Calcio
Monday Night – Il Wimbledon e la sua “Crazy Gang” – 30 mag
Kingston Upon Thames, lussureggiante quartiere a sud-est della Capitale. Per l’esattezza ci troviamo nel benestante sobborgo di Wimbledon, dove l’ormai rarissima middle-class londinese ha deciso di proliferare fra lunghe schiere d’identiche villette e rigogliosi parchi pubblici.
Buon vicinato, pace e serenità. Tre cose non proprio scontate per chi vive nel più esteso e trafficato agglomerato urbano d’Europa.
In effetti, se dal 1877 l’All England Lawn non avesse deciso di organizzare proprio qui il più antico ed affascinante torneo tennistico al mondo, questo sarebbe soltanto l’ignoto capolinea della District Line. Una semplice quanto anonima fermata periferica. Come ce ne sono tante. Come Ealing Brodway o Brixton. Lontano dallo sfarzo della City. Dai riflettori di Picadilly Circus, dalle orde di turisti e dalle sfrenate notti di Camden o Brick Lane.
Per due settimane all’anno, questa cittadina si trasforma nell’emblema aulico dello sport più signorile di tutti; un incesto di bianche gonnelline, nobili sguardi sempre più protocollati e fragole ricoperte da montagne di panna. Un monopolio di notorietà che offusca inevitabilmente la sempre più serpeggiante e popolare passione locale per il football.
Tuttavia, se oggi sono qui a raccontarvi questa storia, è perché ci fu una stagione in cui si ribaltarono anche le più consolidate tradizioni. Un anno in cui il centrocampista del Wimbledon aveva la stessa celebrità del rovescio di Agassi. Un anno in cui nel Royal Box che affaccia sul Centre Court, si parlava anche di fuorigioco oltre che di Serve&Volley.
Una favola che s’incastra alla perfezione fra il miracoloso Nottingham di Cluogh e lo straordinario Leicester di Ranieri. Una di quelle storie che ti s’incrostano nel cuore come la puzza di fritto nelle pareti di un vecchio pub di paese.
Andiamo per gradi.
Da queste parti la compagine calcistica germoglia dall’idea di un gruppo studentesco nel lontano 1889, sotto l’iniziale appellativo di Wimbledon Borough. Gioca le sue partite interne nel vicino impianto di Plough Lane (purtroppo trasformato in un condominio circa vent’anni fa) trovando la giusta dimensione nelle serie dilettantistiche. Niente di entusiasmante per quasi un secolo, anzi per l’esattezza fino al 1981, quando sulla panchina dei Dons viene chiamato un certo Dave Bassett. Il nuovo allenatore si affida ad un gioco elementare, schietto ma estremamente funzionale: palla lunga per il centravanti e poi tutti sotto a recuperare la sponda. Brutto ma remunerativo. Nel giro di qualche tempo ottiene grandi risultati, tanto da conquistare la massima serie nel 1986.
L’organizzazione tattica però è talmente primitiva, che lo storico bomber della nazionale inglese Gary Lineker arriverà a commentare: “il modo migliore per guardare il Wimbledon è sul televideo”. A questo insopportabile stile calcistico va aggiunto il comportamento altamente antisportivo dei suoi giocatori. Si passa dalle intimidazioni verbali, all’intasamento dei bagni negli spogliatoi ospiti, durante gli incontri casalinghi. Dalla musica sparata a tutto volume nei corridoi, alle bustine di zucchero scambiate con quelle del sale. Insomma venire a giocare al Plough Lane non era un divertimento per nessuno, figuriamoci per i ricchi calciatori della First Division. In men che non si dica il club si guadagnò le antipatie di tutta la lega, ma nel calcio si sa, è solo il campo a poter parlare.
Nonostante tutto, al termine della prima stagione fra i grandi d’Oltremanica, la matricola londinese arriva a toccare quota 66 punti chiudendo ad un soffio dal quinto posto. Esordio interessante, ma nulla a che vedere con quello che combinerà l’anno successivo.
Estate 1987. Dopo circa 6 stagioni da protagonista, Basset cede lo scettro a Bobby Gould. Molto astutamente il manager di Coventry non cambia nulla del vecchio impianto di gioco, e la banda di pazzi si riconferma a ridosso delle prime posizioni. E in F.A. Cup? Beh, è qui che avviene il miracolo.
Il cammino di coppa dei “Wombles” appare sin da subito soprannaturale. Vengono decapitate nell’ordine: WBA, Mansfield Town, Newcastle, Watford e Luton. Il 14 maggio del 1988 si ritrovano nel sottopassaggio che incanala sul lucente tappeto di Wembley. Di fronte alla sgangherata banda di Mister Bobby c’è però il Liverpool dei grandi campioni.
Ora, prima di proseguire il racconto, permettetemi un doveroso excursus su alcuni degli undici che presero parte a quella incredibile partita.
In porta c’è Dave Beasent, detto Lurch per l’allucinante somiglianza con il maggiordomo della famiglia Addams. A discapito di una carriera vissuta fra alti e bassi, gli vanno attribuiti un paio di record. Intanto fu il primo portiere a parare un rigore in una finale di F.A Cup e poi, data la sua longevità sportiva(smise di giocare a 43 anni suonati!), fu l’ultimo giocatore nato negli anni ’50 ad esser inserito nella lista di un club professionista (Fulham stagione 2003-04).
Andiamo avanti.
In difesa spicca Erik Young, detto il Ninja. Muscoloso centrale d’altri tempi, deve la sua fama all’orrenda fascia marrone che porta sulla fronte durante le partite. Young si segnala anche per un altro motivo: essendo nato a Singapore, in base alle regole vigenti, aveva la facoltà di scegliere una qualsiasi nazionale britannica da poter rappresentare e lui optò incredibilmente per il Galles, pur non avendo nessun legame familiare con quella terra. Geniale!
Sulla sinistra scorrazza il giovane Denis Wise, probabilmente il più talentuoso ma anche il più ingestibile di tutti. Di lui si ricordano un paio di cosette poco carine, come un morso a Marcelino Elena in un match di Coppa delle Coppe quando indossava già la maglia del Chelsea , oppure una condanna a 3 mesi (poi annullata in appello) per aver aggredito un taxista. Un rapporto mai amichevole con gli arbitri condito da una lunga serie di giornate di squalifica per comportamento scorretto.
Sul suo conto Sir Alex Ferguson disse ”potrebbe scatenare una rissa in una casa vuota”.
In attacco gioca il mastodontico John Fashanu, un ariete africano tanto diverso dai “pazzi compagni di squadra” da presentarsi agli allenamenti in smoking accompagnato dal suo autista privato. Si contraddistingue perché non segna tanti gol, ma distribuisce parecchi calcioni ai difensori avversari. Diventerà l’idolo di PeoPericoli, storico personaggio di “Mai Dire Gol” interpretato da Teo Teocoli.
Infine, il più famoso di tutti, quel Vincet Peter Jones conosciuto ovunque come Vinnie. Non è solo il centrocampista centrale titolare, è lo spirito vivente del Wimbledon.
Nel 1987 strizza gli zebedei a Paul “Gazza” Gascoigne in un celebre duello contro il Newcastle. Alla prima trasferta contro il Liverpool, attacca un adesivo con la scritta ”bothered” (traducibile con “chissenefrega”) sotto la mitica effige “This is Anfield” che conduce dal tunnel all’ingresso in campo. Nel 1991 si assicura l’espulsione più veloce di tutti i tempi (appena 3 secondi!). Nel 1992 si becca 20.000 sterline di multa dalla Football Association per aver presentato “Soccer’s Hard Man” un video dove mostra ( ma soprattutto spiega) ai più giovani come diventare dei duri come lui. Nel 1993 si guadagna una denuncia per aver minacciato verbalmente l’equipaggio dell’aereo su cui stava volando completamente ubriaco.
Che ne pensate? E se vi dicessi che il presidente dell’epoca, tale Sam Hammam, forse era anche peggio!?
Dopo aver definito Vinni Jones “testa di Zanzara”, nel 1994 viene sorpreso a scarabocchiare lo spogliatoio del West Ham, mentre nel 1990 promette pubblicamente all’attaccante Dean Holdsworth una Ferrari ed un CAMMELLO qualora avesse raggiunto i 20 gol in stagione. Così, giusto per citare un paio d’esempi di colui che avrebbe dovuto controllare la società …
Torniamo alla finale.
Il Liverpool gioca molto meglio ma la trincea gialla regge. Al 36’ Wise scodella al centro una punizione defilata che l’accorrente Sanchez trasforma in rete.
Wembley diventa una bolgia dantesca.
I Reds reagiscono, ma questa è la notte del Wimbledon. Al 61’ l’arbitro fischia un penalty in favore dei rossi: dal dischetto il buon John Aldridge si fa ipnotizzare dal nostro “Lurch”, che salva eroicamente il risultato.
La coppa va incredibilmente alla sgangherata squadra londinese.
Al triplice fischio, il memorabile commentatore della BBC John Mortson dirà: “The Crazy Gang have beaten the Culture Club!”. Quel modo di dire “The Crazy Gang” resterà per sempre nella storia, come probabilmente i festeggiamenti del post gara di cui nessuno purtroppo portò mai lo straccio di una testimonianza.
Come in altri grandi racconti, anche in questo caso il passo dall’inaspettato successo al declino fu fin troppo prevedibile.
Nel 1992, a seguito del rapporto Taylor sulla violenza negli stadi, il Wimbledon dovette abbandonare l’ormai inadatto Plough Lane per trasferirsi nel più moderno Selhurst Park, casa del Crystal Palace. Inutile girarci attorno: niente fu più lo stesso. Qualche campionato passato nel limbo della neonata Premier League, prima della cocente retrocessione d’inizio millennio. Un paio di stagioni in Championship, poi quell’incredibile decisione dell’estate 2002.
In quello sciagurato anno, la dirigenza -di comune accordo con la Football Association– decise di trasferire la sede della società e di conseguenza anche la squadra a Milton Keynes, nel Buckinghamshire. Oltre 100 miglia a nord di Kingston Upon Thames.
Per tutta risposta un gruppo di supporters -capeggiato da Kris Stewart- fondò dal nulla l’AFC Wimbledon, dove l’acronimo A F C sta a sintetizzare “a football club” giusto per rimarcarne le origini popolari. Spronati dal loro credo (“formed by fans, owned by fans and run by fans”) incominciano persino un battaglia legale per conservare in bacheca i titoli sportivi appartenuti al vecchio Wimbledon.
Ottenuto un terreno di gioco, il nuovo club gioca la sua prima partita il 10 luglio 2002 contro il Sutton United davanti a 4.657 tifosi. L’inizio è comunque confortante. La squadra s’iscrive alla Combined Counties Football League mancando però di un soffio l’immediata promozione. L’anno successivo si stabilisce al Kingsmeadow (dove tuttora risiede) cominciando la sua scalata verso i piani alti della nobiltà calcistica.
Pronti via si guadagna una promozione diretta in Isthmian League incorniciata da quel sublime + 148 alla voce differenza reti. Poi domina la Conference South, bissando il trionfo in Conference League nella stagione seguente.
Una salita impervia ma inarrestabile, come se cominciasse a sentire l’odore di casa dopo un lungo viaggio solitario.
Nell’anno domini 2011 i Dons arrivano persino a riscrivere gli almanacchi pallonari. Dopo aver superato il Luton nella finale secca di Manchester, l’undici guidato da Terry Brown, festeggia l’approdo in League Two diventando automaticamente l’unico club nato nel XXI secolo a guadagnarsi l’accesso al panorama professionistico.
Cinque promozioni in nove anni: probabilmente nemmeno il manipolo di tifosi più accanito se lo sarebbe mai sognato!
E ora? Beh, non vi nascondo che mi sono talmente affezionato a questo team che nel weekend mi informo sempre sui risultati di campionato. Posso solo dirvi che dopo quattro stagioni caratterizzate da sofferte salvezze, proprio oggi, mentre state leggendo questo articolo, si è scritto il capitolo più straordinario del nuovo club. Sotto il naso di oltre 57.000 paganti, in un insolito lunedì di Wembley, l’ AFC Wimbledon ha da poco battuto per due a zero il più quotato Plymouth nella finale di League Two. Le reti di Taylor e di Akinfenwa hanno incredibilmente trascinato i Wombles in League One.
Dalle sconosciute fondamenta, al terzo gradino della piramide calcistica in soli 14 anni. Se non è l’ennesimo miracolo questo …
Ah, dimenticavo il Milton Keynes è appena retrocesso dalla Championship e quindi l’anno prossimo si giocherà il derby più stravagante del mondo. L’AFC Wimbledon formato dai tifosi, incontrerà il Milton Keynes, cioè il Wimbledon voluto dalla lega.
Di sicuro la crazy gang di quei meravigliosi anni non tornerà mai più, ma intanto il Wimbledon, quello vero, è appena risorto. Chissà, se fra una fragola e l’altra se ne accorgeranno anche nel Royal Box che affaccia sul Centre Court…
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