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Lutz Eigendorf, vita e morte del “Beckenbauer dell’Est” – 09 nov

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Fino alla sua caduta, avvenuta ufficialmente il 9 novembre del 1989, il muro di Berlino ha rappresentato il simbolo della “Cortina di Ferro”, il confine della spartizione del mondo tra quei Paesi che erano sotto l’influenza dell’Unione Sovietica e quelli che invece erano sotto il controllo occidentale.
Non era semplicemente un muro, quello che divideva la città tedesca. Attraversarlo significava, per chi abitava nell’Est, la possibilità di inseguire una libertà che nella DDR era diventata negli anni, dopo un iniziale illusione di comunismo “reale”, una vera utopia. In molti tentarono di farlo, qualcuno riuscendovi e qualcuno finendo con il rimetterci la vita. Questa è la storia di uno di loro, un calciatore di grande talento che per inseguire la fama e una vita “normale” finì per diventare il tributo più evidente che il calcio ha pagato a questa follia.

Nato il 16 luglio del 1956 a Brandenburgo, Lutz Eigendorf si distingue da subito per l’ottimo talento, che lo porta a brillare nella locale squadra del Motor Süd Brandenburg. La stoffa c’è ed è cristallina, tanto che le voci su questo giovanissimo centrocampista centrale abile a disimpegnarsi sia in fase difensiva che in fase offensiva arrivano alle orecchie di chi si occupa della Dinamo Berlino, la squadra più forte e temuta di tutta la Germania dell’Est. È così che a 14 anni Eigendorf lascia la città natale per andare nella grande e affascinante Berlino, a quei tempi già da diversi anni divisa dal Muro che determina in pratica chi sta dalla parte degli amici sovietici e chi dalla parte del “nemico” occidentale e capitalista.

Il calcio, come tutto nella Germania Orientale, non sfugge all’influenza della politica: chiunque avesse un qualche ruolo nella gerarchia del neonato Paese poteva avere qualcosa da dire nel calcio. Era accaduto ad esempio che un’intera squadra, l’Empor Lauter, nel 1954 fosse stata caricata con la forza su un treno nottetempo. Destinazione Rostock, dove il capo del sindacato locale gradiva una squadra cittadina forte e se ne fregava se il piccolo paesino ai confini con la Cecoslovacchia si sarebbe ritrovato improvvisamente senza più una squadra da tifare. [1] Dalla seconda metà degli anni ’60 la Dinamo Berlino è la squadra presieduta da Erich Mielke, capo del Ministero per la Sicurezza di Stato, la famigerata STASI. È la squadra che “deve vincere” e che invece, nel momento in cui Eigendorf vi si aggrega, viene da una delusione dietro l’altra: non bastano infatti il nome di Mielke o alcuni arbitraggi compiacenti per vincere un campionato, non basta neanche il rastrellare – come avvenuto nel caso dello stesso Eigendorf – i migliori giovani talenti del Paese anticipando con prepotenza le altre squadre. Forse è proprio il clima di terrore presente in tutto il Paese, ma specialmente nella squadra che dovrebbe rappresentare più di tutti la forza della STASI e quindi dei servizi segreti orientali, a bloccare la Dinamo: dopo un biennio in cui il titolo viene vinto dal Magdeburgo, arriva un tris di vittorie da parte della Dinamo Dresda. Queste due squadre si divideranno dieci campionati, dal 1968 al 1978, e prima di loro sono stati campioni della DDR/Oberliga Carl Zeiss Jena, Karl Marx Stadt e i rivali del Vorwärts Berlino: la Dinamo mai, nonostante i tentativi più o meno leciti – il confine tra lecito e illecito, tra l’altro, lo stabilisce lui – di Mielke.

Finalmente, nel 1978-79, arriva il trionfo in campionato: anni di manovre più o meno lecite, di pressioni su arbitri e avversari e di prelievi forzati dei migliori giocatori delle squadre rivali hanno portato finalmente la Dinamo Berlino ad essere la squadra più forte della Germania Est.
Con la maglia color vinaccia, da quattro stagioni, uno dei protagonisti è proprio Lutz Eigendorf: ha esordito in squadra appena maggiorenne, e fino alla stagione del titolo ha messo insieme 100 presenze e 7 reti, mettendo il proprio talento al servizio della squadra in quel ruolo di regista davanti alla difesa che gli è valso il soprannome di “Beckenbauer dell’Est”. A 22 anni il talento di Brandenburgo è uno degli astri nascenti del calcio tedesco-orientale, ha trovato anche la Nazionale (in cui ha esordito siglando una doppietta contro la Bulgaria) ed è uno dei protagonisti della squadra di Mielke, che si gode il primo successo della sua squadra pur avendo anche molte altre preoccupazioni: la STASI infatti deve fronteggiare i ripetuti tentativi di molti giovani tedeschi dell’Est, disillusi dal naufragio di quella che doveva essere una società perfetta e che invece si è rivelata solo l’ennesimo regime comunista solo di nome.
Tra questi sono noti i nomi dei giovani talenti calcistici della Germania Est Under-21 Jürgen Pahl e Norbert Nachtweih, che hanno approfittato di una partita in Turchia per fuggire e non far mai più ritorno, imitati poi in seguito dallo stesso allenatore della rappresentativa Jörg Berger, che era addirittura in predicato di passare ad allenare la Nazionale maggiore. 

Lutz Eigendorf si è sposato e si appresta a diventare un idolo della squadra più odiata in tutta la Germania Orientale, eppure l’esempio dei due ex-compagni deve essergli entrato in mente come un tarlo. Fuggire può essere una possibilità, così come fare carriera, essere finalmente un calciatore libero, in un calcio libero, in una società libera. Lo ha capito, il giovane “Beckenbauer dell’Est”, che i successi stanno arrivando in modo non onesto e pulito, e la cosa non gli piace. 
Passare all’Ovest, passare al “nemico”. Non sono cose che a quei tempi si possono pensare ad alta voce, figuriamoci progettare. Bisogna solo saper attendere, cogliere il momento se questo si presenta.
L’occasione arriva in seguito ad un’amichevole che i campioni della Germania Orientale giocano nel marzo del 1979 contro la squadra dell’Ovest del Kaisersalutern, al di là del muro. La pesante sconfitta patita per 4 a 1 evidenzia i limiti di una squadra che è forte solo in patria e solo per l’enorme influenza del suo “padrone”, ma i giocatori non sono comunque frustrati. Per molti di loro è la prima occasione di vedere com’è il mondo oltre il confine, ed è per questo che prima della trasferta sono stati indottrinati a dovere sui pericoli del mondo occidentale, capitalista, assente di ideali. Sono parole che non sempre possono risultare convincenti, per cui la STASI tra un anatema e l’altro inserisce anche minacce più o meno velate di ritorsioni e vendette verso chi anche solo pensasse di abbandonare la causa comunista.
Quando però Eigendorf, insieme ai suoi compagni, si trova in un mercato a spendere gli ultimi spiccioli di valuta straniera prima di montare sul bus che riporterà tutti a casa, ecco che intravede l’occasione che forse, nella vita, mai più gli si potrebbe presentare.

Si dilegua in mezzo alla folla, trova un taxi e ordina al tassista di premere il pedale a tavoletta, portandolo lontano dalla Dinamo Berlino, lontano dalla Germania dell’Est, per sempre. A 22 anni Lutz abbandona il suo Paese per diventare un rifugiato politico, uno dei tanti che per vivere libero ha scelto la fuga. A differenza di Pahl e Nachtweih, però, Eigendorf non gioca in una qualsiasi altra squadra della DDR, ma in quella che rappresenta Erich Mielke e il potere della STASI, che non può certo lasciare impunito un tale affronto: permettere infatti al suo giovane talento di rifarsi una vita al di là del muro significherebbe ammettere la propria debolezza, così la federazione orientale – di cui è a capo proprio lo stesso Mielke – non concede il transfer necessario al giovane Lutz, che viene squalificato per un anno prima di poter ricominciare la carriera – finalmente libero – proprio in quel Kaiserslautern che lo ha visto protagonista nell’ultima partita in maglia “vinaccia”.

Non sempre però nel calcio una grande promessa si rivela poi un grande calciatore, e la ricerca di Eigendorf di un calcio più pulito e più vero ne rivela anche i limiti tecnici che il giocare sotto il patrocinio della STASI nascondeva. Il “Beckenbauer dell’Est” infatti si perde tra infortuni e prove poco convincenti, finendo col sedere spesso in panchina e diventando lentamente, sul campo, un giocatore come tanti.
Non però un uomo come tanti, quello è impossibile: Eigendorf è pur sempre un rifugiato politico, un simbolo, e quando passa all’Eintracht Braunschweig nel tentativo di trovare un rilancio professionale, finisce con l’essere intervistato da una tv occidentale proprio sotto il muro di Berlino, rappresentante calcistico dei tanti giovani che sono fuggiti all’Ovest libero e democratico. In questa intervista, Eigendorf sottolinea i limiti e le scorrettezze del calcio e della società tedesco-orientale – dove nel frattempo la Dinamo Berlino è diventata una vera e propria super potenza capace di vincere un campionato dietro l’altro – invitando i propri ex-colleghi a lasciare il Paese e a venire a giocare in Occidente. Lutz forse ingenuamente non lo sa, ma è proprio con quell’intervista che firma la sua condanna a morte: un uomo orgoglioso e vendicativo come Mielke non può perdonare un simile affronto al proprio Paese, per giunta proveniente da un ex-membro della “sua” squadra.

Il 5 marzo 1983 può sembrare un giorno come tanti altri ad ovest del muro. Nelle radio sta per impazzare “99 Luftballons” di Nena, la più famosa canzone pop tedesca di sempre: parla della tensione che si vive in tutto il mondo, specialmente nella Germania divisa, per la “guerra fredda”. Quella notte la polizia tedesca trova un’Alfa Romeo semi-distrutta in seguito ad un tremendo impatto avvenuto contro un albero: al suo interno il corpo in fin di vita di Lutz Eigendorf, un incredibile tasso alcolemico di 0,22. La corsa all’ospedale si rivela inutile, le ferite sono troppo gravi ed estese: dopo più di trenta ore di agonia quello che era noto una volta come il “Beckenbauer dell’Est” si spegne. 
Il pomeriggio dell’incidente – nella sconfitta casalinga del Braunchsweig contro il Bochum – Eigendorf era rimasto in panchina, l’ennesima di una carriera che si era presto fermata scontrandosi con un calcio più competitivo di quello cui era abituato e per via anche di una serie di infortuni che mai gli avevano permesso di ritrovare la brillantezza degli esordi. Può sembrare una morte casuale, la sua, figlia degli eccessi occidentali – l’alcol, le auto di grossa cilindrata – ma qualcuno pensa che nella Germania divisa tra Est e Ovest una morte come quella può anche non avvenire per caso. È il giornalista Jochen Döring, che anni dopo realizza un’inchiesta che porta alla luce la verità sulla fine del promettente calciatore della DDR.
Si scopre così che fin dagli istanti successivi la fuga di Eigendorf la STASI aveva coinvolto decine di agenti per tenere sotto controllo il giocatore al di là del muro e la sua famiglia rimasta a Berlino Est. Della moglie e della figlia si erano occupati vari agenti segreti, che si erano finti amici e colleghi della donna fino a quando uno di questi l’aveva sedotta e poi sposata – dopo che questa aveva chiesto e ottenuto il divorzio dal marito “traditore” – ottenendo addirittura l’adozione della figlia di Lutz. [2] 
Non era amore, ma semplice spionaggio: questi agenti, nome in codice “Lothario”, servivano proprio in questi casi, per poter meglio controllare il bersaglio, ed il fatto che ci si spingesse a tanto può far capire il grado di fanatismo del regime verso chi lo tradiva.

Nella Germania Occidentale, intanto, di Eigendorf si era occupato Karl-Heinz Felgner, ex-soldato ed ex-pugile tedesco-orientale, amico di gioventù del giocatore e che questi aveva rincontrato all’Ovest. Allo stupore dell’amico, Felgner aveva risposto raccontando di come fosse stato, in pratica, espulso dall’Est in quanto considerato persona non gradita. Ebbene Felgner in realtà era in Occidente in quanto spia della STASI, ed il suo compito era proprio quello di seguire Eigendorf: arrestato nell’estate del 2009 in seguito ad una tentata rapina in un negozio di Dusseldorf, nel corso del processo rivela di aver avuto un’offerta per uccidere il calciatore “traditore”, ma di non averne avuto il coraggio. Non escludendo, però, che qualcun altro possa averlo fatto. Anzi, dicendosi convinto che molto probabilmente è così che è andata. [2]

Vengono fuori infatti, una volta caduto il muro e per merito del giornalista Heribert Schwan, dei pagamenti effettuati a due agenti infiltrati all’Ovest da parte della STASI: 500 franchi a testa, ecco quanto potrebbe essere costata la vita del “Beckenbauer dell’Est”. Il quale secondo Schwan (autore del documentario “Tod der Verrater”, ovvero “Morte di un traditore”) sarebbe stato prelevato con la forza da un pub e costretto sotto minaccia armata a bere una quantità smodata di birra mista a una qualche sostanza, menzionata come gas venefico che agisce sui centri nervosi in un documento riservato scoperto dallo stesso giornalista. Messo poi alla guida e abbagliato di proposito da un’auto procedente in direzione contraria, Eigendorf avrebbe finito con il perdere il controllo della vettura, arrivando allo schianto fatale. Non sarebbe stata del resto una strategia nuova da parte della STASI per eliminare un dissidente, cosa che del resto avveniva spesso con chi si esponeva apertamente o pubblicamente contro il regime sostenuto da Mielke.

Molti furono i transfughi orientali seguiti, controllati e minacciati. In pochi fecero la fine di Eigendorf, ed è per questo che c’è chi sostiene che in realtà la morte del giovane sia stata, in fin dei conti, casuale. Ipotesi che però si scontra con le testimonianze di chi aveva incontrato Lutz quella sera e lo aveva visto bere a malapena una birra e con tutti i file tenuti su di lui dalla STASI dal momento in cui era fuggito alla notte della sua morte.
Jörg Berger (lo ricordate? L’allenatore fuggito…) scampò per puro caso ad un tentato avvelenamento, mentre destino diverso ebbero i due compagni fuggitivi Nachtweih e Pahl: il primo vinse quattro campionati con il Bayern Monaco, mentre il secondo si disimpegnò nell’Eintracht Francoforte e adesso gestisce un ristorante in Paraguay. Nessuno dei due fu perseguitato, vero. Ma nessuno dei due era un simbolo come Lutz Eigendorf, il “Beckenbauer dell’Est”.

La Dinamo Berlino di Mielke vinse dieci campionati consecutivi, poi il muro cadde e con esso anche l’illusione che fosse una squadra degna di tali trionfi. Coloro che la fischiavano e che protestavano per gli arbitraggi favorevoli di cui godeva, rischiando prigione e persino la vita, ebbero ragione quando nel giro di pochissimi anni la squadra più forte di tutta la Germania Est finì nelle serie minori nazionali, dove vivacchia tuttora senza nemmeno un passato glorioso di cui potersi vantare, visto che tutto ciò che conquistò arrivò grazie a violenza, intimidazione e truffe.

Quando il muro di Berlino finalmente cadde, Lutz Eigendorf avrebbe avuto ancora 33 anni, e una vita davanti. La voglia di vivere e di giocare a calcio da uomo libero gli furono invece fatali, in una società che non poteva permettersi che i suoi cittadini pensassero che un altro mondo fosse possibile.

 
Fonti:
[1]“La valigia dello sport”, A. Mastroluca, pag. 128
[2] “Mordauftrag von der StasiDer Fall Lutz Eigendorf” (in tedesco). bild.de. Pubblicato il 7 Febbraio 2011

Immagine: Atti effimeri di comunicazione 

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