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Calcio

Thank You Sir Alex – 9 Maggio

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Ogni anno, negli ultimi sei anni, doveva essere quello del suo ritiro che, puntualmente, non annuciava mai. Il tecnico scozzese, ormai 71enne, era considerato un Highlander, immortale, predestinato per sempre alla panchina dell’Old Trafford, la tana dei suoi Red Devils.
Il tecnico, nato a Glasogw l’ultimo dell’anno del 1941,  lascia il Manchester United dopo 27 anni e 38 trofei: nessun allenatore è stato più vincente di lui in uno stesso club. Artista del modo di preparare le partite, con moduli e tattiche che spesso lo rendevano un vero imperatore nel mondo del calcio, lascia con l’ultimo trofeo, il 38esimo, appena vinto: l’ultima Premier League conquista virtualmente il 22 di aprile, con una vittoria firmata da una tripletta di Robin Van Persie, il nuovo campione dei Red Devils. 

Queste le sue parole di commiato che ha rilasciato nella conferenza di addio al calcio:” Ho riflettuto a lungo, non è una decisione che si può prendere a cuor leggero, ma ho deciso di ritirarmi. E’ il momento giusto“. Una scelta non semplice da parte di chi  segnato più di ogni altro la storia del calcio mondiale, dopo un periodo plurivittorioso durato 27 anni, con un unico club che ha portato sulla cima del mondo. Ma Alexander Chapman Ferguson aveva capito che a 71 anni dopo il tredicesimo campionato appena conquistato alla guida dei Red Devils, era arrivato il momento e con lo stile, che lo ha sempre contraddistinto, ha salutato quel mondo del calcio che lo ha reso famoso. Nel futuro gli studiosi, analizzando il calcio del dopoguerra, lo divideranno secondo le varie età storiche cadenzate dall’ex tornitore del porto di Glasgow: capace di anticipare tutte le trasformazioni del calcio moderno, e di governarle con l’autorità e il carisma di chi ha sempre avuto leadership da vendere e grande autonomia di pensiero.

Uomo di grandissima personalità, si è sempre esposto in prima persona, con quel suo corpo da manovale e quel faccione rubizzo, assumendosi le responsabilità delle grandi sconfitte, come quella nell’ultima finale di Champions giocata, il 28 maggio 2011, contro il Barcellona. Un grande  condottiero, ha sempre incarnato il vero spirito dello United, con quella passione che gli ha permesso in oltre cinquanta anni di calcio di diventare una leggenda fra gli allenatori di tutti i tempi. Nato durante la guerra a Govan, sobborgo di Glasgow, come tutti i ragazzi cresciuti in quelle strade a 16 anni comincia a lavorare come tornitore al porto. Qui, la sua autorevolezza lo porta a diventare sindacalista, a esporsi anche a tutela dei più anziani. “Ero socialista – scriverà anni dopo nella sua autobiografia – e pur non abbassando mai la testa di fronte ai padroni, non riuscii ad ammetterlo davanti a mia madre“.

Le sere, dopo il lavoro, gioca a calcio nel Queen’s Park.  E’ tra il tornio e i campi di periferia scozzese, che Sir Alex consolida la sua tempra d’acciaio. Da calciatore vince un titolo di capocannoniere e gioca per due anni nei Rangers Glasgow, la squadra protestante della città, mentre la squadra rivale da sempre, è quella dei Celtic, di matrice cattolica. Ma se da giocatore non ha lasciato pagine memorabili, da allenatore sarà in grado di toccare l’apice della storia del pianeta calcio. L’esportazione della rivoluzione pallonara Ferguson la comincia nel 1978, quando diventa tecnico dell’Aberdeen, con cui riesce a rompere il duopolio scozzese di Rangers e Celtic e a vincere tre campionati.

Qui realizza l’impresa più bella. Nel 1983 a Goteborg sconfigge 2-1 ai supplementari il Real Madrid in un’indimenticabile finale di Coppa delle Coppe. Il dado è tratto: è uno dei migliori ‘manager’ britannici, nella scia dei grandi Shankly e Clough. Sono i tempi in cui, per comprare un giocatore, il tecnico sale in macchina e va a trovarlo a casa, sperando di arrivare prima dei rivali. In cui gli allenamenti sono esercizi basilari di educazione fisica, misti a partitelle sul campo. E lui è il migliore. Dopo aver guidato la Scozia ai mondiali di Messico ’86, è chiamato dal Manchester United che non vince da 26 anni. E’ la terza fase dell’era Ferguson: il regno. Di nome, e poi di fatto quando nel 1999 viene insignito del titolo di baronetto dopo la storica treble: la vittoria nello stesso anno in Premier League, FA Cup e Champions League.

Il suo regno  è suddiviso in microere della durata di 5 anni. Ha già compreso, in anticipo sui tempi, che il vecchio ‘manager’ all’inglese è superato, e si propone come uno dei maggiori innovatori dal punto di vista tattico. L’inizio è difficile, ma non demorde. Non segue solo la prima squadra, si occupa maniacalmente della crescita e dell’educazione dei soldati del futuro. Con l’arrivo del francese  Cantona, di Giggs (celebre la frase che disse di lui “Quando lo vidi per la prima volta galleggiava sull’erba come un cocker”) di Beckham (cui anni dopo uno scarpino in faccia ricorderà il rispetto per chi guida) comincia la seconda fase: quella del posizionamento interno. E arrivano le prime vittorie.

Poi è la fase dell’espansione oltre i confini. Anche in Europa si dimostra un passo avanti ai rivali: la vittoria con due gol in pieno recupero contro il Bayern Monaco nella finale di Champions League del 1999 è da leggenda.  Resiste alla prima ondata della nouvelle vague, e poi alla seconda e alla terza. In casa ha la meglio sui vari Wenger, Mourinho e Ancelotti. In Europa conquista un’altra Champions e poi perde due finali in tre anni contro il Barcellona di Guardiola, di 30 anni più giovane di lui. Ma è sempre lì. L’anno scorso è eletto migliore allenatore del XXI secolo, quest’anno vince il suo 38mo trofeo alla guida del Manchester United, il 49mo di un’incredibile carriera, e annuncia il ritiro. . “E’ il momento giusto”. Il suo posto è nella storia dei vincenti. Grazie Sir Alex per le indimenticabili pagine di storia del calcio che ci lasci.

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