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Lo storico mondiale del Marocco: La società

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Il calcio, come ogni altra cosa nella vita, è anche un atto politico. Tutto ciò che facciamo, consapevolmente o inconsapevolmente, ha ripercussioni sulla società che ci circonda: non importa quante persone siano direttamente coinvolte dalle nostre scelte, esse sono sempre importanti e hanno sempre un effetto. Quando, però, si hanno a disposizione palcoscenici più grandi, bisogna essere consapevoli della propria responsabilità. In ambito calcistico il Mondiale è, probabilmente, l’evento più seguito e le narrazioni che ne nascono possono essere molto suggestive. In questa edizione il Marocco, unendo la consapevolezza del proprio peso politico e la leggerezza del gioco, non ha solo scritto una pagina della storia del calcio, ma ha anche rappresentato il riscatto di un popolo intero. Il Marocco è stato storicamente un luogo di confine, sono solo quattordici i chilometri che lo separano dalla Spagna, teatro di guerre e diaspore. Per la vicinanza con il continente europeo esso è stato uno dei punti nevralgici delle secolari guerre legate alla Reconquista della penisola iberica da parte degli eserciti cattolici, terminata nel 1492 sotto il regno di Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia. Il segno di questi conflitti in Marocco è ancora oggi evidente con la presenza delle due enclave spagnole di Ceuta e Melilla, unici confini di terra tra Europa e Africa, due luoghi in cui la tensione è ancora alta per le complesse questioni migratorie. Le spinte colonialiste che tra il XIX e il XX secolo hanno visto coinvolto tutto il continente africano, hanno lasciato altri segni nella storia del paese: nel 1911, infatti, il Marocco venne ufficialmente conquistato in parte dalla Spagna e in parte dalla Francia. La convivenza, come in tutte le colonie, fu molto dura e tra i tragici eventi è possibile ricordare la guerra del Rif che tra il 1921 e il 1926 fece più di cinquecento mila morti. L’Indipendenza venne ottenuta ufficialmente nel 1956, ma i rapporti con i due paesi occupanti erano ormai solidificati: il tessuto sociale che si era venuto a formare ha fatto sì che negli anni successivi molti marocchini emigrarono negli stati colonizzatori e da lì in quelli limitrofi, come Belgio e Olanda. A Bruxelles la presenza di discendenti da immigrati dal Marocco raggiunge quasi il 20% sul totale della popolazione, dato che si alza considerando le fasce d’età più giovani. Non è un caso che la rosa presentata ai Mondiali veda al suo interno numerosi giocatori nati o cresciuti in Spagna, Francia e Belgio. Infine, in questo excursus storico è importante sottolineare come la presenza francese in territorio marocchino sia ancora forte e controversa a causa degli investimenti economici e delle ingerenze nel mondo del lavoro e della cultura, quasi come una nuova colonizzazione nell’epoca del postcolonialismo.

La casualità ha voluto che in questo cammino mondiale il Marocco incontrasse ben tre di questi paesi a cui è fortemente legato: Belgio, Spagna e Francia. A questi andrebbe aggiunto anche il Portogallo, anche se con esso i rapporti si sono interrotti con la fine della Reconquista. Partite di questo tipo portano con sé, indipendentemente dalla volontà dei giocatori, un forte valore simbolico. Nel momento in cui si appartiene a un popolo che negli ultimi secoli ha subito forti repressioni nel proprio territorio e che quando immigrato ha trovato molte difficoltà a integrarsi in maniera pacifica e profittevole, una rivalsa sportiva di così ampia portata può diventare motivo di grande orgoglio. La prima rappresentativa affrontata è stata quella belga, battuta 2-0 e messa di fronte alla possibile eliminazione ai gironi. Il rapporto tra la comunità marocco-discendente e quella autoctona, soprattutto a Bruxelles, è molto teso, ancor più dopo gli attacchi terroristici del 22 marzo 2016 e la tendenziale identificazione delle persone di origine araba con i colpevoli. Risulta facile pensare, quindi, che dopo la vittoria nei gironi la comunità araba si sia riversata nelle strade della capitale belga per festeggiare la propria rivalsa, la vittoria su un paese che li ha prima accolti e poi, in parte, disconosciuti: è stato un modo per alleviare momentaneamente le sofferenze e gridare al mondo la propria esistenza. Bisogna sottolineare come la maggior parte delle celebrazioni siano state pacifiche e la versione degradata raccontata dai media, questa parzialità è significativa, è frutto solo delle azioni di un piccolo manipolo di persone. È, però, interessante notare come questi abbiano preso di mira principalmente mezzi del trasporto pubblico e non quelli privati. Anche la partita con la Spagna è nata sotto il segno della tensione: i gruppi ultras delle società calcistiche madrilene, del Valencia e del Betis hanno, infatti, annunciato prima del match che avrebbero compiuto delle ronde per impedire i festeggiamenti. Dopo la vittoria dei Leoni dell’Atlante, le celebrazioni in terra spagnola si sono comunque tenute con una moltitudine di tifosi riversati nelle strade, ma, al netto di qualche scontro, ci sono stati meno problemi di quanti preventivati. Questo senso di rivalsa non si è limitato solo alle comunità nei paesi affrontati, ma ha coinvolto tutte le comunità marocchine dislocate in Europa, si pensi ai grandi festeggiamenti che ci sono stati nelle strade e nelle piazze italiane. Sono stati cortei pacifici, ma bisogna sottolineare come a Verona alcuni estremisti di destra, armati di manganelli e catene, siano intervenuti per bloccare le celebrazioni, sintomo di come i problemi di integrazione siano forti anche in Italia. La partita a più alto rischio, però, era quella con la Francia dove la tensione etnica è più alta e i rapporti presenti e passati tra i due paesi sono più conflittuali. Dopo la vittoria ai quarti contro il Portogallo sono iniziati i primi scontri, ma il culmine, come prevedibile, è stato dopo la semifinale vinta da Les Blues. In diverse città si è scatenata una guerriglia urbana causata sia da alcuni comportamenti di matrice raziale dei francesi, sia dalla forte insofferenza della comunità araba. Le immagini sono eloquenti e la violenza sempre deprecabile, ma questi eventi devono essere presi come sintomo di una situazione sociale allo stremo. Bisogna poi sottolineare come i festeggiamenti descritti dai media come violenti, fatta eccezione per gli eventi francesi, spesso erano gli stessi che quando la propria nazionale, o un’altra occidentale, vince vengono celebrati come atti di gioia e di unione.

Ci sono poi gli atti consapevoli, come quelli di El Yamiq, Sabiri e di molti altri calciatori marocchini che dopo le vittorie hanno festeggiato con la bandiera della Palestina: questi gesti, vista la copertura mediatica e le attuali tensioni, sono stati molto forti e significativi. E se qualcuno dovesse contestare che loro non corrono molti rischi a farlo, bisognerebbe rispondere che, però, almeno loro, a differenza di molti altri, l’hanno fatto.
Infine, la rivincita, in questo caso tutta italiana, di Amrabat. Nell’ultimo anno e mezzo il giocatore della Fiorentina è stato al centro di ripetute, spesso offensive e discriminatorie battute sulla sua presunta omosessualità. Il centrocampista, mai scompostosi sul tema, con le sue ottime prestazioni è ora diventato un eroe da celebrare per tutte quelle persone che prima lo insultavano. L’ipocrisia svelata.

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