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Il Metodo Vincente #7: Lo squadrone che tremare il mondo fa

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Come ampiamente prevedibile, il quasi impeccabile comportamento delle istituzioni naziste durante le Olimpiadi fu solo uno specchietto per le allodole: una volta conclusi i giochi, il regime riprese la propria politica volta a formare un pensiero unico, con una forte limitazione delle libertà antitetica rispetto ai valori olimpici. Nello stesso 1936, la sanzione arrecata all’Italia per l’invasione dell’Etiopia, avvenuta tramite l’utilizzo di gas tossici, stante in un boicottaggio economico che la Germania rifiutò di applicare, finì per avvicinare Mussolini e Hitler, portando alla stipula del Patto d’Acciaio nel mese di Novembre.

Ben poco, comunque, cambiò nel sistema calcistico italiano, oramai proiettato al Mondiale del 1938 da detentore nonché campione olimpico in carica. Pozzo continuò le proprie sperimentazioni in vista dell’appuntamento francese, seguendo un campionato nel quale si iniziavano a mettere in mostra nuovi volti del calcio italiano. Uno su tutti, Amedeo Biavati. Il giovane giocatore bolognese, di ritorno dall’annata trascorsa in prestito in Sicilia, fece subito intravedere le sue doti convincendo Arpad Weisz a schierarlo da titolare nel tridente offensivo con Reguzzoni e il neoarrivato Busoni, che nel frattempo aveva sostituito Schiavio, oramai sul viale del tramonto e impiegato con il contagocce.

E dire che Biavati, nei propri movimenti, tutto sembrava tranne che un giocatore aggraziato, anche per via di quei piedi piatti che non ne favorivano la coordinazione. Brutto da vedere, ma potenzialmente letale, soprattutto per l’abilità nel saltare l’uomo tramite una particolare finta, consistente nel far ruotare il piede attorno al pallone, facendo credere al difensore di colpirlo, imitare lo stesso movimento con l’altra gamba e poi lanciarsi nello spazio. Doppio passo, diranno alcuni teorici calcistici qualche anno dopo. Un gesto a prima vista semplice, ma che per essere efficace ha bisogno di una tecnica sopraffina e, sopratutto, una velocità di esecuzione tale da eludere la marcatura: questo è lo spazio laddove il calcio si fonde con l’arte, il dribbling con l’estetica, la realtà con la magia.

Nonostante una partenza sprint, il Bologna venne ripreso dalla Lazio di Piola, che poi operò il sorpasso all’ultima del girone d’andata, vincendo il platonico titolo di campione d’inverno. Molto positiva fu anche la partenza della Lucchese che, con in campo Bruno Neri, che nel frattempo aveva lasciato la Fiorentina per approdare alla squadra guidata da Egri Erbstein, tecnico ungherese di comprovata sapienza tattica e molto apprezzato dallo stesso Pozzo, che ne condivideva le metodologie. Il premio per il buon inizio della squadra toscana e di Neri fu la convocazione di quest’ultimo per la partita di Coppa Internazionale contro la Svizzera, giocata a Milano, nella quale il centromediano fu schierato titolare con la maglia numero sei e fu protagonista nel 4-2 finale per gli azzurri.

Buon livello del campionato, ottimo della Nazionale, e soprattutto tanti talenti in rampa di lancio: Pozzo era conscio di avere tra le mani una squadra di assoluto valore, con la quale sfidare la favorita di turno: l’Austria. Soprattutto, con la possibilità di battere per la quarta volta Hugo Meisl, già affrontato ai Mondiali e alle Olimpiadi, ma contro il quale c’era stato un precedente caro al tecnico, risalente alle battaglie lungo l’Isonzo nella prima guerra mondiale, nella quale l’esercito austro-ungarico uscì battuto. Una sana rivalità, come dimostrato a Berlino pochi mesi prima, incrementata da una saltuaria corrispondenza tra i due e la proposta di Pozzo di nominarlo cavaliere del Regno d’Italia. L’appuntamento desiderato da Pozzo, in finale a Parigi, tuttavia saltò molto prima della partenza: il 17 Febbraio del 1937, nella propria casa di Vienna, Hugo Meisl spirò, colpito da un attacco cardiaco.

Il finale della Serie A vide un Bologna roccioso controsorpassare la Lazio ed aggiudicarsi, con due giornate d’anticipo, il proprio quarto scudetto. Non solo: la vittoria del titolo italiano garantì ai rossoblu la possibilità di partecipare al Torneo Internazionale dell’Esposizione Universale di Parigi, in programma tra il 30 Maggio e il 6 Giugno del 1937, insieme all’Austria Vienna di Sindelar, i tedeschi del Lipsia, lo Slavia Praga, il Phobus di Budapest, i padroni di casa del Sochaux e del Marsiglia e, soprattutto, il Chelsea, temibile squadra proveniente dall’Inghilterra, la patria del calcio.

A Parigi, l’esordio vede Schiavio, schierato titolare, e compagni fronteggiare il Sochaux. Nel 4-1 finale Anzlèin lascia la sua impronta, segnando le sue ultime due reti in maglia rossoblu, e a segno vanno anche Busoni e Sansone, con in mezzo il momentaneo 3-1 a firma dello svizzero Ableggen. Per la semifinale, è necessario spostarsi a Lilla, nel nord-est del paese, per incontrare lo Slavia: sarà un viaggio andata e ritorno, in quanto Reguzzoni e ancora Busoni mettono in valigia il pallone per tornare a Parigi, luogo designato per l’atto finale. E dall’altra parte del tabellone, esce vincitore il temibile Chelsea, che dopo aver faticato contro il Marsiglia, passando il turno solo grazie alla monetina, ha annichilito l’Austria Vienna.

Pronostici proibitivi? Sì, ma le paure rossoblu si fermano alla carta: è addirittura 4-0 al 65′, con la tripletta di Reguzzoni e il gol di Busoni, Weaver accorcia le distanze. Il risultato finale diede adito all’idea di una squadra solida, incrollabile, ma che, in compenso, faceva tremare le altre.

Il Bologna è lo squadrone che tremare il mondo fa

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