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Calcio

“Mágico” González, il mago che fece sparire Maradona – 08 mar

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Nella foto qui sopra potete vedere il più grande giocatore di sempre. Gli anni sono passati, il fisico si è ovviamente appesantito ma i piedi – si dice – sono quelli di sempre, capaci di accarezzare il pallone come nessuno al mondo né prima né dopo ha saputo fare. L’altro nella foto, che gli contende la sfera, è Diego Armando Maradona. 

Nessuna confusione, è proprio così. Lo ha detto, del resto, lo stesso Diego. Il più grande giocatore di sempre, da un punto di vista squisitamente tecnico, era salvadoregno. Il suo nome? Jorge Alberto González Barillas, ma per tutti è stato – e sempre sarà – semplicemente “Mágico” González.

A questo punto è necessario fermarsi un attimo. Fermarsi per spiegare perché il più grande calciatore di sempre non solo non abbia mai vinto niente di significativo ma abbia militato solo in squadre dimenticate dal calcio che conta. Al tifoso moderno, infatti, imbastardito dalla società avida e competitiva nella quale viviamo, poco tornerà questa definizione: per questo tipo di persona, infatti, le vittorie e i trofei legittimano quello che altrimenti non è definibile secondo un parametro certo. Chi vince, in fondo, ha sempre ragione? Un modo senz’altro riduttivo di vedere non solo il calcio, ma forse anche la vita nelle sue sfumature, un modo che comunque i grandi poeti, i grandi artisti, hanno sempre rifiutato. Perché un talento può essere enorme anche se sprecato, o per meglio dire limitato a pochi eletti. Chi è stato più campione tra Guivarc’h e Gascoigne? E tra Karembeu e Riquelme? Naturale che in Sud America, dove per fortuna alcune cose vanno ancora ad una velocità del tutto diversa dall’Europa, “Mágico” González sia un istituzione.

Jorge Alberto González Barillas nasce a San Salvador il 13 Marzo del 1958, ultimo di otto fratelli di una delle tante famiglie povere di quella parte del mondo. Nel 1968 Jorge ha dieci anni, già una grande passione per il fútbol e segue le Olimpiadi di Città del Messico, dove si svolge il torneo di calcio più sorprendente che l’uomo ricordi. Lo vince l’Ungheria, che crede di poter tornare grande e la cui vittoria sarà invece solo un fuoco di paglia. Seconda la Bulgaria, mai sentita prima. Terzo addirittura il Giappone, nel cui campionato giocano gli impiegati delle aziende locali, e già chiamarlo campionato è un bell’esercizio di fantasia. Il Brasile va fuori subito. È il torneo delle sorprese, ma El Salvador – che ha una tradizione calcistica misera – è coerente: un punto appena e fuori subito. In casa Barillas però sono un po’ orgogliosi lo stesso, visto che nella squadra olimpica gioca Mauricio Ernesto González Barillas, detto “Pachín”, centrocampista proprio da quando il piccolo Jorge è nato. Nessuno pensa che “Pachín” abbia un fratello che anni dopo diventerà tecnicamente il più forte giocatore di sempre.

Facciamo un salto in avanti di 14 anni. Siamo in Spagna, i Mondiali di calcio del 1982, quelli dell’Italia di Bearzot e Paolo Rossi. El Salvador si è qualificato a sorpresa stendendo il Messico del giovane fenomeno Hugo Sanchez. Il gol lo ha segnato Ever Hernández, ma in pratica lo ha fatto proprio Jorge Alberto González Barillas, scartando l’intera difesa messicana e mettendo il compagno in condizione di doverla appena spingere dentro. Ai Mondiali va come deve andare, i salvadoregni mettono in mostra tanta buona volontà e poco altro, buscano tre sconfitte tra cui un umiliante 10 a 1 dall’Ungheria e tornano a casa. Spazzati via,dimenticati forse. Tutti tranne uno, “Mágico” González, che nel disastro ha giocato comunque talmente bene da aver colpito tutti gli esperti d’Europa. Dove gioca questa punta rapida e dall’enorme tecnica a cui è praticamente impossibile togliere il pallone? Gioca nel FAS (Club Deportivo Fútbolistas Asociados Santanecos), il più importante club di El Salvador. Possibile? A 24 anni e con due piedi così? Possibile, e presto gli uomini-mercato delle più grandi squadre europee capiranno anche perché. 

Già, perché ai dirigenti di Paris Saint-Germain e Fiorentina capita di fissare un appuntamento con il ragazzo e di finire per attenderlo ore invano. La stessa cosa capita anche a quelli dell’Atlético Madrid e della Sampdoria. “Mágico” González infatti non vuole saperne del calcio europeo, se ne frega dei soldi. Un vero artista, che fa quel che ama e che meglio gli riesce solo alle sue condizioni, quando gli va e come gli va. Ne approfittano i modestissimi spagnoli del Cádiz, club di una piccola città andalusa che si affaccia sull’Oceano e che mai, invece, si è affacciata al grande calcio. Lo farà potendo contare sul più grande giocatore di sempre, perché “Mágico” González decide che quel piccolo club può meritare la sua arte e a sorpresa ne accetta la corte, scatenando l’ovvio delirio tra i pochi tifosi. Si parla della seconda serie spagnola, ma è subito una favola: “Mágico” si presenta a modo suo, gol all’esordio e 15 in 33 gare totali, quanto serve per portare il modesto paesino tra le grandi potenze calcistiche del Paese.

Scordatevi il classico campione dai piedi fatati ma indolente e svogliato. “Mágico” González in campo è una furia: corre su ogni pallone, lotta, pressa, chiama il pallone in continuazione. Freme per ricongiungersi con la sfera, e quando ne entra in possesso sembra non volersene staccare più. Quello tra lui e il pallone è un amore ricambiato, reciproco. Il suo è un gioco fatto di continue finte e controfinte, di “rabone”, veroniche, colpi di tacco e doppi passi. Non esiste che non tenti il numero ogni volta che può, e non esiste che lo sbagli: segna e fa segnare, perché quando alla fine ti passa la palla puoi stare certo che te la metterà in un modo tale che tu non possa fare danni. Fenomenale. I tifosi del Cádiz si stropicciano gli occhi, ma sanno bene perché un campione del genere gioca da loro: González infatti ama bere, ballare e fare tardi la sera, e ha il sonno così pesante che agli allenamenti è praticamente impossibile vederlo. In città si dice che un incaricato del club abbia lo specifico compito di tirarlo giù dal letto ogni mattina e che il poveretto, disperato, una volta addirittura fermi la banda del paese che sta suonando per le strade e la porti in camera del “Mágico”, che a quel punto finalmente decide di destarsi. Ma solo perché è bella musica, puntualizza. In estate si gioca un trofeo estivo contro il fortissimo Barcelona, allo stadio non lo vedono e allora cominciano senza di lui. Arriva alla fine del primo tempo che ancora sbadiglia, i suoi senza di lui sono ben poca cosa e stanno perdendo 3 a 0. L’allenatore non gli dice niente, sa che tanto sarebbe inutile. Lui si cambia, entra e in 45 minuti serve 2 assist e segna 2 reti. 4 a 3 per il Cádiz, ovvio delirio.

“La sensibilità che Dio ha dato all’uomo nelle mani, a Jorge l’ha data nei piedi. Era un genio del calcio.” (David Vidal, uno dei suoi allenatori)  

In massima serie il Cádiz, pur con il “Mágico”, è davvero troppo debole per salvarsi e retrocede. Eppure González riesce a segnare un gol straordinario: ricevuta palla poco fuori area, si guarda un attimo dietro e vede che i blaugrana sono sbilanciati. Tra lui e la porta una novantina di metri, appena cinque avversari: roba da ragazzi. Li mette a sedere tutti, uno dopo l’altro, e quando il portiere Artola gli si fa incontro lo supera con un tiro secco e preciso. Nel 2011 questa rete sarà votata come la più bella della storia della Liga con il 61% delle preferenze, con buona pace dei vari Raùl, Butragueno, Maradona, Zidane, Ronaldo, Rivaldo, Cristiano Ronaldo e Messi. 

Così, quando arriva l’estate, il Barcelona si ricorda di chi lo ha umiliato due volte e decide di acquistarlo nonostante le riserve sul carattere. Se lo porta in tournée in America, e gli yankee finiscono per ignorare persino Maradona, rapiti dalla classe, la genialità e la fantasia di quell’assoluto fenomeno. Gioca talmente bene che…no, il trasferimento salta. Un giorno suona l’allarme anti-incendio dell’hotel dove alloggiano i giocatori, che escono tutti dall’edificio tranne che uno. Proprio lui, il “Mágico”, che viene beccato in camera con una bella bionda. Pensare che lo abbia fatto apposta per non lasciare l’Andalusia sarebbe assurdo, ma conoscendo il tipo non si può che giungere alla conclusione che è proprio così che è andata. González non vuol fare la vita del professionista, e sa che a Barcelona sarebbe costretto. Dunque ancora Cádiz, anzi no: il nuovo allenatore pretende che si alleni come tutti, così saluta e va al Valladolid, ma anche lì hanno questa assurda pretesa. Tornerà al Cádiz, ma solo dopo aver firmato un contratto a gettone: 700 dollari se giochi, niente in caso contrario. Dopo un anno a girovagare per il Sudamerica, si ricorda dell’accordo e si presenta al club, che non fa storie: come fai con un giocatore così? “Mágico” González trova finalmente un allenatore che lo capisce – cioè gli fa fare quel che vuole – nell’uruguaiano Víctor Espárrago, vive a modo suo ancora quattro stagioni. Sovrano di una città che lo ama, che si reca allo stadio “Ramón de Carranza” solo per vedere i suoi numeri, il più famoso dei quali rimane quello della culebra macheteada, in cui invita l’avversario a farsi sotto per poi schivarlo come un torero fa con il toro tra gli applausi di approvazione del pubblico. Lascia l’Andalusia nel 1991, a 33 anni. Quando se ne va il Cádiz retrocede e non tornerà mai più così in alto. Non è certo un caso.

Mentre sta per tornare in patria viene fermato da un dirigente dell’Atalanta che gli chiede se sia interessato a venire in Italia. “Ma ci si deve allenare?” “Si.” E allora che lo chiedete a fare? “Mágico” torna in El Salvador, riprende la maglia del FAS e gioca ancora per nove stagioni, dettando legge in uno dei campionati più poveri e dimenticati del mondo. Si ritira ultra-quarantenne, si mette a fare il tassista, ché i soldi fanno comodo a chi non ha mai sfruttato il suo talento in quel senso. Se ne sta ancora lì, a San Salvador, lasciando la sua modesta casa solo quando c’è qualche celebrazione in suo onore. Il calciatore più forte del mondo, l’elogio all’indolenza, al non desiderare altro che divertimento per se e per gli altri: compagni, avversari, amici, tifosi. Il mago che a suon di finte fece sparire anche Maradona. Gli hanno dedicato lo stadio nazionale: ci mancherebbe altro.

“Riconosco che non sono un santo, che mi piace la notte e che la voglia di far baldoria non me la toglie neanche mia madre. So che sono un irresponsabile e un cattivo professionista, e può essere che stia sprecando l’opportunità più grande della mia vita. Lo so, ma ho una pazzia in testa: non mi piace approcciarmi al calcio come ad un lavoro. Se lo facessi non sarei me stesso. Gioco solamente per divertirmi.”

Questo è stato Jorge Alberto González Barillas, per la storia del calcio e per la sua leggenda, semplicemente, “Mágico” González.

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