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Calcio

TOP 11: I Capitani più rappresentativi di sempre (Italia) (2^ parte) – 25 feb

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Il ruolo del Capitano è un ruolo delicato: sebbene ogni squadra e ogni allenatore abbia il proprio metodo per sceglierlo, di solito finisce per essere il giocatore più rappresentativo della squadra, colui che meglio di chiunque altro sa incarnare fedeltà, bravura, spirito di gruppo. Avere un buon Capitano può significare la possibilità di trasformare una sconfitta in vittoria, viceversa una squadra priva del giusto leader può perdersi quando la tensione si alza. La storia del calcio è piena di grandi capitani, ogni squadra ne ha avuto almeno uno storico, questo è semplicemente un mio tentativo di citare i più rappresentativi. Per togliermi da ogni imbarazzo ho deciso semplicemente di andare a istinto, scrivendo i nomi man mano che mi venivano in mente. Naturalmente ognuno di voi potrà, se vorrà, stilare la propria personale classifica tenendo conto dei parametri che più preferisce. 

QUI la prima parte, con le posizioni da 11 a 6.

05 – Giacinto FACCHETTI (Inter)
Cresciuto in quegli oratori che ora non ci sono più, si distingue come atleta completo e – nel calcio – come promettente attaccante. All’Inter però “il Mago” Helenio Herrera la vede diversamente: in una squadra che esalta il gioco difensivo, Giacinto Facchetti diventa il terzino d’attacco, il primo di cui si ha memoria in Italia. Il suo arrembare sulla fascia sinistra mette in subbuglio le difese: fermarlo quando è lanciato è difficile, i suoi fondamentali (cross, dribbling) sono perfetti, il tiro da fuori una sentenza. A fine carriera avrà segnato, in 634 partite tutte in maglia nerazzurra, 75 reti e ne avrà procurate almeno il doppio. Non solo capacità offensive, però: Facchetti è un difensore completo, puntuale in marcatura, preciso nell’anticipo e mai falloso. Fuori dal campo non è da meno: corretto, sportivo, mai un comportamento fuori posto. Della “Grande Inter” di Angelo Moratti è l’anima, il leader, il simbolo: un difensore che attacca in una squadra che difende, la miglior dimostrazione del calcio e della filosofia di Helenio Herrera. A livello di club conquista tutto: 4 Scudetti, 2 Coppe dei Campioni, 2 Intercontinentali, una Coppa Italia. In Nazionale non è da meno: gioca 94 partite nell’arco di 13 anni, conquistando da capitano l’Europeo del 1968 ed arrivando in finale a Mexico ’70. Si ritira a 36 anni, rimane nell’Inter fino alla fine: muore poco più che sessantenne per un tumore al pancreas che non gli lascia scampo, affidando a Javier Zanetti quel ruolo che ha ricoperto per tutta la vita. Essere il simbolo dell’Inter.

04 – Valentino MAZZOLA (Torino)
Nello Stadio “Filadelfia”, quando giocava “il Grande Torino”, accadeva spesso una scena nelle rare occasioni in cui i granata soffrivano: dagli spalti si alzava lo squillo di una tromba, capitan Mazzola si arrotolava le maniche e indicava ai suoi la porta avversaria, che finiva immancabilmente sommersa di gol. Interno sinistro – ma capace di giocare in qualsiasi ruolo e zona del campo – Valentino Mazzola per molti è stato il più forte calciatore italiano di sempre e tra i più forti al mondo. Portentoso fisicamente, straordinariamente completo tecnicamente, dotato di una visione di gioco fenomenale, Mazzola abbinava a tutte queste qualità una capacità di leadership che gli portava l’adorazione dei compagni ed il rispetto di ogni avversario, che rimaneva stregato da quello che questo “alieno del pallone” sapeva fare. Con il partner offensivo Loik si mise in mostra nel Venezia, e quando il duo passò al Torino ne decretò la trasformazione in “Grande Torino”. In granata vinse 5 Scudetti e si guadagnò fama immortale, resa ancora più grande dalla morte, giunta a trent’anni nel famoso schianto di Superga in cui perì l’intero squadrone granata. Pur se tecnicamente era un portento, Mazzola non amava i fronzoli inutili, e puntava dritto al gol forte di un dribbling e di un tiro straordinari che univa ad uno scatto da velocista e ad una resistenza da fondista. Non era raro vederlo anche in difesa: una volta in un derby contro la Juventus bloccò di tacco un tiro a botta sicura di Boniperti, capovolse l’azione in pochi istanti e con un tiro imparabile segnò il gol della vittoria. Da allora il grande giocatore juventino, che di calciatori ne ha visti tanti, ha sempre detto che si, ci sono stati dei grandissimi, ma nessuno forte come Mazzola, il capitano e la stella del Grande Torino. La guerra prima e il fato poi gli tolsero la gloria con la maglia azzurra della Nazionale, ma il suo è un mito che rimane ancora oggi vivo nella memoria di chiunque ami il calcio nella sua essenza. Perché Valentino Mazzola fu, semplicemente, il calcio nella sua essenza.

03 – Alessandro DEL PIERO (Juventus)
705 presenze e 290 reti nell’arco di oltre venti stagioni. Nella squadra più ricca e vincente d’Italia, che ha avuto al suo servizio centinaia di campioni, il più longevo, il più presente, il più “tutto”. Alessandro Del Piero, arrivato ragazzo e capace in un anno di prendersi il posto di Roberto Baggio, è stato il calciatore che più di tutti ha rappresentato la Juventus nella sua pienezza. Classe in campo e fuori, mai un atteggiamento fuori dalle righe, un’umiltà inaspettata da quello che a tutti gli effetti si può definire uno dei calciatori più forti di sempre. In bianconero ha segnato più di un’epoca: giovanissimo ha riportato la squadra alla vittoria, è stato bomber e fantasista, quindi leader sul finire degli anni ’90, quando nel periodo delle “sette sorelle” la Juventus faticava a imporre la sua leadership. Se ce l’ha fatta è stato anche grazie a questo campione straordinario, letteralmente resuscitato sportivamente dopo un grave infortunio che sembrava averlo distrutto. È tornato più forte, invece, mettendo la sua classe sconfinata al servizio della squadra prima e tornando a splendere poi. Amato non solo dai tifosi juventini per la sua straordinaria abilità calcistica ma anche per l’enorme semplicità, innamorato dei colori bianconeri al punto da scendere in Serie B da Campione del Mondo, nel 2006. Una vittoria, quella con l’Italia, che lo ha messo in pari con le tante esperienze precedenti, sfortunate e dove spesso aveva finito per recitare la parte del capro espiatorio. Invece, nella magica estate tedesca, nella vittoria di tutti recitò la sua parte segnando il gol della definitiva vittoria in semifinale contro la Germania. Difficile raccontare Del Piero più di quello che possono fare le immagini: i gol “alla Del Piero”, di destro a rientrare da appena fuori area, le gemme straordinarie contro la Fiorentina (pallonetto al volo su Toldo) e contro il River Plate, quando consegna l’Intercontinentale al club torinese. Tanti gol, tante partite, tante vittorie, una leadership gentile e quasi silenziosa ma che sul campo si è fatta sentire: in bianconero per lui 6 Scudetti, la Champions e l’Intercontinentale. Se ne è andato in polemica con la società, ma tornerà: per molti, infatti, Del Piero e la Juventus sono e saranno sempre una cosa sola.

02 – Franco BARESI (Milan)
Scartato da ragazzo dall’Inter, che lo ritiene gracilino e che punta forte sul fratello Beppe, Franco Baresi approda al Milan e da lì si impone subito come un difensore dalle qualità incredibili, uno dei migliori che il calcio italiano abbia saputo esprimere nella sua storia. Dotato di visione di gioco e grandissimo senso dell’anticipo, Baresi ha inoltre una grande falcata che gli permette di avanzare palla al piede e di recuperare facilmente sull’avversario lanciato a rete. Si impone in rossonero quando “il Diavolo” finisce in B per il calcio-scommesse, ancora giovanissimo. Liedholm stravede per lui, ma l’esplosione arriva quando sulla panchina del club siede Arrigo Sacchi: è Baresi, con la sua intelligenza tattica e la grande velocità, a permettere ai rossoneri di giocare con una linea difensiva che porta il fuorigioco quasi fino a centrocampo. La squadra così risulta cortissima, il pressing asfissiante, i lanci per gli attaccanti avversari vengono sistematicamente annullati da una tattica del fuorigioco perfetta: nelle rare occasioni in cui questa fallisce Baresi sa come recuperare, in velocità e con l’esperienza. Non che disdegni il gioco duro e falloso, è del resto un difensore completo e che pensa sempre, in ogni occasione, a mettere al sicuro la squadra. Tuttavia, considerati i rischi che si prende, non risulta poi particolarmente cattivo. Quello che rimarrà negli occhi e nella memoria dei tifosi italiani, tuttavia, è l’enorme carisma che porta tanti a credere che sia lui in pratica a chiamare il fischio dell’arbitro sull’off-side avversario: quando alza la mano per chiedere il fuorigioco, 9 volte su 10 ci ha visto bene, e non accade di rado che la decima volta l’arbitro fischi comunque. Sulla fiducia. Leader straordinario, giocatore esempio di classe, forza, intelligenza e fedeltà, nel Milan gioca per venti stagioni, di cui quindici da capitano: 719 le partite, 6 Scudetti, 3 Coppe dei Campioni e 2 Intercontinentali. Con la Nazionale è sfortunato: vince da riserva il Mondiale del 1982, mentre nel 1994 è protagonista di un recupero portentoso che gli permette di recuperare da un gravissimo infortunio in meno di un mese, in tempo per la finale persa ai rigori contro il Brasile, dove con grande carisma accetta la responsabilità di calciare uno dei tiri dal dischetto ma finisce per sbagliarlo. Le sue lacrime di delusione sono uno dei simboli del Mondiale americano. Una sconfitta che ne mostra il lato umano ma che non ridimensiona affatto la grandezza del campione.

01 – Francesco TOTTI (Roma)
Senz’altro ci sono stati capitani più vittoriosi di lui, campioni di pari spessore e che hanno però alzato decine di trofei, ma forse nessuno come Francesco Totti ha saputo diventare con il passare del tempo l’identificazione stessa della squadra che ha guidato. Una storia d’amore iniziata quando Francesco era un bambino, “romano de Roma” e tifoso dei giallorossi. Carlo Mazzone lo lancia nel grande calcio, Zdenek Zeman – che di giovani se ne intende non poco – lo affina, il resto poi è in gran parte farina del suo stesso sacco. Perché Totti, campione completo, fantasista in un fisico da centravanti e capace dalla trequarti in avanti di fare quel che vuole, deve il segreto del suo successo e della sua longevità ad una serie di scelte: allenarsi con cura, essere un professionista impeccabile, decidere di restare per sempre nella Roma, nella SUA Roma, dove surclassa uno dopo l’altro tutti i più grandi idoli del passato, da Falcao a Conti, da Amadei a Giannini. Campione vero capace di fare con i piedi quel che vuole, Totti gioca per se stesso, i compagni, i tifosi: sa effettuare lanci lunghi, è abile nel dribbling, intelligente tatticamente e i suoi tiri sono fenomenali. Un portento sui calci da fermo, un leader, un centravanti ed un perfetto uomo-assist. Più di tutti, poi, un romano, romanista, un tifoso in campo. In carriera per adesso ha giocato più di 700 gare in giallorosso, segnando quasi 300 reti: non è un mistero, insegue Silvio Piola, miglior marcatore di sempre in Serie A in un’epoca in cui però i gol giungevano da meno marcatori. Avesse sempre giocato centravanti chissà, invece il suo è sempre stato un gioco al servizio di altri grandi campioni ma dove comunque la rete non è mai mancata, e spesso di pregevolissima fattura. In Nazionale ha rischiato di restare un incompreso, a volte anche vittima degli arbitri (Mondiali 2002) e di se stesso (Europei 2004) ma la vittoria del 2006, arrivata grazie anche ad un suo gol pesantissimo su rigore contro l’Australia, gli ha reso giustizia. Forse, più dell’identificazione con la squadra del suo cuore e della sua vita, il segreto di Francesco Totti è quello di essere sempre rimasto se stesso, semplice e innamorato del calcio e della Roma, a cui sogna di regalare ancora una vittoria dopo lo storico Scudetto del 2001 e con la cui maglia conta di inaugurare lo stadio attualmente in progettazione. Non sarà semplice, per quella data dovrebbe avere quasi quarant’anni, un’enormità per un calciatore, figuriamoci per un attaccante. Eppure l’impressione è che Totti appenderà le scarpine al chiodo quando lo deciderà lui stesso, e che quella data potrebbe essere molto in là da venire. E quando la carriera si concluderà? Nessuno può saperlo, ma la sensazione è che quello che è sempre stato sempre sarà: Totti e la Roma resteranno una cosa sola, perché Totti È la Roma. E del resto, come canta Venditti, certi amori non finiscono.

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