Calcio
MITI: #01 – Matthew Le Tissier, dio di provincia
Si può essere, tecnicamente, tra i primi dieci calciatori nella storia eppure non aver mai sfondato in Nazionale né giocato ad alto livello? Si può, è esistito un calciatore che pur essendo stato dotato dalla natura di una classe infinita non ha saputo – o forse non ha voluto – farla fruttare al massimo. Di lui rimangono i numerosi gol, tutti bellissimi, e giocate che così non se ne sono viste più. Una città intera sarà sempre ai suoi piedi, ricordando le magie di quello che tutti i tifosi locali consideravano un Dio.
Anzi, Le God.
Lui è forse il mio calciatore preferito di sempre, sicuramente un motivo validissimo per giustificare un amore per il calcio nato intravedendo le sue movenze e mai tramontato. Perché il football troverà sempre nuovi eroi, e di conseguenza nuovi anti-eroi, come fu questo calciatore tozzo e sgraziato ma con due piedi magici.
Come in tutte le belle storie si può partire anche dalla fine, o quasi.
19 Maggio del 2001, il Southampton ospita in casa l’Arsenal in uno degli ultimi turni di una Premier League che ormai ha poco da dire a entrambe le squadre. È però una partita importante, l’ultima che i “Saints” giocheranno nel mitico stadio “The Dell”: una storia, quella tra la squadra e lo stadio, durata ben 103 anni, e cioè dal 1898, anno in cui i bianco-rossi, noti come St.Mary’s, diventarono il Southampton.
“The Dell” è uno stadio vecchio e dal classico stile inglese, e si vede. Al suo interno i circa 16.000 spettatori che può contenere sembrano molti di più, stretti tra loro e vicini al campo come vuole la tradizione albionica. Il Southampton è una piccola squadra, lo è sempre stata, nella sua storia ultrasecolare ha vinto infatti appena una FA Cup, la coppa nazionale inglese, nel 1976: ha vissuto gran parte della sua storia facendo avanti e indietro tra massima serie e divisioni inferiori, e solo da quando è arrivato LUI è arrivata la stabilità. Il club è stato presente nella prima edizione della Premier Division (ex-First Division) e non l’ha più mollata, pur se negli ultimi 15 anni appunto c’è andato vicino diverse volte salvandosi all’ultima giornata in modo più o meno rocambolesco.
Sono una piccola squadra, i Saints, ma a Southampton ne sono orgogliosi. Curano il vivaio, non compiono acquisti milionari, ogni tanto prendono qualche cantonata come nel “caso Ali Dia” ma insomma…
19 Maggio 2001 dicevamo. Ospite l’Arsenal. Che è sempre stata una big del calcio inglese ma che da qualche stagione è diventata addirittura un modello di bel calcio, guidata in panchina da Arsene Wenger e in campo da quel Dennis Bergkamp campione vero all’Ajax, ribattezzato bidone in Italia e infine risorto con la maglia dei “Gunners”. Delizia le platee, Bergkamp, e non è l’unico campione di cui la squadra dispone: al suo fianco in attacco un giovane ma già fortissimo Thierry Henry, sulle ali due fenomeni del ruolo come il francese Robert Pires, elegantissimo, e lo svedese Freddy Ljungberg, spentosi rapidamente ma autentico fuoriclasse in quel periodo. In mezzo al campo un altro francese, Patrick Vieira, che poi verrà a dettare la propria legge anche in Italia vincendo con Juventus e Inter: bene, se vi ricordate Vieira in Italia, sappiate che combinava la metà di quel che faceva in Inghilterra, dove era capace nelle giornate di grazia di puntare frontalmente la difesa avversaria e farla letteralmente a fette. In difesa, infine, la coppia di centrali Adams e Keown, due icone del calcio inglese a lungo insieme anche in Nazionale.
Il Southampton è invece squadra piccola e rognosa: l’unico giocatore degno di nota non è in campo, per giunta, visto che ha una certa età ormai ed è reduce da un infortunio. In panchina non c’è nemmeno un allenatore a tutti gli effetti: Glenn Hoddle se ne è andato al Tottenham, ed il suo posto è stato affidato al vice, il “traghettatore” Stuart Gray.
Come detto la partita conta niente, ma sarebbe indubbiamente bello salutare il teatro di oltre cento anni di gare dei Saints con una vittoria: e invece pronti via e il Southampton, che generosamente si spinge in avanti nei primi minuti, viene infilato in contropiede da Ashley Cole, per anni il miglior terzino sinistro inglese in circolazione. Nel secondo tempo Grimandi, altro francese in campo per l’Arsenal, insiste nel voler giocare il pallone in difesa invece di spazzarlo via: lo vuole l’allenatore Wenger, che ha trasformato l’Arsenal e in parte il calcio inglese rinnegando il vecchio ‘palla lunga e pedalare’ in nome di una maggior circolazione di palla, che in Inghilterra chiamano “stile Continentale”. Stavolta però dice male, il terzino perde palla e Hassan Kachloul, autentica meteora marocchina, non ci pensa due volte a sbatterla dentro. 1 a 1.
I Saints sono gasati dal gol, spingono sull’acceleratore. Si scoprono. Henry vola in contropiede bevendosi tutta la difesa e poi serve una palla a centro area. È un ‘rigore in movimento’, e l’accorrente Ljungberg è troppo bravo per sbagliare. Gol dell’Arsenal, 2 a 1. Finita? No, con l’Arsenal, da allora “splendida incompiuta”, non è mai finita: quando sono in giornata di grazia, i suoi giocatori possono metterti in croce. Ma quando beccano la giornata-no, allora chiunque può batterli.
E oggi è proprio una di quelle giornate-no, altrimenti che storia sarebbe?
Il Southampton non si arrende, un pallone viene scodellato in area, vi si avventa “la volpe dell’area” James Beattie (“Fox in the box” il suo soprannome, talento mai realizzato al punto che il soprannome è stato affibbiato recentemente ad un altro attaccante bianco-rosso, Billy Sharp) e Manninger, portiere dei Gunners, deve uscire precipitosamente. La palla carambola nell’area piccola, e indovinate chi c’è? Ancora Kachloul, in una di quelle giornate in cui il destino è benevolo e tutto ti dice bene.
Porta vuota, un gioco da ragazzi. Pareggio.
Nel finale cominciano le sostituzioni: per l’Arsenal entra Kanu, che crea un’occasione per i suoi a cui solo la sfortuna ed il portiere di casa Jones, in giornata di grazia, impediscono di trasformarsi in rete. Per il Southampton, a poco più di un quarto d’ora dalla fine (esattamente al 73° minuto) esce invece Davies, che lascia il posto al protagonista della nostra storia.
Matthew Le Tissier.
Ecco, se potessi rinascere calciatore vorrei rinascere Matthew Le Tissier. Che ha speso il suo enorme talento per una platea ristretta e selezionatissima, che mai aveva visto prima un giocatore del genere né avrebbe certamente potuto immaginare che giocasse nella propria squadra per ben sedici stagioni.
Lento, sgraziato, grasso, bruttino a vedersi. Alto, almeno, ma senza né elevazione né apparentemente voglia di colpire di testa. E allora?
E allora un talento infinito, un tiro che era una cannonata e che lo rendeva pericoloso per ogni portiere non appena superava il centrocampo. Un dribbling portentoso, una visione di gioco e una genialità propria solo dei grandi campioni: Robin Friday, George Best.
Solo che Le Tissier non era interessato a donne, alcol e auto veloci: cresciuto nella minuscola isola di Guernesey, che si trova nel Canale della Manica e che spiega il cognome così “francese”, era una persona semplice, di quelle che si accontentano di poco.
Che poi a Guernesey, tra pecore e campionato locale di livello parrocchiale, o hai il grande spirito dell’avventuriero o ci rimani intrappolato. Non è un caso che qui sia stato mandato in esilio Victor Hugo, come non è un caso che qui sia nato John Quertier Le Pelley, pioniere del football che venne in Italia a vincere il primo Scudetto della storia del belpaese, ovviamente con la maglia del Genoa. Un paio di gare, un titolo in bacheca ed il ritiro. Poco, ma abbastanza per dare il là, insieme al mitico James Spensley, al football in Italia. Ci vuole lo spirito dell’avventuriero, dunque. Dell’avventuriero romantico, quello che per forza si dovrà distinguere. Scudetti per Le Tissier? Mai vinto uno, e del resto con i compagni che si ritrovava…
Già, perché ai dirigenti del Southampton, sapendo che c’era Le Tissier in squadra, poco importava di affiancargli altri fenomeni. Sarebbero costati troppo, del resto, e poi siamo sicuri che Matt li avrebbe voluti? Chi lo sa.
A Le Tissier è sempre sembrato andasse bene così. Gol bellissimi in quantità industriali, molti simili, gran tiri da fuori a castigare l’avventato portiere avversario di turno. Molte botte al volo, di destro e di sinistro.
Una macchina su calcio di rigore: 47 realizzati su 48 tirati, tanto che il portiere che parò quel singolo tiro, Mark Crossley del Nottingham Forest, lo ha descritto come uno dei momenti più esaltanti della sua carriera.
Altro che Balotelli.
E Friday, e Best appunto: nessun ritiro prematuro, pochi infortuni, carisma e devozione alla causa.
Personaggio mediatico? No, leggenda vivente, profeta in una piccola realtà: i tifosi lo volevano in Nazionale, i media spingevano. “Uno così, con la sua classe e inventiva, sai che assist, sai che gol?” e invece niente, ostinatamente niente. Perché se vai in Nazionale devi adeguarti e Le Tissier, forse per lo stesso motivo per cui non è mai voluto andare in un grande club nonostante questi lo cercassero ogni estate, non voleva adeguarsi. A che servirebbe poi l’allenamento ad uno così? Forse poteva migliorare in qualcosa?
Certo.
Nel gioco aereo ad esempio: 185 centimetri abbondanti buttati nel cesso, visto che su quasi 200 gol in carriera quelli in elevazione saranno stati una decina ad essere generosi.
Nella forma fisica, nella corsa: vero anche questo, trotterellava quando proprio era nelle giornate di massima voglia, spesso camminava.
Ma con quei due piedi lì sono davvero importanti queste cose? No, perché magari senza quei difetti Matt non sarebbe stato “Le God”, perché magari il modo scanzonato di allenarsi e di vivere si rifletteva genialmente sul suo modo di giocare. Uno degli ultimi visionari. Di quelli che provano il tiro impossibile come quando si gioca ai giardini, il dribbling o la soluzione estemporanea. E che ci riescono, e anche se non era quello che chiedeva il Mister questi non può fare altro che prenderne atto e capire che le istruzioni puoi darle agli altri dieci, ma Le Tissier deve fare un po quel diavolo che gli pare che è meglio così.
E insomma, niente Nazionale. Niente Europei, soprattutto niente Mondiali. Nell’epoca dove Internet poi non è ancora così mainstream poteva essere una tomba calcistica, uno dei tanti fenomeni locali di cui si sente parlare ma che finiscono per essere sottovalutati, sminuiti.
“Quei gol lì a che servono?”
A far sognare. Ad entrare nel mito. E se non ci credete cercateli, i suoi gol, su YouTube. Oppure andate a Southampton e chiedete nei pub dove ora seguono le partite quelli che un tempo le seguivano dalle tribune.
Chiedete chi era Matthew Le Tissier.
Vi diranno che era “Le God”, il Dio. Il Dio del pallone di Southampton.
Non vi ho detto il finale di quella gara con l’Arsenal. Poco più di un quarto d’ora al termine, dunque. Le Tissier fa il suo ingresso in campo ed è ovazione. Ha 33 anni, dopo pochi mesi si ritirerà, il fiato è quel che è ma i piedi sono ancora fenomenali.
Ve l’ho detto, no? È l’ultima partita nella storia che si gioca al “The Dell”, inaugurato nel 1898 e che presto lascerà il posto ad un nuovo stadio per il Southampton: uno stadio più bello, più pratico e senz’anima.
Siamo all’89° minuto. Le Tissier ha vagheggiato un po’ per il campo senza dannarsi troppo l’anima, osservando da lontano i compagni in difesa respingere gli assalti di un Arsenal determinato a vincere e sbilanciato in avanti.
Troppo determinato e sbilanciato, anche perché Le Tissier mica dorme.
Aspetta.
Ed ecco un rilancio lungo del portiere Jones, la palla prolungata di testa da un compagno e respinta così così dalla difesa. Le Tissier controlla di destro, se la porta sul sinistro e al volo spara una cannonata di controbalzo. Imparabile, come molti dei suoi tiri: del resto se ti chiamano “Il miglior tiratore al mondo” un motivo ci dovrà pur essere, no?
Gol. 3 a 2.
Il piccolo Southampton sconfigge il grande e ambizioso Arsenal. Serve a niente quella vittoria, la salvezza già era raggiunta. Eppure, nell’ultima gara al “The Dell”, era importante salutare oltre un secolo di storia con una gara vittoriosa.
Con un gol, manco a dirlo, del miglior giocatore che ne abbia calcato il prato. L’ultimo gol al “The Dell” lo segna lui, il principe-ranocchio venuto da un’isola di pastori e contadini per diventare il Dio di Southampton: Matthew Paul Le Tissier, fuoriclasse atipico, ultimo vero genio del football inglese.
Editing: Atti Effimeri di Comunicazione
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