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Calcio

La figurina di Roberto Baggio

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Maldive, atollo di Malè Sud, isola di Dhigufinolhu, 40 minuti di motoscafo dall’aeroporto della capitale. Il paradiso terrestre o qualcosa che gli assomiglia davvero molto. Settembre 2004, tre mesi prima del tragico tsunami che ha messo in ginocchio ogni lembo di terra bagnato dall’Oceano Indiano. Sono sposato da poco più di 24 ore e nell’agognato viaggio di nozze cerco soltanto una pace dei sensi che manca ormai da troppi mesi. Maglia del Bologna d’ordinanza in valigia da sfoderare sulla bianca playa nell’intenzione, concreta, di contrastare le troppe maglie di Totti che vestono i turisti capitolini. Anche la mia “camiseta” ha impresso il 10 e sopra al numero, un nome: Baggio. Adoro Roberto Baggio semplicemente perché adoro il gioco del calcio ed i suoi più grandi interpreti. Lui, a mio avviso, è stato il più grande calciatore italiano di fine anni ’80, anni ’90 ed inizio nuovo millennio. Sono orgoglioso di averlo visto giocare in rossoblu. Solo per una stagione, un orgasmo calcistico. Punto. Il sole picchia forte sulla spiaggia incontaminata maldiviana e decido di avventurarmi (sai che avventura) nell’entroterra isolana. Dhigufinolhu è una striscia di terra affiorante dal mare, pardon oceano, più bello del pianeta. Il perimetro dell’isola è percorribile, a piedi, in circa 8 minuti ed i deja vu sono all’ordine del giorno. Nel resort griffato Hotelplan c’è un piccolissimo negozio di souvenir gestito da personale maldiviano accorpato al colosso svizzero del turismo. Entro con l’intenzione di dare semplicemente un’occhiata. Il ragazzo al bancone inizia a fissare in maniera piuttosto intensa. Ripenso velocemente alle parole della nostra guida di accoglienza qualche ora prima. Questi giovani commessi  vivono un lungo esilio lavorativo lontano dagli affetti, dalla famiglia, dalla propria casa, dagli amori. Mesi, anni comunque troppo per qualcosa che si aggira sui nostri 200-300 euro mensili. Abbraccio forte mia moglie nel tentativo di mostrare che tra l’uomo e la donna preferisco (e preferirò sempre) il gentil sesso. Il ragazzo appare rapito. Il suo sguardo però non è focalizzato sul mio viso ma sulla maglia che indosso. Mi avvicino al bancone, mi sorride e con il dito mi indica una piccolissima fotografia posta alle sue spalle. Non ci posso credere. E’ una figurina di Roberto Baggio con la maglia del Brescia appartenente ad una edizione asiatica di qualche collezione di stelle del calcio. Il ragazzo non parla inglese ma a gesti ci capiamo. Guarda la mia maglia e mi chiede se Roberto Baggio ha effettivamente giocato in questa strana squadra marchiata “Granarolo”. “No Granarolo, Bologna Calcio, very important italian team”, replico io. “Io ho visto giocare Roberto Baggio, l’ho conosciuto, gli ho chiesto l’autografo prima di partire per il servizio militare nel 1998”, mi lancio nel dialogo. Al ragazzo non frega assolutamente niente, continua a ripetermi “Granarolo, Bologna, Roberto Baggio, beautiful, fantastic…”. Diventiamo amici di calcio, cerco di capire se esiste una squadra di pallone alle Maldive. Intuisco che nella capitale Malè c’è una sorta di nazionale calcistica di proprietà del Presidente della Repubblica Maldiviana. Racconto al ragazzo che il 16 maggio 2004, solo qualche mese prima, Roberto Baggio ha salutato il mondo del calcio. “Impossible, Roberto Baggio it’s champion, no football without Roberto Baggio”, la notizia non dev’essere arrivata alle Maldive. L’internet point funziona un giorno si e quattro no. Io di giornali sull’isola non ne ho visto mezzo e i collegamenti telefonici, boh, una roba strana. D’altro canto la gente alle Maldive ci atterra per riposarsi, per staccare la spina, per prendere la tintarella fuori stagione e mostrare orgogliosi le foto ad amici e colleghi. Noi viviamo e ci nutriamo di calcio, qua non sanno nemmeno che Baggio ha smesso di giocare. Nelle mie due settimane di permanenza asiatica torno ogni giorno al negozietto dei souvenir. E’ il mio bar dello sport, sono proprio un italiano medio. Per il ragazzo del bancone ormai sono Roberto Baggio e alla fine, se non per la differenza di conto corrente e di piedi vellutati, la parte la reggo bene. Arriva il momento dei saluti: “Today is last day in Dhigufinolhu my friend, this is my mail, write me”. Io l’inglese lo parlo e lo scrivo da playboy romagnolo, l’ho imparato nel campeggio di Lido di Spina nel tentativo di intortare le splendide ragazze polacche in vacanza nei lidi ferraresi. Dopo un’ estate a guardare gli altri limonare, alla fine l’inglese lo impari. Ci scambiamo la mail, rientro nel bungalow, guardo la valigia, guardo mia moglie, prendo la maglia di Roberto Baggio e ritorno al negozio. “This is for you, remember Bologna Football Club”, sembra una scena uscita da un film. Il ragazzo si commuove, mi abbraccia e mi regala una sorta di portafortuna maldiviano. Appena arrivato in Italia gli ho inviato una mail, server inesistente, non l’ho mai più sentito. Tre mesi dopo, le immagini della tv raccontano cinicamente la sciagura dello tsunami di Santo Stefano. Ho riprovato a scrivere, niente. A distanza di otto anni, ancora oggi, penso a quel ragazzo. Mi auguro con tutto il cuore che la maglietta del Bologna di Roberto Baggio possa avergli portato fortuna, anche solo per un secondo. Il calcio non è solo business, doping, calciopoli, scommessopoli o le cazzate di Balotelli, il calcio dall’altra parte del mondo è anche una figurina ingiallita di Roberto Baggio appesa in un piccolo negozietto di souvenir. Mi raccomando però, non ditegli mai che Roberto…ha smesso di giocare.

Mattia Grandi

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