Calcio
Il Mancio e la Sindrome di Dory
Ve l’ho detto un anno fa, oggi ve lo confermo: se il soggetto di un mio articolo è Roberto Mancini, cambiate tranquillamente pagina: non sono obbiettivo. Ci conosciamo da poco meno di quarant’anni, lo stimo e gli voglio bene. È per questo, perché lo stimo e gli voglio bene, che ieri sera – lo confesso – sono arrivato a sperare che l’Italia perdesse, tanto la qualificazione agli Europei non corre rischi. Sì, avrei voluto la vittoria di Dzeko e compagni per vedere, di nascosto, l’effetto che avrebbe fatto (semi-cit.). Perché essendo noi un popolo di santi, poeti, navigatori e Commissari tecnici, avrete certamente notato che, non potendo criticare una squadra che vince, è in atto la svalutazione degli avversari. “Sì, vabbé, abbiamo battuto solo la Grecia e la Bosnia…”. Sì, vabbé un cazzo, tanto per capirci. Gli avversari sulla strada di Euro 2020 non sono il Brasile di Pelé o l’Olanda di Cruijff, per carità, ma dubito che la Macedonia (1-1 il 6 ottobre 2017 a Torino) sia molto più forte della Grecia e che la Svezia (che ci ha negato il ripescaggio ai Mondiali) sia di un’altra categoria rispetto alla Bosnia Erzegovina. Il problema, e questo il Mancio – diventato saggio invecchiando – lo sa, è che i tifosi sono afflitti dall’antipatica Sindrome di Dory. Proprio come la pesciolina disneyana, i calciofili dalle nostre parti soffrono di un disturbo neuro-psicologico fastidioso, la perdita della memoria a breve termine. E se Bologna s’indigna di fronte al Saputo “plumone” (Guaraldi: chi era costui?), più in grande l’Italia fa spallucce di fronte ai quattro-successi-su-quattro degli Azzurri. Io, che magari verrò azzoppato dall’alzheimer ma che al momento le cose le ricordo, vi invito a fare qualche passo indietro. Un anno fa, di questi tempi, in pratica non esisteva più la Nazionale di calcio, rasa al suolo da una lunga stagione di insuccessi che aveva fatto disamorare tutti. L’Italia perdeva, e per di più giocava male. Al suo capezzale venne chiamato il Mancio, che non ne poteva più della sua campagna di Russia (bellissima, San Pietroburgo, ma non ci vivrei; più o meno come Venezia…). Il quale Mancio non ha mai avuto un bel rapporto con la maglia azzurra, e proprio per questo – ai miei occhi – era l’uomo giusto al posto giusto: lui è uno da sfide vere, e questa è verissima. Roberto, da allenatore di club, ha sempre cercato di fare il… selezionatore, facendo spendere cifre importanti ai suoi presidenti e ripagandoli con vittorie sonanti. Avendo un’idea ben precisa di calcio, si è messo pazientemente a cercare i pezzi per comporre il suo puzzle. Dodici mesi dopo, la gente è tornata ad appassionarsi alle cose azzurre, la Nazionale vince e addirittura diverte. Questo improvviso Bengodi pallonaro ha di fatto cancellato i bocconi amari di un anno fa: siamo l’Italia, è ovvio che spezziamo le reni alla Grecia (occhio, Mancio: chi l’ha fatto prima di te non ha fatto una bella fine…). Oggi è tutto dolcemente normale, la Sindrome di Dory fa apparire scontato quello che è stato costruito sul campo da Roberto partendo dalle macerie. Io non ho dimenticato l’hashtag #Zaniolochi? solo perché il Ct era stato così bravo a scoprire il fulgido talento romanista prima anche del suo allenatore di club. È per questo che, in ottima compagnia (Marino Bartoletti e Roberto Beccantini, amici su Facebook e Maestri nella professione), mi iscrivo al club #IostocolMancio! E non perdete tempo a cercare di farmi cambiare idea: io il Mancio lo stimo e gli voglio bene…
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