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Calcio

Monday Night – Sir Alex Ferguson, da Glasgow all’Old Trafford – 7 mar

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Numerosi allenatori hanno lasciato il segno nella storia del calcio. Autentici fuoriclasse protagonisti di un mestiere ingrato, dove spesso se vinci è per merito dei calciatori e se perdi è quasi esclusivamente colpa tua e della tua incapacità di sfruttare il potenziale a disposizione. Quello del ‘manager’, come viene chiamato in Inghilterra, è un mestiere
duro dove solo i forti sopravvivono e dove soltanto i fortissimi lasciano il segno, ognuno con un suo particolare tratto distintivo: “il Sistema” di Herbert Chapman, il catenaccio di Herrera, il ‘Calcio Totale’ di Sebes, Michels e Sacchi, quello “del Futuro” di Lobanovskij, l’elegante fraseggio del ‘Tiki-Taka’ di Guardiola. Un allenatore che ha marchiato il proprio nome a fuoco nella storia del football è uno scozzese che ha trasformato il Manchester United, riportandolo prima ai fasti di un passato che sembrava ormai dimenticato e poi più su, ancora più su. Un uomo controverso, duro, capace di distinguersi come nessuno prima di lui nella cosa che nel calcio, checché se ne possa dire, conta di più: vincere.
Sir Alex Ferguson, con i quasi 50 trofei conquistati in una carriera che lo ha visto protagonista per oltre trent’anni, è di gran lunga l’allenatore più titolato nella storia del football, inseguito solo da lontano da altri tecnici bravi ma protagonisti in tornei più anonimi di quello inglese, vincitori magari in patria ma non in Europa. La maggior parte di questi trofei, ma non tutti, sono arrivati mentre guidava il Manchester United, la squadra con cui si è identificato e che ha letteralmente trasformato, portandola ad essere una delle squadre più ricche e famose del mondo e raddoppiandone i trofei in bacheca. La sua ricetta? Lavoro duro, tenacia, fiducia nei propri mezzi. E quel pizzico di fortuna che nel football spesso distingue chi fa la storia da chi potrebbe farla ma svanisce nel nulla.
La sua carriera da calciatore, anzitutto. Potrebbe finire nel dicembre del 1963: Ferguson sta per compiere 22 anni e ancora non ha trovato un suo posto nel calcio nonostante i tanti gol segnati e il coraggio e le capacità tattiche degne di un veterano. Ha lasciato il Queen’s Park, il più antico club scozzese tutt’ora ancorato ai principi di dilettantismo che lo crearono, nonostante abbia segnato una rete dietro l’altra: l’allenatore proprio non lo vedeva, e allora è andato al St. Johnstone. Ancora tanti gol, ancora tanta difficoltà nell’emergere, nel farsi apprezzare dal proprio allenatore. Dopo essersi rotto zigomo, naso e mandibola in uno scontro di gioco ed essere rimasto fuori mesi e mesi, torna in campo con la squadra riserve deciso a riprendersi il posto e invece colleziona una figuraccia dietro l’altra. Sono quei giorni di dicembre in cui il giovane Ferguson pensa di lasciare la Scozia e il calcio, di andare in Canada, di costruirsi un futuro. Lo blocca lo stesso manager, che non si fida delle sue capacità ma è costretto a farlo: gli attaccanti titolari si sono fatti male, ma prima di rivolgersi a lui ha provato anche ad acquistarne un altro, una trattativa fallita all’ultimo e che cambia la storia. Già, perché il 21 dicembre del 1963 Alex Ferguson, l’attaccante “tutto gomiti” infila tre reti nella porta degli esterrefatti Rangers di Glasgow, la squadra per cui tifa fin da bambino. In quel momento cambia tutto, e anche se non arriverà mai la convocazione in nazionale “Fergie” riesce a ritagliarsi una carriera più che discreta, 171 reti in 317 partite con anche un’esperienza biennale proprio nei “Teddy Bears”, un sogno coronato dunque.
Anche se si tende a identificarlo con il Manchester United, club che ha guidato per oltre 27 anni ricchi di successi, Ferguson è stato molto di più. Straordinariamente forte caratterialmente, fece sempre tesoro di quello che gli insegnò il suo primo manager Willie Gibson al Queen’s Park: quando il giovane Alex si lamentò di un difensore che aveva tentato di morderlo il tecnico bruscamente gli rispose “Cos’hai da piagnucolare? Mordilo anche tu!” Fu per questo che tutti i calciatori che hanno giocato alle sue dipendenze si dividono in due categorie: chi lo ha amato alla follia, lodandone la grinta, il carisma e la fiducia riposta negli stessi giocatori, e chi lo ha odiato raccontando di un uomo duro, testardo e poco incline ai compromessi. Per queste ultime caratteristiche fin da subito si guadagna il soprannome di “Furious Fergie”, perché non accetta la sconfitta e men che meno la mediocrità, la rassegnazione. Il calcio scozzese è un affare tra le squadre di Glasgow? No, la storia deve cambiare. E cambia al termine della stagione 1979/1980, quando l’Aberdeen da lui guidato conquista il campionato pur dopo una partenza disastrosa: la squadra trova unità, lui la convince che niente è impossibile e dopo aver recuperato posizioni su posizioni strapazza l’Hibernian per 5 a 0 trionfando all’ultima giornata. Succederà ancora, per ben tre volte, l’ultima nel 1985: il titolo fuori da Glasgow, una cosa che soltanto Ferguson può fare e che infatti da allora non è più successa. A questi trionfi vanno aggiunte ben quattro Coppe di Scozia, la valorizzazione incredibile di giovani quasi sbucati dal nulla e il fiore all’occhiello della Coppa delle Coppe del 1983 ottenuta superando in finale il Real Madrid e bissata pochi mesi dopo dalla Supercoppa Europea conquistata contro l’Amburgo mattatore della Juventus in Coppa dei Campioni. Risultati incredibili che gli valgono la chiamata del Manchester United: accetta, pronto a scrivere la storia ancora una volta.
Lo farà dopo una partenza difficile. Lo farà in una piazza calda, che non vince da molto e che vuole tornare a farlo. I tifosi dei “Red Devils” vivono del ricordo dello straordinario Manchester United di Matt Busby, il manager che rese per la prima volta grande il club sopravvivendo al disastro aereo di Monaco di Baviera e ricostruendo dalle ceneri di una squadra polverizzata dal destino una vera corazzata: Dennis Law, George Best, Bobby Charlton, miti inarrivabili come il loro mentore fino al momento in cui arriva in panchina l’uomo capace di cambiare la storia ancora. L’inizio, come detto, è tutt’altro che facile: Ferguson prova a costruire una squadra mettendoci molte idee e non molti soldi, setaccia i giocatori dei campionati minori, lancia talenti che però rimangono a metà mentre la squadra stenta. Sono i “Fergie’s Fledglings”, gli uccellini di Fergie, che saranno dimenticati in brevissimo tempo dall’esplosione della famosa “Class of ’92” che comprende i fratelli Neville, Paul Scholes, David Beckham e lo straordinario Ryan Giggs.
A questi eccezionali talenti, negli anni, Ferguson saprà affiancare autentici campioni: il primo è il gallese Mark Hughes, l’uomo che con due reti sancisce il replay della finale di FA Cup del 1990 che, dicono in tanti, fosse sfuggita avrebbe sancito l’esonero del tecnico. Nel 1993, ben sette anni dopo il suo insediamento, arriva la prima vittoria in campionato: la firmano i 15 gol di un personaggio leggendario, Eric Cantona, pescato nel Leeds United e diventato grande proprio in quella stagione, con McClair e il giovanissimo Giggs di supporto e il tenace Paul Ince a reggere il centrocampo. Una delle mosse più riuscite del tecnico è la formazione della coppia difensiva, formata da Gary Pallister e da Steve Bruce, difensore con il vizio del goal, che protegge il monumentale Schmeichel, uno dei migliori portieri della storia del calcio che Ferguson pesca dai danesi del Brøndby.
Quello del 1993 è l’ottavo campionato vinto dal Manchester United in quasi cento anni di storia. Quando Ferguson lascerà, l’8 maggio del 2013, i titoli inglesi nel carniere saranno ben 20. Con il lancio di numerosi talenti e l’acquisto di alcuni straordinari campioni quando ancora non sono altro che promesse – Roy Keane, Stam e Cristiano Ronaldo, soltanto per fare alcuni nomi – Ferguson crea un impero, un club modello e una squadra quasi imbattibile dove coesistono perfettamente giovani prodotti del vivaio, campioni affermati e alcuni clamorosi rilanci, come quello di Van der Sar, il portiere olandese da molti dato precocemente per finito dopo la negativa esperienza alla Juventus. Proprio ai bianconeri il tecnico dichiarerà sempre di essersi ispirato, anche nell’arroganza con cui definirà i rivali cittadini del City “vicini rumorosi” e dimostrando di non essere secondo a nessuno per intuito tattico e capacità di trasformare la squadra, cambiando modulo ma non stile ed efficacia. Ammira il calcio italiano, considera il Milan di Sacchi la miglior squadra di sempre e invita i suoi giocatori a guardare le partite della Juventus di Lippi: “Non guardate la tecnica o la tattica, quelle le abbiamo anche noi. Guardate la loro voglia di vincere.” Arrivano anche due Champions League, la prima delle quali ha i contorni della leggenda e dimostra quanto la lezione sia stata finalmente imparata a memoria: in finale i “Red Devils” sono sotto di un goal quando mancano pochi istanti alla fine, ed ecco che prima Sheringham e poi Solskjær ribaltano il risultato consegnando la coppa allo United dopo oltre trent’anni.
Ed ecco la fortuna di Ferguson, quella che cambia la storia del calcio con reti non casuali, vere e proprie “sliding doors”: la tripletta con cui da solo stende i Rangers rinunciando all’idea di abbandonare il calcio, il colpo di testa di Hewitt che a due minuti dalla fine dei supplementari permette all’Aberdeen di conquistare la Coppa delle Coppe, le reti di Bruce che decidono il primo campionato, e poi ancora i gol di Sheringam e Solskjær per tornare sul tetto d’Europa. E poi cos’altro? Un errore, lo scivolone di Terry del Chelsea sul rigore che avrebbe potuto consegnare la Champions League 2007/2008 ai “Blues”. Una parata, quella che Van der Sar (ricordate? Il portiere che era finito) effettua pochi minuti dopo su Anelka consegnando ancora la coppa a Ferguson. 21 maggio 2008, con questa impresa Matt Busby è definitivamente superato, messo nel posto che merita come leggenda ma rimpiazzato da questo scozzese dai modi bruschi e dalla capacità di guardare avanti, sempre e comunque.
Sir Alex Ferguson, Commendatore dell’Ordine dell’Impero Britannico per meriti acquisti sul campo, si ritira il 19 maggio del 2013: ha conquistato quasi cinquanta trofei, ha reso grande un club che prima di lui sembrava ormai dimenticato, ha insegnato moltissimo a tutti. Uno come Mourinho, notoriamente tutt’altro che umile, ha sempre dichiarato che Sir Alex “è il calcio”, lo ha sempre chiamato “il Capo, perché lui è il capo di tutti gli allenatori”. E adesso? Ufficialmente l’allenatore più vincente nella storia del calcio è in pensione, ma per i nostalgici c’è ancora una speranza: soltanto l’anno prima del ritiro il mitico Fergie aveva detto che “la pensione è per i giovani, non per i vecchi. I giovani possono trovare nuovi interessi. Quando sei vecchio e sei stato nel giro per il tempo che ci sono stato io, se dovessi scendere, dove pensa me ne potrei andare?”
Appunto, mister Ferguson. Chi ama il football sta già aspettando.

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