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Calcio

Nazionale: Il Punto di Simone Cola -24 Giu-

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Cari amici, lungi da me considerarmi un intenditore di calcio, ovviamente: come ho scritto piu’ volte, questo sport ha così tante sfaccettature e si presta a così tante interpretazioni da rendere chiunque un esperto o un incompetente. Così come nelle ultime giornate di Campionato è partito qui su 1000cuorirossoblù, “Il Punto sul Campionato” (volevo trovare un nome piu’ fantasioso, ma diciamo che non eccello in questa qualità – accetto comunque suggerimenti), che è un momento per parlare come se si fosse al bar di quanto successo in Serie A, ecco che oggi propongo una mia personale riflessione sulla Nazionale impegnata nella Confederations Cup 2013. Vi ricordo che inoltre ogni martedì, a campionato iniziato, troverete nuovamente il mio “Il Punto sul Campionato”.


Il Punto sulla Nazionale

GIACCHERINI_AS2_4258_0NESSUNO TOCCHI GIACCHERINI
Se ne sono sentite, di cattiverie, sulla presenza di Giaccherini in Nazionale: chi diceva che era tra i 23 della Confederations Cup solo perché gioca nella Juventus, chi si domandava come fosse possibile che uno che non gioca titolare nel suo club giochi in Nazionale.
Emanuele Giaccherini è sempre stato, fin dal suo primo campionato in A con il Cesena, un buonissimo giocatore. Per carità, arrivato tardi nel giro che conta, ma questo del resto riguarda tantissimi giocatori, come Diamanti, Cerci e, ad esempio, Di Natale. Ogni persona ha la sua maturazione personale, non è detto che uno che a 20 anni è un fenomeno lo sarà anche a 30, e non è detto ovviamente neppure il contrario. Se però, per onestà intellettuale, ci ricordiamo del primo Giaccherini con la maglia appunto del Cesena ci ricorderemo un giocatore dinamico, ficcante, versatile e da corsa. Tutti pregi che gli sono valsi l’acquisto da parte della Juventus, dove certo non si arriva facilmente e dove ancora meno facilmente si rimane in due anni che portano due scudetti.
In Nazionale solo perché gioca nella Juve? Può darsi, del resto giocare in top team di solito significa essere giocatori perlomeno utili alla causa, oltretutto magari piu’ avvezzi a competizioni internazionali, dove i “fenomeni di provincia” difficilmente si misurano. E certo, nella Juventus non è titolare, ma del resto si può dire che non sia una scusante non essere titolare fisso in un club che per due anni domina il campionato senza se e senza ma.

Tolti questi pregiudizi, quel che rimane è un calciatore rapido, grintoso, dotato di una discreta tecnica e di un enorme versatilità, magari non il giocatore eccelso che ami da bambino, ma sicuramente uno che in un gruppo serve. E anche il fatto di essere abituato a giocare e non giocare potrebbe essere un pregio, considerata l’abitudine dello juventino a non far polemica e a farsi trovare comunque pronto quando serve.

In questa Confederations Cup è stato uno dei migliori tra gli azzurri, e non certo per i 2 gol messi a segno (o almeno, non solo per quelli) ma per la sua versatilità che ha permesso a Prandelli di cambiare modulo in corso d’opera e di allargare o restringere il gioco a seconda del bisogno.
Non so voi ma a me ricorda molto il buon Zambrotta, e sinceramente penso e continuerò a pensare che, se è vero che vederlo sempre titolare fisso potrebbe essere strano, allo stesso tempo sono pochi gli azzurri che possono vantare la sua umiltà, il suo spirito di sacrifico e di adattamento, e la sua costanza di rendimento. Insomma…nessuno tocchi (piu’) Giaccherini. Che i problemi che abbiamo semmai sono altri…

 

italiaCATENACCIO ADDIO?
Quando Prandelli si è seduto sulla panchina della Nazionale, il suo primo intento dichiarato è stato quello di cambiare una mentalità catenacciara, durata quasi un secolo, che ci ha permesso di vincere comunque 4 Coppe del Mondo. Oddìo, forse non siamo stati sempre catenacciari, ma diciamo che da noi si è sempre curata maggiormente la fase difensiva, questo si.
Nei primi anni ’30 già c’erano disquisizioni tattiche sul giocare in modo arioso e brillante, come voleva la scuola danubiana, e il giocare in modo pratico e concreto: Vittorio Pozzo, allora CT italiano, diceva che, in soldoni, giocare in maniera pratica e concreta si addiceva di piu’ agli italiani, per vocazione e natura abili nello scoprire le falle degli avversari e nel gestire le energie e poco portati sul piano atletico.
Come è andata si sa, l’Italia vinse 2 Mondiali consecutivi sconfiggendo Cecoslovacchia e Ungheria e passò alla storia come una delle migliori Nazionali di sempre. E certo, da allora sono passati ottant’anni, e un evoluzione (anche culturale, oltre che calcistica e atletica) nel nostro Paese c’è stata. Ed è forse per questo che Prandelli si è deciso a cambiare rotta, conscio del fatto che una squadra poco spettacolare ma concreta viene amata dai tifosi solo quando vince, mentre una squadra che “gioca bene” (concetto comunque assai opinabile nel calcio) in generale piace sempre. C’era bisogno di riavvicinare i tifosi alla Nazionale, ed è per questo che si è deciso di dare spazio ai piedi buoni: e indubbiamente un quadrilatero di centrocampo che schiera tutti insieme Pirlo, De Rossi, Marchisio e Montolivo è tanta roba. Ma cambiare una mentalità è un processo lungo e laborioso, e se è vero che con un centrocampo così guadagni molto in qualità, è inevitabile constatare che si perde molto in rapidità e combattività. La partita vinta con il Giappone, persino piu’ di quella persa con il Brasile, hanno evidenziato che il progetto è ancora a metà: non so voi, ma io non ho trovato sorprendente vedere i nostri in affanno di fronte ai rapidi e ben organizzati (da Zaccheroni, un maestro) attacchi dei nipponici, cui solo la scarsa esperienza e l’orgoglio azzurro hanno impedito di fare il colpaccio. Ci vuole pazienza e bisogna perseverare, ormai tornare indietro servirebbe solo a perdere quella mentalità che comunque, seppur lentamente, è stata acquisita in questi tre anni e mezzo di gestione-Prandelli, che ci hanno comunque portato ad una insperata finale agli Europei 2012. E certo nessuno è perfetto, e certo le debacle sono dietro l’angolo, soprattutto considerati il logorio di Pirlo e De Rossi e la ancora non completa maturità di Montolivo. E si, dietro questi quattro non ci sono dei fenomeni, visto che Verratti è pur sempre ancora giovane e Aquilani non è mai stato il campione che prometteva di diventare agli esordi nella Roma. Però io, da inguaribile ottimista, voglio vedere il bicchiere mezzo pieno: quando vogliono gli azzurri giocano un buonissimo calcio di qualità, e se uno pensa alla “solita” Italia è chiaro che non può che sperare che Prandelli non si scoraggi di fronte agli 8 gol presi in 3 gare di Confederations e vada avanti per la sua strada.

mario-balotelliSALVATE IL SOLDATO MARIO
Su Mario Balotelli, anche, se ne son dette di tutte: chi lo trova un giocatore ancora immaturo, chi sopravvalutato, chi semplicemente antipatico.
Eppure ci si scorda spesso che Balotelli ha ancora solo 23 anni (lì compirà tra un paio di mesi) e ha già giocato e vinto con Inter e Manchester City, mentre al Milan in sei mesi ha contribuito pesantemente ad un terzo posto che comunque sembrava un miraggio, spentosi El Shaarawy. Non soltanto “realizzando rigori”, come hanno detto in tanti (cosa peraltro non scontata, visto che ai rigori noi italiani spesso abbiam pagato dazio) ma anche portando una personalità che, con tutti i suoi limiti, è da vincente.
Balotelli è quello che a 18 anni si prendeva il pallone per battere punizioni e calci d’angolo nell’Inter del Triplete, è quello che ha servito l’assist decisivo per uno scudetto che al Manchester City attendevano da un epoca, è quello che tuttora in ogni partita può inventare una giocata quando meno te l’aspetti. Può farlo in virtù di mezzi fisici e tecnici straordinari, come raramente si è visto in un calciatore italiano.
Già, perché Balotelli è italiano, è un patrimonio del nostro calcio e di un paese, il nostro, che fatica a integrare le diversità in molti altri ambiti: Balotelli spicca, per il colore della sua pelle, per la sua cresta (quando la sfoggia), ma anche per molte altre cose. E’ ovvio che ha dei limiti, ma fa male vedere come a volte la gente non aspetti altro che un suo passo falso per sottolineare cosa ha in meno senza ricordarsi cosa ha in piu’.
Spero vivamente che smetteremo, tutti, di guardare gli errori, la sua troppa esuberanza, le magliette tolte e le espulsioni evitabili: sono convinto che con il tempo anche lui si limiterà, e allora sì che vedremo un campione a 360 gradi quale ancora, ovviamente, non è.
Smettiamola di credere che “una buona educazione sia una dura educazione”, Balotelli è un artista unico e gli artisti devono saper crescere da soli, senza i tecnici da bar che ne decretino il fallimento per errori veniali. Balotelli è un ragazzo, e chiunque sia stato un ragazzo sa che a volte la reazione piu’ istintiva, a chi pretende una cosa da te, è il fare esattamente l’opposto. E’ immaturità? Si, la stessa che lo porta a fare numeri inaspettati, come lo splendido assist di tacco contro il Brasile.
Teniamocelo caro, il Marione nazionale, teniamocelo stretto.

 

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