Calcio
Pop&Sports – Il legame tra il Calcio e le divise, tra la tradizione e l’originalità
È cominciata una nuova stagione di Serie A e per me è come se fosse ricominciata la scuola, perché ogni nuovo anno porta con se dei cambiamenti: dai calciatori agli allenatori, persino i presidenti. Ma io rimango un po’ bambino e il cambiamento che mi esalta di più in una nuova stagione sono le divise dei miei calciatori preferiti. Proprio di questo, sento che quest’anno più degli altri, la gente abbia parlato di più delle divise dei vari club: dalla “sobrietà” di Adidas nel vestire Juventus e Real Madrid all’eccentricità di Puma nel vestire Manchester City, Marsiglia e anche la nostra Nazionale Italiana.
Nel suo significato più ampio, la divisa è un capo di abbigliamento, di vario modello e colore, comune a determinate categorie o gruppi di persone. Nello sport, categoria che ovviamente ci interessa, è l’abbigliamento regolamentare di gara che identifica una determinata squadra, voglia essere un club o una Nazione. Ed è qui che la divisa prende il suo senso, perché dietro ad un colore, a un simbolo e agli elementi che apparentemente sono solo estetici, si sono legate ad esse, col tempo, una storia, un’appartenenza e degli obiettivi. È così, quindi, che la divisa di rappresentanza di un club diventa un culto e, con essa, viene scritto anche un suo statuto per la sua salvaguardia.
Ad oggi, il rapporto tra il marketing e il gioco del calcio è via a via sempre più stretto, una realtà consolidata e in continua crescita. Le società sono diventati dei veri e propri brand, e in questo senso le divise da gara, l’abbigliamento, sono il prodotto più redditizio per gli appassionati. Si può dire che, da alcuni anni, questi simboli, prima così intimi e legati ai tifosi, si sono evoluti e sono diventati un elemento riconosciuto nello streetwear, quasi come le canotte NBA.
Con le nuove casacche, della nuova stagione 20/21, si è aperto un dibattito molto interessante tra originalità e tradizione. Come e quanto ci si può spingere in là nel rivoluzionare la divisa di un club?
Prendiamo un esempio, forse il più forte, ovvero quello delle due squadre di Milano: L’Inter e il Milan. Partiamo dai nerazzurri, dove hanno provato, tra la prima e la seconda maglia marchiata Nike, a richiamare il futurismo, in un omaggio ad una corrente fondamentale per lo sviluppo artistico della capitale della moda. Purtroppo l’idea non è riuscita benissimo: la prima divisa a zig-zag e la seconda, definita ironicamente come una tovaglia o pigiamino, ricorda di più un quadro di Mondrian piuttosto che le idee futuriste del 1910.
Chi è riuscito di più a trovare armonia tra tradizione e modernità e stata l’altra faccia, il Milan. I rossoneri, grazie anche alla ormai esperienza del brand Puma (vedi le divise degli Azzurri), sono riusciti a lasciare intatta la tradizione nella maglia casalinga, con le strisce rosso-nere, ma con un pattern in rilievo che richiama i simboli della Galleria Vittorio Emanuele II. La seconda, invece, non è riuscita bene quanto la prima, dove hanno scelto un effetto sfumato centrale, ispirato al Mudec (il Museo della Cultura), ma comunque piuttosto anonimo sul tessuto. Bella l’idea della terza maglia, molto moderna, verdeacqua con l’iconico motivo Houndstooth, sinonimo di sartoria di alta moda. Ruotando il pattern a 45 gradi, la Puma ha voluto mostrare la M nel disegno, come riferimento a Milano.
Se Inter e Milan hanno provato ad osare, lo stesso non si può dire per la Roma, che anzi è voluta legarsi al passato. Quest’anno ricorre il 40° anniversario del successo dell’AS Roma nella Coppa Italia del 1979-80, dove il club scese in campo con delle divise affettuosamente soprannominate “ghiacciolo”, per via delle tonalità utilizzate e del particolare design realizzato da Piero Gratton, ideatore del Lupetto. A proposito di Gratton, l’amatissimo Lupetto torna a vestire la Roma nella seconda maglia, quella di trasferta, che si ispira a quella del 1978. La terza, invece, ricorderà ai tifosi la terza maglia del 1998-99, con i colori nero, arancione e grigio. La stampa safari, posta sotto le ascelle della maglia, è la celebrazione di alcune delle sneakers più ricercate di Nike, simbolo del legame che unisce Roma e Air Max, per tornare al rapporto tra marketing e squadra di calcio.
Paradossalmente, il kit gara della Roma è più amata di quelle del Milan e dell’Inter. Il motivo sembrerebbe essere il forte richiamo al passato, cui i nostalgici tifosi piace tanto e come trovo giusto che sia. Ma occhio a non confondere passato con tradizione, perché l’amato Lupetto di Gratton non è nato con il club, ma è una cosa venuta dopo: fa parte dell’originalità di quel tempo, la voglia di modernizzare la maglia stantia del club.
Ovviamente il mondo della tifoseria sarà sempre diviso per chi vuole la tradizione e chi, invece, preferisce osare e cercare di modernizzare i colori del proprio club. L’importante è concedere la possibilità del club di rinnovarsi, perché è meglio provarci e fare un prodotto mediocre che non provarci e rimanere sempre con le solite maglie, che non cambiano mai. Vedi il successo delle maglie firmate Gratton, poi riproposte addirittura 40 anni dopo, oppure la divisa di quest’anno della Juventus, dove hanno provato a rendere più creative le tradizionali e iconiche strisce bianconere, che vengono reinterpretate in chiave grafica con pennellate che richiamano l’arte contemporanea e dettagli color oro che illuminano i successi dei grandi campioni. Forse anche questa non venuta benissimo, ma almeno si apprezza elogia l’originalità.
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