Calcio
Racconti Mondiali – I leoni di Metsu (2/3)
Il 31 maggio è il giorno di Francia-Senegal. Ma prima un passo indietro. Anzi lontano, che parte dal Seoul World Cup Stadium e percorre più di 13.000 chilometri, arrivando nell’Africa Occidentale, sotto il sole della capitale Ndakaaru.
È proprio qui infatti, alle spalle del quartiere popolare della Medina, che si trova il centro di formazione dei giovani calciatori del paese. Una palazzina modesta, due piani e un giardino, fondata grazie alle sovvenzioni del club del Monaco, con cui lo stesso centro ha un accordo di diritti d’opzione sui giocatori. I soldi da spendere tuttavia sono pochi, circa 120.000 euro l’anno, cifra che rende possibile un’organizzazione poco più che essenziale, se non chiaramente deficitaria. La scarsità di mezzi e strutture, tuttavia, non mina l’orgoglio di chi la gestisce, come racconta il direttore Abdoulaye Atta Ndyae in un’intervista a Repubblica nel giugno 2002, ma in cambio riflette perfettamente lo stato della nazionale dei leoni nel periodo immediatamente precedente all’exploit asiatico.
Prima dell’emblematico Metsu, la squadra era infatti affidata a quella che si può probabilmente porre come la sua perfetta antitesi: Peter Schnittger, tedesco, profeta della tattica ma anche della ferrea disciplina e del “rigore estetico”. Arriva a imporre i suoi canoni anche nella nazionale africana, e come prevedibile attuare politiche come il divieto di portare capelli lunghi o il poter ascoltare musica nello spogliatoio ne allontana la maggior parte dei giocatori, o almeno quelli di maggior talento, che giocano tutti in Europa.
Poi giunge appunto lui, il misticheggiante coach francese dal corpo scolpito, statura media, capello lungo e biondo d’altri tempi, con alle spalle una carriera modesta da calciatore e parallelamente anche da tecnico, che, dopo aver lasciato la Guinea nel 2000 (con risultati rivedibili), viene chiamato alla guida del Senegal.
Metsu, che si definisce “un bianco col cuore da nero”, riesce a ricreare un ponte coi club europei e a intercettare nuovamente lo spirito dei calciatori più decisivi – Fadiga, Diouf e Cissè su tutti – convincendoli a tornare in nazionale. Quindi intercede per un contratto milionario con la LeCoq Sportif. Ma la sua “immersione” in una nuova realtà è incredibilmente più radicale: impara a parlare il wolof (la lingua locale), sposa una donna senegalese, si converte addirittura all’Islam. Nel frattempo, rivoluziona i vecchi dettami dell’allenatore teutonico e imposta un approccio di stampo totalmente diverso, imperniato su libertà e totale fiducia garantita ai giocatori. Questi lo ripagheranno con dei risultati altisonanti, mai raggiunti in precedenza dalla nazionale dei leoni.
Il Senegal si ritrova, all’inizio del nuovo millennio, in un complicato girone di qualificazione per il mondiale cui all’interno figurano Egitto, Algeria e soprattutto Marocco, protagonista due anni prima nel torneo di Francia ‘98.
I verdi arrivano primi sorprendendo tutti, con una squadra in cui brilla il talento di El Hadji Diouf (8 reti), scuola Lens, che vincerà nei due anni successivi il pallone d’oro africano. Fondamentale la data del 14 luglio 2001, giorno in cui sarà proprio Diouf a siglare il gol decisivo che abbatterà il Marocco e spianerà la strada al passaggio del turno. Il Senegal diviene quindi una delle quattro squadre (assieme a Cina, Ecuador e Slovenia) esordienti assolute in una Coppa del Mondo, e nel frattempo si prepara a giocare la Coppa d’Africa, prevista sempre nel 2002.
L’edizione in questione si tiene in Mali, e il Senegal finisce nel girone con Tunisia, Zambia e nuovamente Egitto. Con due vittorie e un pareggio, gli uomini di Metsu vincono ancora il loro raggruppamento, e così fanno anche ai quarti e in semifinale, eliminando Congo e Nigeria. La finale li vede contrapposti alla big del calcio africano dell’epoca, il Camerun guidato dalla stella Samuel Eto’o: si fermerà proprio qui il cammino dei leoni, ma solo dinanzi a tre sfortunati errori dagli undici metri.
Il 10 febbraio, con molte delusioni ma anche un nuovo bagaglio di consapevolezze, si conclude la Coppa d’Africa. Circa quattro mesi dopo gli stessi uomini, accompagnati per l’occasione da un marabout, uno “stregone ufficiale” – tal Linguel Ngoy Mbaye – partono per la rassegna mondiale organizzata nell’altra parte del globo godendo sulla carta dello stato di outsider, ma in verità visti come vittime sacrificali di un girone che vede la Francia campione del mondo in carica, il classico Uruguay e la Danimarca campione d’Europa nel decennio precedente.
Tuttavia ancora una volta, come nel suo intero percorso iniziale, Metsu stupirà il pubblico internazionale con i suoi ragazzi terribili, e inizierà a mostrarne le qualità proprio dalla partita d’esordio – del suo Senegal ma anche dell’intero torneo – in cui sfiderà i campioni transalpini guidati da Zinedine Zidane.
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