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Il Metodo Vincente #13: Uniti, ma divisi

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La morte di Arpinati, oramai estraneo al fenomeno fascista e giustiziato solo per i suoi trascorsi, il giorno successivo alla liberazione di Bologna, datata 21 Aprile, scosse e non poco l’ambiente bolognese, specie quello calcistico. La furia partigiana, per troppo tempo oppressa dal regime, si scatenò in tutta la sua forza al di sopra di quella Linea Gotica appena varcata. Non solo: fu una furia cieca; a morire, fucilato, insieme ad Arpinati, fu l’amico storico Torquato Nanni, comunista convinto che aveva trovato rifugio a Malacappa in quanto la sua residenza, Santa Sofia, tra le montagne forlivesi, era punto nevralgico degli scontri tra le due fazioni.

 

D’altronde, l’obiettivo era quello di cancellare tutte le tracce lasciate dal fascismo. Se non altro, quelle ideologiche, per evitare un ritorno al passato. L’avvenuta liberazione, definitivamente avvenuta con la resa delle forze dell’Asse a Caserta, il 2 Maggio, fece partire una operazione di pulizia non solo politica, ma concernente tutte quelle cariche concesse ad organi più o meno di potere da Mussolini. Anche in casa FIGC furono anni di rivoluzioni, e tra i pochi a salvarsi ci fu proprio Vittorio Pozzo. L’opinione pubblica si divise, in realtà, tra chi era favorevole ad un’epurazione totale e chi, dall’altra parte, ancora legato ai successi ottenuti dal tecnico, spingeva per una riconferma. Fu proprio questa la tesi prevalente: ritenendo Pozzo non direttamente coinvolto nelle dinamiche fasciste, ma solo mero esecutore delle direttive impartitegli, l’allenatore piemontese fu giudicato non colpevole di essersi piegato al fascismo. Sarà proprio lui, l’11 Novembre del 1945, tre anni e sei mesi dopo l’ultimo match azzurro, a sedersi sulla panchina della Nazionale a Zurigo, contro la Svizzera.

 

Furono 5 su 11 i titolari confermati rispetto al match precedente, vinto 4-0 a San Siro contro la Spagna: il blocco difensivo a 5 fu mutato completamente, così come il portiere. Tra i pali, al posto di Griffanti, andò il modenese di Bomporto, ma in forza alla Juve, Lucidio Sentimenti, quarto di sette fratelli, tutti calciatori, e conosciuto, dunque, come Sentimenti IV; davanti a sé, la diga veneta, così come era soprannominata, composta da Aldo Ballarin e Virgilio Maroso, entrambi appena approdati a Torino, ma sulla sponda granata, rispettivamente da Venezia ed Alessandria. Sulla mediana, le geometrie dello juventino Carlo Parola, colui che diverrà celebre per la rovesciata divenuta un simbolo per almeno tre generazioni italiane, grazie alla Panini e all’album dei Calciatori, venivano “protette” dai ringhianti torinisti Castigliano e Grezar. Davanti, tutto immutato: il figlio di Bologna Amedeo Biavati sulla destra, Ezio Loik e Valentino Mazzola, anch’essi del Toro, mezz’ali, l’immortale Silvio Piola centrattacco e Pietro Ferraris ala sinistra. Come se niente fosse cambiato, esattamente come una guerra fa.

 

Finirà 4-4, con i gol di Piola e Loik ma soprattutto con le due ultime reti azzurre di Amedeo Biavati, che totalizzerà altre due presenze prima del ritiro senza trovare la via del goal. Ma il risultato conterà nulla: l’Italia, finalmente, era tornata. Un senso di unione che era venuto a mancare già da tempo, e al quale, purtroppo, dovette adattarsi anche il campionato di Serie A che, dopo 15 anni dall’introduzione definitiva del girone unico, fu costretta a fare un passo indietro, tornando ad una divisione geografica motivata dall’impossibilità di varcare gli Appennini, dilaniati dal conflitto e impercorribili dai mezzi. Così, da una parte si affrontarono le 14 squadre del Nord, da Bergamo, punto più alto, a Bologna, estremo meridione del girone; da ovest ad est, dalle tre genovesi, Sampierdarenese, Andrea Doria e Genoa, alla Triestina, dall’altra toccò alle cinque squadre che avevano giocato l’ultimo campionato di Serie A (Bari, Roma, Livorno, Fiorentina e Lazio) insieme alle ripescate Ancona, Pescara, Palermo, Salernitana, Siena e soprattutto Napoli. Soprattutto perché, a sorpresa, saranno i napoletani ad imporsi, mentre nel girone soprannominato dell’Alta Italia primeggerà uno straordinario Torino. Che, peraltro, vincerà anche il girone finale composto dalle prime quattro classificate di ciascun raggruppamento: sarà il terzo titolo per i granata, il primo del dopoguerra.

 

 

 

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