Calcio
Moduli del calcio: dalla Piramide alla Clessidra
Moduli del calcio; in principio furono Piramide e poi Clessidra…
Come detto nell’articolo che presentava questa serie di uscite sui moduli del calcio, iniziamo dal passato remoto. In questo articolo parleremo quasi esclusivamente di moduli ormai in disuso, che appartengono alla storia del calcio, ma che hanno gettato le basi per quello moderno.
Anno dopo anno, i moduli del calcio sono stati modificati fino ad arrivare quelli più consueti, quelli delle partite che vediamo solitamente oggi, o del recente passato.
In questi moduli “iniziali”, molto rigidi, il ruolo ben definito e le marcature erano a uomo in tutta la grandezza del campo. Una grande importanza avevano anche i numeri di maglia, dato oggi ormai anacronistico, che individuavano in modo inequivocabile il ruolo e la propensione di ogni singolo giocatore. Nella nostra storia, lunga sette episodi, abbiamo volutamente tralasciato questa parte, forse interessante, che però non aggiungeva né toglieva alla storia dei moduli del calcio.
Moduli del calcio: il 2-3-5 o Piramide, l’inizio della schematizzazione
Quando il calcio iniziò a muovere i suoi primi passi, tattiche e strategie non esistevano ancora. I pochi giocatori difensivi, si limitavano a contrastare l’avversario e lanciare in avanti il pallone, senza troppi complimenti.
In attacco, un numero elevato di giocatori cercava di segnare, quasi sempre in modo solitario visto che non esisteva neppure un concetto di gioco corale.
Non a caso, in Inghilterra, il metodo più in voga utilizzato nel calcio era definito “kick and run”: calcia e corri. Un nome che ricorda che il calcio deriva dal rugby. E bisogna anche ricordarsi che, nei primi anni, anche nel calcio non era permesso passare il pallone in avanti, proprio come nel rugby.
E questa non era l’unica stranezza nel calcio dei pionieri, come ci ricorda Wilson nel suo libro “La Piramide Rovesciata”:
“Le squadre generalmente si limitavano a rincorrere il pallone. Si dovette aspettare fino agli anni Settanta del diciannovesimo secolo perché il portiere venisse riconosciuto ed accettato universalmente come un ruolo vero e proprio.
E fu solo nel 1909 che il portiere stesso iniziò ad indossare una maglietta di colore diverso rispetto ai suoi compagni di squadra. E solamente dal 1912 venne ristretta alla propria area la zona del campo dove poter toccare la palla con le mani, un cambiamento di regola che venne messo in atto per contrastare l’abitudine del portiere del Sunderland, Leigh Richmond Roose, di portarsi la palla fino alla linea di metà campo“.
Cambia la regola, ma i conservatori storgono il naso
Quando diventò regolare passare il pallone in avanti, in Inghilterra le cose cambiarono di poco: passare il pallone era infatti visto come atto di debolezza, una scelta da codardi.
Il vero calciatore, infatti, o caricava a testa bassa la difesa avversaria tentando di penetrare fino a segnare, oppure supportava il compagno che tentava questa azione ma solo per raccogliere eventuali rimpalli, o recuperare la sfera dopo un contrasto. Questo tipo di attacco, rendeva ovviamente inutile avere troppi difensori.
Curiosa è la definizione del numero di giocatori in campo per squadra, che leggenda vuole derivi dal fatto che le primissime sfide di “football” si svolgevano tra le diverse camere dei dormitori scolastici inglesi. Ogni camera conteneva 10 studenti, ai quali si aggiungeva un “maestro”, l’antesignano di quello che sarebbe poi stato il “capitano”.
La prima partita internazionale di calcio
La prima gara internazionale fu Inghilterra-Scozia, e si disputò con due moduli che oggi sembrano assurdi: 1-1-8 e 2-2-6. E ancora più assurdo per noi è che con quei moduli, la gara sia finita 0-0.
Va notato che la differenza tattica tra le due squadre non fu casuale. Mentre gli inglesi si affidarono al loro tradizionale modulo con un difensore, un mediano e otto attaccanti, gli scozzesi infatti furono gli autori del primo cambiamento tattico della storia.
La loro squadra era infatti composta interamente dai giocatori del Queen’s Park, che ai tempi dominava in Scozia, ed aveva iniziato a giocare con una fitta serie di passaggi corti mentre si avvicinava alla porta avversaria. Il tutto era nato per ovviare all’evidente differenza fisica che correva tra loro e i vicini inglesi, che di media pesavano 7 chili di più – anche se ai tempi la cosa fu ingigantita fino ad una media di 13-15 chili.
Per ovviare alla maggior potenza atletica degli inglesi, dunque, gli scozzesi scelsero di rinunciare a due uomini della linea offensiva per rinforzare il reparto arretrato ed avere anche più possibilità di passaggio. Così facendo si passò, in fase di attacco, dal “dribbling game” tradizionale al “passing game” di matrice scozzese.
Questa modifica prese poi piede anche in Inghilterra in quanto senz’altro più logico e redditizio. Si può quindi dire senza timore di essere presi per “eretici” che se è vero che il calcio lo hanno inventato gli inglesi, sono gli scozzesi ad averlo affinato, dandogli la prima forma dello sport che oggi conosciamo.
Il “passing game”, rese necessaria una disposizione più logica lungo il campo. Questa schematicità fece di conseguenza nascere anche i ruoli e i moduli.
La nascita dei ruoli e la disposizione in campo
I primi ruoli avevano nomi abbastanza chiari e parlanti. Ai forwards (avanti) facevano da controaltarei backs (indietro), che si dividevano in half-backs e full-baks (mezzo-indietro e tutto-indietro).
Come dice il nome in inglese, gli half-backs, i centrocampisti, avevano soprattutto ruolo di rottura, riequilibrando un po’ lo schema.
La disposizione in orizzontale poi creò il centre-foward (centrattacco o centravanti) le wings (ali) e gli inside-forward (interno-attacco), che in Italia chiamammo mezzala oppure mezzapunta).
Quando questi ruoli finirono su carta, si vide che la squadra era divisa in tre parti. Da questa divisione, i difensori in Italia vennero chiamati anche “terzini”, in quanto si dava per scontato che la prima linea fosse quella offensiva.
La prima squadra ad alto livello ad usare la “Piramide” furono i Blackburn Rovers, e grazie ai loro successi la tattica prese piede e durò incontrastata (o quasi) per oltre 30 anni, fino all’avvento del “Metodo”.
Ma il nuovo modulo non soppianto subito la “Piramide”, che venne usata fino agli anni 30 del 900, soprattutto dall’Uruguay e dell’Argentina.
A onor del vero, il cambiamento fu dettato anche dal cambio di regola del fuorigioco (1925) per il quale ora bastavano 2 giocatori per tenere in gioco l’avversario e non più 3. In questo modo i due terzini della “Piramide”, si trovarono in difficoltà nel caso che i centrocampisti non fossero rientrati repentinamente ad aiutarli. Con il “Metodo”, la squadra riusciva a stare più corta e a coprirsi in maniera più efficace.
Il primo modulo di calcio catalogato: il 2-3-5
Il primo vero schema catalogato nella storia del calcio, e quindi primo tra i moduli della storia del calcio, è comunque un più “difensivista” 2-3-5. Un modulo ormai pensionato da oltre un secolo. Detto anche “Piramide”, per la forma che vanno a disegnare i giocatori schierati, vede la propria base negli attaccanti e il vertice nella difesa. Una piramide rovesciata insomma, ed è proprio da qui che prende il nome al titolo del libro già citato e nostra fonte principale per questi approfondimenti.
Questo schema venne inventato e utilizzato dall’Università di Cambridge (ed è infatti anche noto anche come “Piramide di Cambridge”) e poi diffuso in Inghilterra soprattutto dal Nottingham Forest sin dai primi anni ottanta del diciannovesimo secolo.
Il modulo 2-3-2-3 o Metodo o WW
Il “Metodo”, detto anche “WW” per la sistemazione tattica dei giocatori, è un modulo inventato da Vittorio Pozzo, nei secondi anni 20 del 900, a seguito del cambio sul regolamento del fuorigioco.
Anche l’Austria diede un enorme contributo al “Metodo”, con le idee di Hugo Meisl, grande amico e rivale di Pozzo e creatore del “Wunderteam”. Un’Austria così forte che solo il fascismo prima (ai Mondiali del ’34 in Italia) ed il nazismo poi (con l’invasione del paese da parte della Germania di Hitler) poterono sconfiggere.
Pozzo e Meisl strinsero molto i due terzini, fecendoli anche avanzare leggermente e portandoli quasi a ridosso dei 3 di centrocampo. A questo punto un difensore (terzino di posizione) presidiava l’area ed il centravanti, mentre l’altro terzino (di volata) aiutava il primo e marcava il portatore di palla.
Le ali erano poi seguite dai due centrocampisti laterali, che vennero leggermente allargati proprio per questo compito, e che comunque potevano a volte sostenere anche i compagni in fase di attacco.
Vennero poi leggermente arretrate le due mezzali, facendole diventare un raccordo tra i tre centrocampisti “arretrati” (che potremmo definire “mediani”) ed i tre attaccanti (due ali ed un centroavanti). Disegnando sul campo il classico schema “WW” il centrocampo era spesso in superiorità numerica, la difesa era più compatta e difficile da penetrare.
I punti chiave del Metodo
Il perno del “Metodo” era poi il “centromediano metodista”, il centrocampista centrale che stava davanti ai terzini. Il ruolo richiedeva eccellenti doti fisiche e tecniche. Doveva difendere, diventando una sorta di centrale arretrando, ma poi era da lui che doveva nascere il gioco offensivo. Non solo faceva regia, a volte si spingeva anche in avanti. Il centromediano, insomma, era il vero “uomo-squadra”.
Gli attacchi erano comunque sostenuti bene dai tre attaccanti e dalle due mezzali e quindi efficaci. A quel punto l’interpretazione offensiva di ogni squadra cambiava in base agli interpreti dei due ruoli cardine, ossia il centromediano ed il centravanti. L’Italia di Pozzo, ad esempio, aveva un centromediano con ottimi piedi ma dalla spiccata aggressività come l’oriundo Luis Monti ed un centravanti “finalizzatore”, potente e coraggioso, come il bolognese Angelo Schiavio.
La scuola Danubiana, grande interprete dei primi moduli del calcio
L’Austria di Meisl, che prediligeva un gioco più raffinato tecnicamente proprio della “scuola danubiana”, aveva nel centromediano Joszef Smistik l’esatto contraltare di Monti. Differiva però dall’Italia nel ruolo del centravanti: alla potenza e atleticità di Schiavio, infatti, veniva preferita la classe e la capacità tecnica di Matthias Sindelar.
Si può quindi senz’altro dire che se il “Metodo” era sempre lo stesso, questo poteva benissimo essere interpretato in modi diversi a seconda di chi poi effettivamente scendeva in campo nelle posizioni stabilite. Come anche oggi avviene in tutti i moduli del calcio.
Nello stesso periodo in Inghilterra nacque il “Sistema” (o “WM“), “figlio” del grande allenatore dell’Arsenal Herbert Chapman e questo fu il primo grande dibattito tattico della storia del calcio.
Il “Metodo” era meno spettacolare del “Sistema”, perché era fatto soprattutto di lanci lunghi del “centro-mediano” e di passaggi rapidi delle ali e delle mezzali che servivano il centravanti che doveva solo fare gol. In pratica il gioco che Pozzo richiedeva, era disegnato sulle caratteristiche degli italiani: difesa robusta e rapidi contropiedi.
Ma era un modulo concreto e vincente. E lo provano i due allori mondiali (1934 e 1938), l’oro Olimpico (1936) e due Coppe Internazionali (1930 e 1935), l’equivalente del Campionato Europeo.
Il “Metodo”, come accennato prima, era lo schema del grande Bologna, quello che “tremare il mondo fa”. Difficile pensare a modulo più vincente in quel momento storico, ma la riprova non poteva esserci dato che l’Inghilterra, vera patria del “Sistema”, non partecipò alle Coppe vinte dai “metodisti”.
Il modulo 3-2-2-3 o Sistema o WM
Come già accennato il “Sistema”, detto anche “WM” per la sistemazione tattica dei giocatori, è coevo al “Metodo” e praticamente “figlio” della “Piramide”.
Rispetto a quest’ultima, nel “Sistema” viene arretrato il centrocampista centrale, fino a renderlo un difensore creando così una linea a 3. In avanti succede come nel “Metodo”, ovvero le due mezze ali sono arretrate per servire da raccordo tra i centrocampisti difensivi e gli attaccanti.
Si veniva quasi a formare un 3-4-3 “moderno”, con unica differenza nella posizione dei centrocampisti. Qui formano una sorta di quadrato invece che essere posizionati in linea. I compiti di uomini di fascia, nel “Sistema“, era lasciato in difesa ai due terzini ed in attacco alle due ali.
Come detto, “Sitema” e “Modulo” sono praticamente coevi e molto simili, ma si basavano su due concezioni di gioco molto differenti. Qualche riga sopra abbiamo spiegato l’idea che stava dietro al “Modulo” e veniamo ora al “Sistema”.
Questo si basava su una fitta rete di passaggi tra i quattro centrocampisti e le due ali, ed un giocatore di grande potenza come attaccante centrale. I due terzini e le due ali, avevano compiti molto dispendiosi a livello di corsa, dato che dovevano presidiare le fasce e contemporaneamente aiutare rispettivamente il difensore e l’attaccante centrale.
L’arrivo in Italia, rallentato da ritrosie conservative
Il “Sistema” rendeva il gioco più arioso e più spettacolare, ma era però estremamente dispendioso in termini fisici. Questo difetto rendeva meno efficace la manovra, soprattutto con il passare dei minuti e l’aumentare della stanchezza. Il “Sistema” era il gioco prediletto in Inghilterra, usato dall’Arsenal come modifica della “Piramide”.
In Italia, vista la grande praticità del “Metodo” e nonostante fosse usato già dagli anni trenta dal Genoa, iniziò a prendere piede solo negli anni ’40 grazie al Grande Torino ed all’uscita di scena di Pozzo.
Sul tecnico pesavano i sia i successi ottenuti in epoca fascista sia la riluttanza ad abbandonare il modulo che lo aveva portato al successo, sebbene questo fosse ormai obsoleto. Non fu forse un caso se nel 1948 il “Sistema” arrivò al suo apice in Italia, proprio mentre Pozzo si dimetteva da C.T. della Nazionale.
Il 3-2-3-2 o MM incrocio di moduli del calcio precedenti
Negli anni 50 il C.T. dell’Ungheria, Gusztav Sebes, modificò il “Sistema” invertendo le posizioni delle mezzali con quelle del centravanti e delle ali. “Graficamente” quindi si passò da un “WM” ad un “MM”.
Era la prima volta che una squadra schierava solamente due attaccanti. Nasceva anche un ruolo nuovo, quello del “Centravanti Arretrato”. Che venne detto inizialmente anche “Centravanti alla Hidegkuti” dal nome del centravanti magiaro che per primo interpretò quel ruolo che oggi potremmo tranquillamente definire di “mezzapunta”.
Questa modifica, che potrebbe sembrare a prima vista una modifica difensivistica, era invece una sagace mossa tattica per avere la meglio sulla difesa del “Sistema” (“WM”).
In un modulo di calcio in cui le marcature sono rigorosamente a uomo, arretrare il centravanti fa risucchiare il centrale difensivo a centrocampo. Questo rendeva critica la marcatura di ali e mezze ali, in quanto o i due centrocampisti arretrati marcavano le due punte, senza però essere difensori, lasciando ai terzini il compito di bloccare i due esterni di centrocampo avversari, oppure i due centrocampisti arretrati dovevano allargarsi in fascia ed i due terzini stringere al centro.
In entrambi i casi, in un calcio molto più “rigido” di quello attuale, la squadra schierata a “Sistema” contro una schierata con un “MM”, poteva essere in difficoltà in fase difensiva.
All’arretramento del centravanti, infatti, corrispondeva anche un avanzamento dei due interni offensivi di centrocampo con le ali arretravano e si accentravano in modo da poter coprire la zona lasciata libera dal loro avanzamento. In questo modo l’attacco del modulo “MM” scardinava la zona centrale della difesa del “WM”.
Il 4-2-4 o “Clessidra”, uno dei moduli del calcio che ha avuto due vite
L’unico modulo di quelli di cui parliamo oggi che ancora viene utilizzato ai giorni nostri, è quello a “Clessidra” ovvero il 4-2-4. Tra gli ultimi utilizzatori in Italia troviamo Giampiero Ventura (sia in club che in Nazionale) e Antonio Conte.
Nato come il modulo “MM” per contrastare il “Sistema” (“WM“), è in fin dei conti un’evoluzione del “Modulo” (“WW“). La contaminazione tra i moduli del calcio primordiale, è ovviamente continua. Quello del modulo “MM” è un modo per arrivare ad avere una forte difesa ed un forte attacco.
Il 4-2-4 è per altro il primo modulo in cui appaiono quattro difensori.
Pare che il 4-2-4 venne schierato per la prima volta da Marton Bukovi, anche se la creazione del modulo è divisa tra Flavio Costa (allenatore del Brasile nei primi anni 50) e l’ungherese Bela Guttman.
Nel libro “La Piramide Rovesciata”, però, Jonathan Wilson spiega che probabilmente l’invenzione del 4-2-4 va ascritta all’ungherese Izidor “Dori” Kürschner, che introdusse questo modulo in forma embrionale quando allenò il Flamengo. Il magiaro aveva sostituito Flavio Costa, che poi lo sostituirà a sua volta e che lavorò sulle idee dell’ungherese.
Il 4-2-4 fu comunque perfezionato in Brasile, nei secondi anni 50, ed il modulo era adatto, infatti, alle caratteristiche tipiche del calcio carioca. E il mondo se ne sarebbe accorto presto.
Le basi del 4-2-4
Il perno del 4-2-4 sono i due terzini che non devono solo difendere, ma anche uscire palla al piede impostando l’azione, sostituendosi di fatto ai centrocampisti esterni.
La difesa era stata rafforzata con l’arretramento praticamente stabile del centromediano, che diventava a tutti gli effetti un difensore abile ad impostare: il primo grande interprete del ruolo fu il brasiliano Volante. Da allora in Sudamerica il ruolo di chi difende e imposta è noto come appunto quello di “volante”.
I due centrocampisti poi dovevano essere in grado di rompere il gioco ma anche di intessere passaggi con i terzini che avanzavano e con le punte. Allo stesso modo, i due attaccanti laterali supportavano le punte centrali.
Il 4-2-2 è un modulo di calcio in cui i giocatori chiave devono avere corsa ma soprattutto grande tecnica e senso dell’inserimento, altrimenti il modulo rischia di far perdere fluidità al gioco della squadra. Può essere devastante, ma se non interpretato al meglio può creare dei grattacapi.
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Fonte: Wikipedia; Jonathan Wilson “La Piramide Rovesciata” (2011)
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