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Calcio

MONDAY NIGHT – La Simpatica Canaglia

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Spesso pensiamo ai tedeschi come un popolo incapace di infrangere gli schemi. Non è così, ovviamente, ed Helmut Haller – per citarne uno – avrebbe dovuto già insegnarci che questi stereotipi sono ottusi ed obsoleti ma se qualcuno fosse ancora dubbioso ecco una storia che lo convincerà appieno…

 

LA SIMPATICA CANAGLIA

Vede la luce il 12 Maggio 1973 a Zwiesel in Baviera, una piccola cittadina nei pressi del confine cecoslovacco, e si rivela particolarmente discolo già in tenera età. La sua passione per gli animali, a qualsiasi ordine appartengano, diventa presto la disperazione di mamma ma riesce sempre a farsi perdonare con il suo simpatico sorriso. Gli piace il calcio ma con i piedi non è un granché così il Trainer della squadra locale lo mette in porta. E’ l’intuizione giusta: il giovanotto rivela doti insospettabili e sembra anche darsi una calmata, preso com’è da allenamenti e partite. A 14 anni è già alto 1,80 e viene addirittura convocato nella nazionale under 17, cosa che attira l’attenzione di un osservatore dei Löwen che per una manciata di marchi lo porta a Monaco. Se la cava bene anche da quelle parti, così bene che l’anno successivo viene prelevato dal Bayern. E’ bravo ma discontinuo, peccato mortale per un guardiano, così i Roten lo spediscono al Vilshofen, tra i dilettanti, dove resta due anni. Il riscatto però non avviene e la successiva opportunità gli viene offerta dal Bad Kötzting, appena un gradino più in alto. Si ferma un biennio anche qui ma capisce che in Germania difficilmente avrà un’altra opportunità tra i Pro così fa le valigie, destinazione Georgetown, Malesia, per difendere la porta del FA Penang. La stagione va nel migliore dei modi ed ecco che arriva subito l’occasione di rientrare in Europa. E’ il Wimbledon della “Crazy Gang” ad offrirgliela e lui sembra fatto per quel posto: insieme agli amici Jones, Fashanu e Wise terrorizza l’ambiente del club con scherzi da brivido, alcuni dei quali arriveranno addirittura a mettere in pericolo le vite delle malcapitate vittime.

 

quando nel 1994 arrivai al Wimbledon, mi ritrovai in una realtà totalmente diversa da quella tedesca, ma capii subito che in quello spogliatoio si respirava un’aria speciale e cosa fosse la Crazy Gang: erano sì dei pazzi, ma a modo loro, era gente che si allenava, giocava duro e che amava divertirsi, facendone di tutti i colori, come tagliare via le dita dai guanti, fare pipì nelle bottiglie di shampoo o mettere la crema mentolata nei pantaloncini. I calciatori di oggi potrebbero imparare molte cose dalla Crazy Gang: un tempo, finito l’allenamento, si beveva tutti insieme, oggi ognuno va via per conto proprio, perché si deve andare a casa a giocare alla playstation o a portar fuori il cane”

 

Comprensibilmente viene spedito al Notts Forest che lo gira ai belgi del St. Truiden. L’anno successivo è a Malta, con i rossoneri dell’ Ħamrun Spartans, ma dopo sole 4 presenze sale nuovamente sull’aereo per scendere a Singapore, alla corte dei Sembawang Rangers. Anche qui solo 4 partite, allora inverte la rotta e fa scalo a Johannesburg per dare un’occhiata ai pali degli Orlando Pirates, freschi campioni d’Africa. Sarà un’altra buona stagione e il Nottingham lo fa rientrare: 7 gare e via, di nuovo in prestito a Tampere, tra i ghiacci finlandesi, dai quali tornerà per difendere la prota dei Rossi altre 8 volte.

La nostalgia di casa lo riporta in Baviera, al Wacker Burghausen, in Regionalliga, ma dopo aver riassaporato würstel bianchi e cervo ai mirtilli, la passione per i lidi esotici lo catapulta nuovamente a Singapore.

Purtroppo la sua seconda esperienza nella città stato si rivelerà un autentico incubo.

Accusato di avere truccato alcune partite viene arrestato ed imprigionato per 101 giorni. Sarà rilasciato per mancanza di prove a suo carico ma l’esperienza lo segnerà per tutta la vita.

 

“prima ero il classico calciatore che pensava solo a quale giacca comprare, che macchina guidare e dove andare a cena. Vivevo in una bolla di cazzate senza importanza e davo tutto per scontato. Ma quando invece scopri che la normalità è svegliarti con una guardia che ti prende a pugni in faccia o che ti danno del cibo che non puoi mangiare, mentre il tuo compagno di cella si è impiccato tre settimane prima, allora vedi tutta la vita in modo totalmente diverso”

 

Ripara in Nuova Zelanda al Dunedin ma presto viene chiamato dagli inglesi del Bradford, dove lo attende un’altra avventura agghiacciante. In uno scontro di gioco con l’attaccante dell’Harrogate Clayton Donaldson si procura un grave trauma cranico: va tre volte in arresto respiratorio e solo l’intervento provvidenziale del medico sociale gli salverà la vita.

 

“in realtà sono morto tre volte perché per tre volte ho smesso di respirare dopo uno scontro in area con un attaccante. Gli altri giocatori erano talmente sotto choc che si misero a piangere attorno a me, con l’arbitro che se ne andò addirittura dal campo perché troppo scosso per continuare la partita. Mi risvegliai tre ore più tardi in ospedale e sette giorni dopo ero di nuovo fra i pali, anche se la mia fidanzata era incinta di sette mesi: un vero irresponsabile”

 

Dopo una brevissima parentesi elvetica, al Cham, il ritorno a Dunedin. La Nuova Zelanda è un paese civile e avanzato, tuttavia rurale, con un incedere lento e scandito. Impossibile mettersi nei guai, da quelle parti. Non per lui, però. Trafuga un pinguino e lo alloggia nella vasca da bagno. E’ il presidente del Dunedin a scoprirlo, durante una visita a casa sua, e l’animale verrà restituito dopo un’epica sfuriata dell’inferocito dirigente.

 

“mi resi conto che non era stata una grande idea, anche perché puzzava tantissimo”

 

Non si fermerà. Norvegia, Canada, ancora Nuova Zelanda, Albania, breve rientro tra i fiordi e di nuovo Canada. Nel 2008 la svolta: 12 partite a guardia della rete dell’Hermann Aichinger, una società brasiliana di terza divisione. Gli manca il freddo, forse, così lo ritroviamo in Norvegia, dove decide che gli manca il caldo motivo per cui va a chiudere con il calcio giocato in Namibia, nel 2011.

 

Lutz Pfannenstiel non è stato proprio il “tedesco” che una superata iconografia ci ha consegnato, tuttavia nella sua strana vita, di certo, non si è annoiato.

Non ha perso la sua aria simpatica e scanzonata però ha “messo la testa a posto” e oggi lavora come osservatore per l’Hoffenheim.

Non ha mai vinto un mondiale o una coppa europea, né un premio individuale.

Ma è l’unico giocatore – da che il calcio esista – ad aver militato in tutte le sei confederazioni iscritte alla FIFA: quanto basta per consegnarlo alla storia.

A dispetto di un carcere asiatico, tre ritorni dall’aldilà e un pinguino nella tinozza.

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