Calcio
Storie: Nii Lamptey
Molte qualità servono per affermarsi nel calcio. Spirito di sacrificio, predisposizione fisica, capacità tattica e conoscenza dei fondamentali, unite a un po di fortuna, possono portarti ad essere un buon giocatore. Ma senza il Talento, quello con la T maiuscola, non sarai mai un fenomeno. E’ il talento, una qualità innata, a fare la differenza tra essere un buon calciatore ed una stella mondiale. Il talento puro, quello che non si insegna, quello che non si spiega.
Nii Odartey Lamptey di Talento ne aveva da vendere. Eppure, dopo un inizio sfolgorante, la sua carriera è diventata via via sempre piu’ tortuosa, sempre piu’ lontana dai percorsi calcistici che contano, fino a fare sbiadire il suo nome, che oggi è conosciuto da pochi appassionati.
Questa è la storia di un ragazzo che da piccolo superò mille difficoltà grazie al suo talento ma che poi non riuscì a diventare un uomo, finendo per essere risucchiato nella periferia estrema del pallone. Un ragazzo che, però, non si è mai arreso. Meteora o sopravvissuto?
Questa è la storia di Nii Lamptey.
La vita non è facile per un bambino che nasce in Ghana. Crescere per le strade della periferia di Accra non è il sogno di nessuno, e ancora meno se tornare a casa vuol dire essere maltrattati da un padre alcolizzato, che arriva a spegnere le sigarette sulla pelle di un bambino di 5 anni. Questa era la vita del giovane Nii, che molto spesso scappava di casa trovando rifugio la notte sotto le auto parcheggiate in compagnia dell’inseparabile amico pallone. Di scuola manco a parlarne, quel tipo di vita non avrebbe permesso a nessuno di studiare con profitto, e così le assenze dai banchi diventarono superiori alle presenze, fino a quando la possibilità di avere un istruzione adeguata svanì.
Al piccolo Nii rimaneva il talento calcistico, coltivato tra polvere e miseria in una piccola squadretta di bambini: il padre non veniva quasi mai a guardare il figlio, la stellina di quella formazione, ma le rare volte che accadeva era un continuo criticarlo e offenderlo al primo minimo, rarissimo tra l’altro, errore.
Quando Nii ha 8 anni i genitori divorziano, la madre si risposa ma il patrigno è subito chiaro: lui quel bambino in casa non lo vuole. “O lui o me”, intima alla madre, che innaturalmente sceglie di allontanare per sempre l’incolpevole figlio da se.
Nii vivrebbe nella povertà piu’ completa, finirebbe per essere uno dei tanti bambini africani abbandonati e morti di inedia, ma ancora il suo Talento lo salva: trova rifugio in un Campus Calcistico Musulmano, dove trova finalmente una specie di famiglia. E’ una vita durissima, con tanti bambini nelle sue condizioni, ma è comunque una vita normale per chi, come il piccolo Nii, a 8 anni ha già vissuto ogni crudeltà possibile.
Il padre ricompare al Campus quando il figlio si è convertito all’Islam, atto necessario per essere accolto in quella piccola realtà calcistica. Ne nasce quasi una rissa, poi il padre scompare e per molti anni sarà solo un brutto ricordo.
In questo Campus il giovane Lamptey cresce e diventa un ragazzo, e soprattutto vede esplodere il suo talento: a 14 anni è già la stellina della Under-16 ghanese che, nel 1989, gioca i Mondiali di categoria in Scozia. Queste prestazioni gli valgono l’attenzione di un procuratore, che riesce a portarlo in Belgio e a sottoporlo ad un provino per l’Anderlecht, una delle squadre piu’ forti e famose del paese.
Sono necessari pochi minuti e pochi, felpati, tocchi per far capire alla dirigenza che c’è poco tempo da perdere e ancora meno dubbi da porsi: quel ragazzo ha Talento, bisogna assicurarsene immediatamente le prestazioni. Nii ha 15 anni, una vita burrascosa alle spalle e un avvenire sicuro davanti a se. O almeno così crede.
Già, perché il contratto quinquennale che sottoscrive con il team belga lui non lo legge: non sa ne leggere ne scrivere, se ne occupa il suo procuratore, che però tutto è tranne che un buon uomo delle favole che pensa al bene di chi si fida di lui.
Fatto sta che ad appena 16 anni Lamptey fa il suo esordio nella massima divisione belga, la Pro League, indossando la gloriosa maglia bianco-malva dell’Anderlecht. Non è certamente un esordio come tanti: la squadra ha chiesto ed ottenuto dalla federazione belga un cambiamento alle regole che non permettono agli extracomunitari sotto i 18 anni di giocare, e così Nii diviene il piu’ giovane esordiente di sempre del calcio belga.
Ed eccolo, “il nuovo Pelé”, che corre finalmente libero, finalmente felice, e che segna. Ovviamente è anche il piu’ giovane marcatore di sempre, e alla fine sono 9 reti in tre anni, dove gioca 30 gare perché l’allenatore, l’olandese Aad de Mos, vuole curarne la crescita con calma. Si rende conto infatti della fragilità del ragazzo, a discapito del talento: è un campione, ma deve essere anche un uomo. Soprattutto un uomo.
Al secondo anno in Belgio guida la Nazionale Under-17 del Ghana alla vittoria nei Mondiali di categoria, che si svolgono in Toscana. Giocando da mezzapunta, Lamptey da spettacolo, mettendo in mostra il meglio del suo repertorio: una velocità fulminante, forse sviluppata fin da bambino per sfuggire alle botte del padre, abbinata ad un tocco di palla delizioso, ad una visione di gioco istintiva così come istintivo è il “feeling” con i suoi compagni, una generazione di presunti futuri fenomeni chiamati “Le Stelline Nere”.
E’ lo stesso Pelé a nominare Lamptey il suo erede designato, vedendo sul campo le meraviglie che quel ragazzo sa fare: non solo crea, ma conclude molto bene, laureandosi capocannoniere e miglior giocatore del torneo. In quel torneo giocano anche future stelle come Veròn, Gallardo, Del Piero: ma Lamptey brilla sopra tutti loro.
La sua carriera internazionale, di lì a poco, è incredibile: a discapito dei 16 anni e del Mondiale Under-17 appena concluso (e vinto) viene chiamato nella Under-20, che vince la Coppa d’Africa di categoria e quindi, qualche mese dopo, nella squadra olimpica, che con un età media di appena 18 anni e mezzo diventa la prima nazionale calcistica africana a conquistare una medaglia olimpica.
Tutti questi viaggi non permettono a Lamptey di esprimersi a dovere con l’Anderlecht, ma lo fanno diventare una stella nel suo Paese: a 17 anni ha già esordito (segnando) nella Nazionale Maggiore, e da titolare è arrivato secondo alla Coppa d’Africa degli adulti, dove ha giocato insieme ai suoi idoli Tony Yeboah e Abedì Ayew.
Il 1993 è l’anno del salto di qualità: pur non essendosi ancora espresso a dovere in un campionato europeo, le sue prestazioni con le varie rappresentative nazionali valgono come biglietto da visita per il passaggio ad un campionato calcisticamente migliore.
Lamptey lascia il Belgio e raggiunge l’Olanda, accasandosi nel prestigioso PSV Eindhoven.
La sua esplosione non si ferma, anzi: in una stagione, e in un campionato piu’ competitivo, Nii segna 10 reti, una in piu’ di quelle realizzate in 3 anni in Belgio, in appena 22 gare.
Abbaglia, stupisce. Un talento così cristallino, quanti anni era che non si vedeva?
E invece quella è l’ultima stagione felice di Nii Odartey Lamptey.
Il suo procuratore lo vende all’Aston Villa di Ron Atkinson. Tecnicamente è un incredibile passo indietro, paragonando il blasone delle due squadre, e inoltre vede Nii passare da un campionato dove stava affermando prepotentemente le sue doti ad un altro mondo calcistico, quello inglese, completamente differente. A soli 20 anni, e solo per intascare il 25% del costo del cartellino, fregandosene quindi del fragile talento che ha tra le mani.
All’Aston Villa Lamptey è una completa delusione, il gioco è troppo fisico ed il clima deprimente, e “il nuovo Pelé” gioca poco piu’ di una decina di gare segnando solo in Coppa di Lega: viene spedito quindi al Coventry City, in prestito. E’ la stagione 1995/96, Lamptey ha appena 21 anni ma la gloria è incredibilmente già alle spalle. E’ depresso, si sente usato, non riesce piu’ a sfoderare i suoi trucchi migliori. 6 presenze appena, ovviamente 0 reti.
Addio Inghilterra.
Ad appena 22 anni “il nuovo Pelé” non può aver perduto tutta la sua magia. Forse ha solo bisogno di ricominciare dove tutto era iniziato. Ed eccolo così in Italia, dove aveva vinto il suo primo trofeo internazionale e dove si era imposto agli occhi del mondo e di Pelé, quello vero. E’ l’ambizioso Venezia dell’ambiziosissimo presidente Maurizio Zamparini a metterlo sotto contratto, ciliegina di una torta che punta decisamente alla Serie A.
Persino troppo decisamente: la zona-promozione sfugge quasi subito, il presidente da il via alla consueta girandola di allenatori e a farne le spese sono i giovani, che non vengono mai lanciati nel paese che piu’ di tutti ha la cultura del risultato a tutti i costi. Lamptey mette insieme appena 5 presenze in sei mesi, quindi a gennaio viene ceduto in Argentina, all’Uniòn Santa Fe’. Ve lo immaginate un giovane ghanese in Argentina? Ecco, appunto.
Appena 6 presenze in sei mesi, ma qualcosa cambia nella vita di Nii, che vede morire il suo terzo figlio. Lo aveva chiamato Diego, forse in omaggio a Maradona, l’antitesi di Pelé, forse anche per dimenticare lo scomodo paragone che lo ha accompagnato troppo precocemente. Il bambino, colpito da una rara malattia, diventa un caso quando le autorità ghanesi vietano a Nii e alla moglie di seppellirlo in patria, quella patria per cui aveva da sempre lottato sacrificando anche la sua carriera personale. Per Lamptey è un colpo durissimo, che lo porta a considerare l’abbandono del calcio. Ha appena 23 anni.
Si riprende, cerca ed ottiene un ingaggio in Turchia, nell’Ankaragucu: appena 10 presenze ed una rete, e ancora un trasferimento. Ancora un paese nuovo.
Stavolta tocca al Portogallo, al modesto Uniaio Leira, che appena un paio di anni prima mai avrebbe immaginato di vestire con la sua maglia l’erede di Pelé: ma nel calcio non si vive del passato, il Lamptey “portoghese” è una copia sbiadita del talento che era.
Sono appena 7 le presenze in una stagione, senza squilli di tromba. L’ennesimo fallimento.
Sotto con la seconda divisione tedesca, il Greuther Furth: il livello tecnico mediocre del campionato permette finalmente a Lamptey di esprimersi a dovere, ma sono comunque due anni maledetti. Nii abbandona l’Islam e si riappacifica finalmente con il padre, ma pochi mesi dopo le conseguenze di una vita dedicata all’alcool portano alla morte dell’uomo. Il ragazzo (ha ancora appena 25 anni) subisce inoltre un incredibile atto di razzismo, quando durante una trasferta i suoi compagni rifiutano di dormire con lui in albergo. Un altro figlio, una femmina, muore dopo pochi mesi dalla nascita. I Lamptey sono scioccati, e abbandonano la Germania per l’Asia, la Cina.
Il Campionato Cinese, nei primi anni del 2000, è ben lontano da quello milionario di oggi: tuttavia Lamptey si accasa nello Shandong Luneng e finalmente ritrova il sorriso. Sono i due anni che egli stesso descriverà come “i piu’ felici della mia vita”: finalmente accettato dai compagni e idolatrato da tifosi e stampa locale, Nii ritrova il gusto di giocare a calcio, e sfodera prestazioni alla sua altezza, una cosa che non si vedeva da anni.
Nel 2003-2004 arriva un offerta in petrodollari dalla ricca lega araba, e così si trasferisce all’Al-Nasr di Dubai, dove però non fa la differenza come il ricco ingaggio richiede e dopo appena una stagione viene ripudiato dai dirigenti, che lo avevano accolto come la stella della squadra e lo avevano riempito, come tanti nella sua vita, di promesse e basta.
Poco piu’ che trentenne Lamptey torna in Ghana, ed è la prima volta che una stella locale torna a casa nella veste di calciatore: si accasa all’Asante Kotoko per una stagione, prima di compiere l’ultimo viaggio della sua carriera, un biennio nei sudafricani del Jomo Cosmos, la squadra del “Principe Nero” Jomo Sono, uno che ha giocato con Pelé nei Cosmos di New York. Corsi e ricorsi storici.
Qui termina la carriera di Nii Odartey Lamptey, che poi viene chiamato dal suo amico Charles Akonnor, divenuto allenatore, a fare da secondo in un club ghanese prima di dedicarsi completamente alla sua scuola calcio, la “Golden Lions Academy”, con la quale si prefigge l’obbiettivo di togliere i bambini dalla strada e di indirizzarli al calcio.
Dove, magari, i piu’ talentuosi potranno costruirsi una carriera migliore della sua proprio grazie alla sua guida e alla sua sfortunata esperienza.
Lamptey non è stato un bidone, e non è stato un fallimento.
Lamptey è stato un bambino con un infanzia orribile salvato dal suo Talento, che però ha trovato individui senza scrupoli che lo hanno usato e gettato via. Anche se il suo sogno di gloria si è presto interrotto, è riuscito a superare difficoltà enormi e adesso sorride ripensando alla sua storia e cerca di fare in modo che non si ripeta.
“Mi considero un sopravvissuto”, dice.
E non si può che dargli ragione.
Continua a leggere le notizie di 1000 Cuori Rossoblu e segui la nostra pagina Facebook