Calcio
Il punto sul Campionato – 22 Ott
SERIE A – 8ª Giornata
La Roma non si ferma più e sabato all’Olimpico, davanti ai suoi tifosi e a Maradona, ha dimostrato invece di fare sul serio, sconfiggendo un Napoli che non è sembrato poi così in forma. Del resto, però, spesso è difficile distinguere i meriti di una squadra dai demeriti di chi l’affronta: se gli azzurri non sono sembrati granché può senz’altro essere dipeso dall’ottima prestazione dei giallorossi, quadrati nel chiudere le iniziative ospiti e pazienti nell’attendere il momento giusto per colpire e chiudere la gara. E sì che l’infortunio capitato a Totti in avvio di gara aveva fatto pensare che questa poteva essere la giornata giusta per vedere la squadra di Garcia almeno rallentare: niente da fare, la Roma dimostra di essere squadra anche senza il suo capitano e l’eroe di giornata è un talento sicuramente sottovalutato dai più fin dai tempi del suo arrivo.
Miralem Pjanic, dopo essersi regalato la partecipazione al prossimo Mondiale con la sua Bosnia, prima pennella una punizione magistrale e poi chiude con freddezza su rigore. Nel mezzo, una gara giocata bene da entrambe le squadre ma che aveva visto i padroni di casa senza dubbio più incisivi: Zeman avrà anche fatto male la scorsa stagione ma la scoperta di uno come Florenzi è da ascrivere a lui e al suo occhio lungo.
Il Napoli si lecca le ferite e scopre che le riserve, checché se ne dica, non sono al livello dei titolari, una lacuna che era presente anche le scorse stagioni e che incide prepotentemente quando si gioca per traguardi altissimi. Non so se con Higuaìn in forma (o con una riserva adeguata) il match sarebbe andato diversamente, quel che è certo è che senza un cannoniere è difficile pensare di bucare quella che risulta essere attualmente la miglior difesa d’Italia e forse d’Europa: nel Continente però una cosa è certa, nessuno ha il ritmo del team di Garcia.
Meriti e demeriti se li spartiscono anche Fiorentina e Juventus, con i Viola bravi a crederci fino a rimontare e vincere e i bianconeri davvero abulici e spariti psicologicamente nell’ultima mezzora: certi cali di concentrazione non sono da Juve, così come certi atteggiamenti – le “mitragliate” provocatorie di Tevez prima e Pogba poi – che con le passate dirigenze non sarebbero mai state tollerate. È un peccato principalmente per la stessa Juventus, abile negli anni ad avere un suo stile che presupponeva il porsi al di sopra di chi (a torto o a ragione, ognuno avrà la propria opinione in merito) si lagnava della sudditanza psicologica di alcuni arbitri nei suoi confronti.
Con il “nuovo corso”, quello da Calciopoli in poi per intenderci, la Juve ha perso completamente questo stile, abbassandosi al livello di chi la critica e finendo per esibirsi in scaramucce e provocazioni che non le fanno onore. A mio avviso, meglio sarebbe stato se avesse continuato a sentirsi (e spesso a essere) una spanna sopra le comuni società invece di perdere così clamorosamente lo stile che la contraddistingueva e che la rendeva una società unica in Italia. La sconfitta di Firenze, dopo quelle mitragliate, deve bruciare ancora di più, soprattutto perché conferma quello che in molti avevano percepito in questi primi mesi: se non è crisi, poco ci manca. Non ho mai sopportato chi definisce una squadra “in crisi” alla prima sconfitta ma è indubbio che tra questa débâcle e quella patita la scorsa stagione con l’Inter, seppure allo Juventus Stadium, c’è un abisso e le stentate (e polemiche) vittorie contro Chievo e Torino certo dovevano suonare come campanelli d’allarme, a differenza di una Champions League dove per gioco espresso sarebbero dovute arrivare due vittorie e invece sono arrivati due pareggi di pura sfortuna.
Sicuramente la Juventus delle passate stagioni sapeva essere più forte anche della sfortuna, degli episodi, a maggior ragione contro squadre ampiamente alla portata: anche la Fiorentina lo era, capace di prendere due reti in pochi minuti e apparsa in bambola e spuntata – l’assenza di Gomez pesa ancor di più in certe gare. E invece…
Penso che nessuno avrebbe voluto essere nei panni dei giocatori in bianconero al termine della gara immaginando la lavata di capo che Conte avrà riservato ai suoi uomini: e così, mentre Tevez dimostra di essere un campione, assistiamo al declino dei suoi partner d’attacco; mentre in mezzo al campo esplode Pogba in tutta la sua magnificenza, ecco che sia Pirlo che Marchisio non sembrano più così inarrestabili. E se anche la difesa tradisce, primo tra tutti un Buffon (che, concordo con Prandelli, rimane comunque il miglior portiere d’Italia) assolutamente colpevole sul gol del pareggio, la frittata è fatta. Più che una questione di modulo, il problema sembra essere quello di trovare la giusta concentrazione dopo due stagioni al 101% di sforzo sia fisico che mentale. In tutto questo mettiamoci anche una Fiorentina che piano piano ritrova se stessa, un Montella che si dimostra abile a cambiare le carte in tavola, un pubblico viola che costringe i suoi beniamini a non arrendersi – a maggior ragione, mi ripeto, dopo le “mitragliate” – ed ecco che arriva la vittoria dei viola, una vittoria dopo (va detto) più di vent’anni. Una vittoria che ha il nome e il cognome di Giuseppe Rossi, talento unico e speciale prima ignorato dai nostri club e in seguito troppo frettolosamente dato per finito da quasi tutti. Bravissimi sono stati Pradè e Macìa a ricordarsi di lui? No, io dico assai poco bravi sono stati tutti gli altri.
Per la Fiorentina sono quindi tre punti d’oro mentre per la Juve bisognerà vedere quale sarà la reazione: a volte certe scoppole aiutano più di alcune vittorie stentoree e conoscendo Conte e la società bianconera (tollerabili certe cadute di stile, si parla pur sempre della società più forte e ordinata d’Italia) il riscatto ci sarà. Bello sarebbe, per il calcio italiano, che cominciasse già questo mercoledì con il Real Madrid senza rimandare il discorso ad un campionato che forse Madama non trova più così stimolante.
Dietro le Big spunta un Verona che non sembra voler smettere di stupire: il 3 a 2 al Parma porta la doppia firma su rigore di Jorginho, altro talento sfuggito alle grandi che, dopo averlo ammirato la scorsa stagione in B, come sempre hanno saputo solo dire che piaceva ma senza affondare il colpo. Eppure direi che sarebbe potuto costare meno (e incidere meno a livello di stipendi) di tanti presunti campioni, così come Iturbe, altro gran bel prospetto arrivato in sordina. Toni vince la sfida dei “campioni di provincia” contro Cassano, dimostrandosi sicuramente non bollito, ma la mia nota di merito va al portiere degli scaligeri Rafael, autore di un intervento decisivo. Il Verona è la dimostrazione che più che grandi cifre servono uomini giusti al posto giusto in campo e in società, poi il resto può venire da sé, e anche se non dovesse durare rendiamoci conto che si parla di una squadra che con buona probabilità si salverà con qualche giornata d’anticipo e che a inizio stagione era stata messa tra le probabili retrocesse.
Il resto della giornata offre diversi motivi di riflessione, partendo da due grandi reazioni d’orgoglio. Quella del Milan, in gol grazie al bravo e fortunato Birsa ma valido poi nel gestire la gara con carattere e maturità contro un’Udinese poco incline a mollare i tre punti: prima di riflettere sulle capacità tattiche di Allegri inviterei tutti quanti a riflettere sulle sue capacità di motivatore, sicuramente eccellenti, ed è forse quello che fa Galliani ogni qual volta Berlusconi (che sicuramente ora ha altro a cui pensare “così, giusto per ricordarlo”) solleva dubbi sul tecnico livornese.
Altra gran reazione quella della Sampdoria, che supera in trasferta un Livorno che era parso una brutta gatta da pelare ma che invece ha visto emergere ieri tutti i propri limiti di inesperienza: beccare un rigore al 90° in quel modo – mi dispiace dirlo – è da polli; per fortuna il campionato è lungo e la squadra tutto sommato ha dimostrato di esserci.
Concludo il mio intervento, purtroppo breve visto che la linea Internet va e viene (vivo a Prato, colpita dal maltempo proprio oggi [ieri 21/10/2013 ndr]) con due considerazioni: la prima riguarda l‘Inter, che più che recriminare su alcuni episodi dovrebbe chiedersi se è stato un giusto atteggiamento mentale quello messo in campo col Torino. Sicuramente va dato merito ai nerazzurri di aver giocato una buona gara praticamente in dieci da subito, ma allo stesso tempo consiglierei ai dirigenti interisti di non sentirsi al centro di chissà quale premeditazione, soprattutto visto e considerato che il Torino, fino a ieri sera, certo non era stato trattato con i guanti dalla classe arbitrale.
Chiudo con il Bologna di tutti voi e che oramai è diventato giocoforza la mia squadra simpatia: male, male, male. È incredibile come maturino certe sconfitte, è incredibile che una rosa dalla qualità comunque dignitosa – certo sulla carta superiore a molte avversarie dirette – non riesca a indovinare una partita che sia una. Dare la colpa a Pioli potrebbe essere sbagliato, si parla dello stesso tecnico che la scorsa stagione fece benissimo, ma del resto anche Maran la scorsa stagione a Catania fece il record di punti e ieri sera è saltato: qualcosa va fatto, non è pensabile consegnarsi così, malinconicamente, a un Sassuolo che non aveva ancora vinto una gara. Dopo le sconfitte con le Big avevo detto che non era in quei match che i rossoblù avrebbero dovuto fare risultato… ma diamine, contro il Sassuolo sì, sarebbe stato necessario, fondamentale, fare risultato. Quello che appare evidente è una squadra senza fiducia in se stessa e a corto di motivazioni, ed è un vero peccato considerato che qualche giocatore mette tutto (al solito, un bel Diamanti) ma sembra predicare nel deserto: il prossimo turno, e quello infrasettimanale immediatamente successivo, ci daranno per forza delle risposte e alcune di queste potrebbero costringere la società ad agire prima che la situazione diventi davvero irrimediabile.
Con questo è tutto e… ah, no. Voglio ancora aggiungere due righe a riguardo dei cori di discriminazione razziale e la squalifica (è notizia di oggi [ieri 21/10/2013 ndr]) di alcuni settori dello stadio di almeno quattro club: a mio modesto parere è triste pensare a uno sport che in Italia viene vissuto da certi elementi quasi solo per offendere i rivali, è triste che questi individui considerino tutto questo normale e magari ritengano un damerino chi invece lo trova offensivo. Lo stadio, è bene ricordarlo, non è dei tifosi: quando acquistiamo un biglietto, guadagniamo il diritto a vedere una gara di calcio, non ad offendere gli altri nè a danneggiare delle proprietà altrui.
Purtroppo in questa vicenda ci vedo molta “italianità”: la giustizia cieca e raffazzonata che colpisce duro infischiandosene di fare dei distinguo che si scontra con l’ignoranza più becera di chi pensa che sia un suo diritto, in quanto tifoso di calcio, offendere certe città e chi le abita.
Si dice che non sia facile distinguere tra sfottò e razzismo (o discriminazione territoriale che dir si voglia) e sicuramente è così, ma io vi chiedo: è davvero così divertente ed imprescindibile ricordare e/o augurare terremoti, colera o eruzioni vulcaniche? Non sarebbe più bello per tutti canalizzare questi sforzi per incitare costantemente i propri beniamini, magari con coreografie nuove ed originali?
Più che una critica al “sistema tifo”, penso sia un tema di riflessione; e no, non fidatevi di chi dice che certe cose succedono in tutto il mondo: tanto per citare un amico che stimo, Il Conte:
“Lanciano fumogeno durante Aston Villa-Tottenham: arrestati due tifosi del Tottenham. Gli steward hanno impiegato 4 minuti a individuarli.
4 minuti.
Da noi sarebbero serviti almeno 4 anni.”
Chi dice che il calcio in Italia non può essere diverso, semplicemente non vuole che sia diverso. Come per risolvere moltissimi altri problemi della nostra società, forse a volte basterebbe solo un poco di coscienza e civiltà.
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