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Monday Night – il ritorno dei gabbiani – 8 Mag

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Contea dell’East Sussex, circa cento chilometri a sud ovest di Londra. Un lembo magico, che pare uscito dall’ispirato pennello di Rembrandt. Un fazzoletto di terra unico, sovrastato dallo splendido castello di Bodian  e contraddistinto dai rilievi calcarei del South Downs che -spiovendo a picco sulla manica- danno vita agli spettacolari promontori di Seven Sisters. Il capoluogo di questa magica regione è la graziosa ed affascinante Lewis, ma non vi è alcun dubbio che la più influente e conosciuta città della zona sia la movimentata Brighton. Luogo arcinoto per la stravagante vita notturna, la grande tradizione musicale (dai Fat Boy Slim, ai Kooks) e per la sua inedita attrattiva balneare (oh, parliamo sempre della piovosa Inghilterra). La stessa città  – insieme alla vicina Hove – forma il più grande agglomerato urbano della zona, che complessivamente arriva a contare oltre 250 mila abitanti. Da queste parti – come in tutta Albione del resto –   vige il famoso detto “I support my local team” e la fede calcistica è tutta per la squadra  dei gabbiani in maglia bianco blu, nota a tutti come Brighton & Hove Albion.

Adesso però, riavvolgiamo il nastro e ripercorriamo le principali tappe di quella che sarà una “New Entry” nel prossimo campionato di Premier League.

Secondo “The History of English Football clubs” ( una sorta di bibbia di settore scritta dalla coppia  Mitchell & Reeves ), il club vide le prime luci dell’alba nell’Agosto del 1901, dunque in leggero ritardo rispetto agli standard del paese, ma con la possibilità d’iscriversi immediatamente alla Southern League. Nel 1910, a due soli anni di distanza dalla creazione della Community Shield (un trofeo che ad inizio del secolo scorso veniva conteso fra la vincitrice della First Division e quella appunto della Southern League) trionfò nella finalissima contro la già popolare Aston Villa. Il match winner di quel famoso pomeriggio fu tale Charlie Webb, che realizzò il gol vittoria davanti agli occhi di 15mila tifosi accorsi a Stamford Bridge per l’occasione. La conquista di quello che rappresentava il primo prototipo dell’attuale supercoppa d’Inghilterra (oggi denominata “Charity Shield”) scatenò un’improvvisa quanto breve ribalta nazionale. Dopo quel primo ed incredibilmente precoce trionfo infatti, i gabbiani rotolarono piuttosto incredibilmente nell’anonimato più oscuro per decenni, tornando su buoni livelli solo tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ’80. All’epoca non solo raggiunsero la promozione in massima serie, ma volarono addirittura in finale di F.A. Cup,  dove vennero sconfitti da uno degli ultimi Manchester United di epoca pre  “Fergusionana”. Toccata e fuga insomma, prima di tornare ad esser un normale “Team” confinato alla periferia del calcio d’Oltremanica.

Cercasi casa. Quello che tuttavia ha contraddistinto la storia del Brighton in questi 116 anni vita è stato un quanto mai prematuro “nomadismo sportivo”. Nella patria delle tradizioni, dove solo ultimamente  alcuni stadi storici come Highbury, Upton Park o Maine Road hanno abdicato in favore d’impianti innovativi e ripensati per il business, i “seagulls” avevano già sul curriculum ben 4 traslochi. Dal 1901 fino al 1997 giocarono nello mitologico“Goldstone Ground”, prima di trasferirsi un paio d’anni  al “Pristifield Stadium” di Gilligham , per poi passare al “Whitdean Stadium”  e ritrovarsi infine nel modernissimo “Falmer Stadium” inaugurato nel recente 2011. Un gioiello di nuova produzione da 30’000 posti a sedere, utilizzato anche durante la coppa del mondo di rugby 2015 e che per motivi economici l’anno prossimo verrà chiamato AMEX Stadium (dove “Amex” sta per American Express).

Una curiosa rivalità. A discapito delle oltre 80 miglia che separano Brighton da quartieri più meridionali della capitale, l’antagonismo più acceso è quello con i tifosi del Crystal Palace. La scintilla scattò intorno ai primi anni settanta, quando le due squadre militavano nella terza lega ed ovviamente sfoggiavano i maggiori gruppi “hooligans” del campionato.

La promozione in Premier League. Ai nastri di partenza della stagione 2016/17 le candidate per la salire di categoria non mancavano di certo:  c’era il Newcastle di Rafa Benitez, la gettonatissima  Aston Villa ed ovviamente diverse nobili decadute come QPR, Leeds o Nottingham Forest, ma dopo un principio stentato i gabbiani presero il volo. 

La squadra di capitan Bruno inanellò 19 risultati utili consecutivi (dalla 6a alla 25a), prima di prendersi qualche weekend di “pausa” per  poi ripartire in fretta e furia verso la Premier League. Una gestione straordinaria quella dell’irlandese Chris Hughton, che ha consentito a tutto il popolo dell’Essex di festeggiare una promozione aritmetica con ben 3 giornate d’anticipo.

A questo punto, l’auspicio che viene più spontaneo nei confronti di un Brighton dai fondi limitati, è quello che possa  seguire le orme di altre simili realtà come Bournemouth e Burnley. Tanti giovani e tanta passione. In fondo non servirà tanto di più per salvarsi.

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