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Monday Night – Bernd Trautmann, dalla Luftwaffe al Manchester City

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I supereroi sono certamente creature da fumetto o buone per un Natale al cinema, o un venerdì sera sul divano dopo una settimana difficile. E’ una veste che però sogniamo tutti: risolvere i problemi con i superpoteri, resistere a qualsiasi intemperia e far trionfare il bene sul male. In un certo senso, Bernhard Carl Trautmann ce l’ha fatta: non aveva paura di nulla, e si può dire che abbia sposato il nemico. Ma andiamo con ordine. Venuto al mondo a Brema nel 1923, il nostro era nato nel momento storico peggiore possibile. La sua balda gioventù sarebbe stata minata dal secondo conflitto Mondiale, a breve distanza da un’altra gioventù falcidiata dal 1914 al 1918, e proprio in questo contesto avrebbe dovuto avere le spalle larghe.

Che successe? Mi rifaccio alle parole di “Salvate il soldato pallone”, libro del giornalista biellese Niccolò Mello: “Da piccolo Trautmann si era cimentato con un certo successo nel nuoto e nella pallamano, ricevendo dal presidente tedesco Von Hindenburg un certificato di eccellenza sportiva. Ma come tanti altri suoi coetanei rimase affascinato anche dai megalomani progetti di Adolf Hitler”. E così, il nostro entrò nell’esercito tedesco. Aveva le spalle larghe, un carattere indomito, e non è che fosse proprio così tedesco: era leggero, ironico, gli piacevano gli scherzi. Un tedesco atipico. Fu impegnato sul fronte orientale, nella Luftwaffe, tra i paracadutisti, e poi imprigionato in Ucraina per 9 mesi perché in Russia aveva infilato della sabbia nel motore di un veicolo “avversario”. In Francia poi, si ritrovò sepolto sotto le macerie di un palazzo, uscendone ovviamente indenne. 

Sì, ma il calcio, dunque? Per parlarne, occorre un’altra domanda: ce lo vedreste un tedesco nel dopoguerra giocare in Inghilterra, che per ovvie ragioni aveva un tantino di avversione per i tedeschi? Ebbene, dopo essere tornato dal rigido inverno russo, uno dei pochi superstiti della sua truppa naturalmente, Trautmann ricevette anche una croce di ferro al merito, ma a parte questo, si accorse che quel bambino che era, aveva sbagliato. Le idee di Hitler erano tutt’altre, e alla fine, di tempo ne era stato perso parecchio. La sua abilità sportiva fiorì proprio Oltremanica. Finì in mano inglese, ma la prigionia fu tutt’altro che turbolenta. L’Inghilterra voleva utilizzare i prigionieri di guerra per far rifiorire il paese, e Trautmann fu tradotto in un campo di lavoro ad Ashton-in-Makerfield, alle porte di Manchester.

E fu lì che, in una pausa di lavoro, provò da centrocampista nella squadra del campo. Ma il suo posto era tra i pali, dove si spostò per l’infortunio del portiere incaricato e sfoderò una classe che si comprendeva non fosse passeggera. Se ne accorge il St Helen’s Town, che lo arruola con un contratto da professionista perché lui di tornare in Germania, come gli inglesi permisero a tutti i prigionieri alla fine delle ostilità, non ci pensava proprio. Il segretario del club, Jack Friar, divenne pure suo suocero: Trautmann iniziò a giocare nel club e sposò sua figlia, Margareth. La campagna inglese, il pallone, una moglie. A Bernd, nonostante il suo recente passato, la vita aveva decisamente sorriso.

In porta, il Manchester City all’epoca schierava un certo Frank Swift che dopo oltre 400 partite con la maglia dei citizens, si ritirò. Altro che Guardiola, Aguero o Gabriel Jesus. Tutt’altro City. Ed è lì che Trautmann va a giocare, voluto fortemente dalla società per prendere il posto dell’idolatrato ex numero uno. E i tifosi accolsero quel tedesco come peggio si potesse, e non certo perché aveva “rubato” la porta al grande Swift. Tanta fu la diffidenza del proprio pubblico al vecchio Maine Road, stadio del Manchester City fino all’avvento dell’odierno Etihad, per via del suo passato. In squadra con lui, un altro reduce di guerra: George Smith, che giocava nel Manchester City già da prima del conflitto. Fu lui a insegnargli cosa significava giocare per quella maglia, e i due divennero molto amici. Naturalmente gli avversari si spendevano in gentilezze quali “mangiacrauti” e “sporco nazista”, ovunque il City giocasse. Soprattutto a Londra, città ferita in modo particolare dalle bombe del conflitto.

Mano a mano, Trautmann conquista la fiducia dei compagni e dei propri tifosi, seppur le sue parate non servano ad evitare al Manchester City la retrocessione: la squadra segna poco, solo 36 gol in 42 partite. Ma nel 1956 il nostro diviene definitivamente l’eroe del club: a Wembley il City vince la sua prima FA Cup battendo 3-1 il Birmingham, e per uno scontro di gioco nel tentativo di salvare la propria porta, Bernd ci lascia tre vertebre. Andrà avanti fino a 41 anni e poi diverrà un allenatore giramondo, allenando anche improbabili nazionali quali Birmania, Pakistan, Tanzania e Liberia. Nel luglio del 2013, Smith e Trautmann, dopo aver consolidato un’amicizia anche più forte della storia stessa, un po’ come Jessie Owens e Lutz Long, muoiono a cinque giorni di distanza. Perché il cerchio si doveva chiudere nel modo più sorprendente possibile. 

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