimentica la pressione, l’importanza di quel rigore che tanti campioni in passato hanno sbagliato. Tiro. Gol. L’Italia è Campione del Mondo per la quarta volta, 24 anni dopo l’ultima.


I meriti sono di tutti, del CT Lippi bravo a costruire una squadra di carattere e spessore e nel tenerla al riparo dalla bufera di “Calciopoli”, di Buffon e delle sue parate, di Cannavaro e delle sue incredibili prestazioni che gli varranno il Pallone d’Oro, di Materazzi e dei suoi due gol decisivi. Di Gattuso, di Pirlo, di Iaquinta, Totti, Toni e Del Piero. Eppure, in una squadra con tanti protagonisti, viene da pensare a lui, Fabio Grosso, quel terzino spuntato fuori dal nulla e decisivo contro l’Australia, contro la Germania, capace di segnare il rigore decisivo in finale.
Dopo il Mondiale, come già accaduto ad altri prima, si spegne un po’ la favola: Grosso passa all’Inter, contribuisce alla vittoria di uno Scudetto ma l’anno dopo è già considerato di troppo. Finisce al Lione, con cui al primo anno conquista Supercoppa e Coppa di Francia oltre al titolo nazionale, poi torna in Italia nella Juventus rinata dopo Calciopoli. La prima stagione è più che discreta, poi la sua importanza in rosa scema rapidamente: nell’ultima stagione gioca appena due gare, messo ai margini della rosa. Il rapporto con la Juventus però rimane, tanto che quando appende gli scarpini al chiodo rimane in società come allenatore delle giovanili. E chi meglio di lui, del resto, può raccontare ad un giovane che tutto è possibile, che tutto è raggiungibile e che fino all’ultimo secondo uno deve credere in quel che fa. Chi meglio di Fabio Grosso, che nell’estate del 2006 si rese conto di essere arrivato ad un sogno inconfessabile e decise di viverselo fino in fondo, finendo per essere l’uomo-simbolo dell’insperato trionfo azzurro. 

Fonti: Wikipedia, “Storia dei Mondiali di Calcio” (Bocchio-Tosco, Ed. Sestante), “Calcio 1898-2010 – Storia dello sport che ha fatto l’Italia” (J. Foot, BUR edizioni) 

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