Calcio
Tutto calcio che Cola #22: Big Bang Conte – 16 lug
La notizia è fresca di ieri: Antonio Conte lascia improvvisamente la panchina della Juventus dopo tre anni di successi, lo fa a ritiro appena cominciato e con modalità che lasciano perplessi.
Lo fa per la preventivata mancanza di investimenti da parte della società, che d’altra parte accetta le dimissioni del tecnico che l’ha riportata in alto e in meno di 24 ore annuncia il suo sostituto, Massimiliano Allegri. L’evento assume ancora maggiore importanza se si pensa che c’è una panchina da CT dell’Italia al momento libera, e che questa rivoluzione – che per la Juventus difficilmente sarà indolore – cambia anche tutti gli scenari del calcio italiano.
Cambiano le cose, prima di tutto, per la stessa Juventus: che probabilmente si aspettava l’addio del tecnico visto il mancato rinnovo del contratto e le battute da parte di quest’ultimo sull’impossibilità di mangiare in un ristorante costoso con 10 euro in tasca. Dico probabilmente perché le tempistiche con cui viene scelto il sostituto di Conte sono perlomeno sospette: difficile pensare che una società come quella bianconera scelga un tecnico precipitosamente, più probabile che esistesse già una sorta di accordo o almeno un idea-Allegri in Corso Galileo Ferraris.
Conte lascia da vincente, e lascia coerentemente. Il prospettato mercato bianconero, dove si stenta a prendere Iturbe e Morata e dove si tentenna davanti alle offerte per Vidal, lo ha indispettito. Dopo il primo insperato Scudetto, i successivi due titoli nazionali hanno avuto il sapore per buona parte di stampa e tifoseria di qualcosa di scontato, persino dovuto: anzi al tecnico leccese sono spesso stati rimproverati i limiti di una Juventus che stentava in Europa, ignorando i risultati stupefacenti ottenuti nei confini nazionali. Dove la concorrenza non era esagerata, d’accordo, ma dove comunque non era scontato confermarsi e poi confermarsi ancora. Con un undici titolare indubbiamente forte, ma con un parco riserve formato da carneadi, escludendo forse il solo Marchisio. Una squadra, quella bianconera, costata (checché se ne dica) non poco e con una prospettiva di vita non lunghissima, vista l’età avanzata di buona parte dei suoi protagonisti.
Sarebbe stato impossibile ripetere o migliorare i risultati conseguiti in Serie A in questa stagione, un campionato vinto con oltre 100 punti conquistati. Per migliorare sarebbe dovuta arrivare la vittoria in Europa, una giungla dove anche i migliori possono cadere e dove basta una partita storta per rovinare tutto. Conte lo sapeva, ne era consapevole, e quando si è reso conto che per affrontare tutto questo avrebbe avuto una squadra probabilmente anche indebolita rispetto alla scorsa stagione ha preferito lasciare prima di doversi prendere eventuali colpe che non riterrebbe di avere, vista soprattutto la continua richiesta di un “rinnovamento globale” di una squadra come detto mediamente anziana e certamente logora.
Scelta comprensibile, come scelta comprensibile è quella di non spendere da parte di una società che evidentemente i soldi per maramaldeggiare sul mercato non li ha più. Sentir parlare di Cuadrado o Sanchez sembrava oggettivamente fantacalcio, ma anche gli stenti accusati nell’assicurarsi Iturbe e Morata denunciano una situazione economica non certo florida. Che poteva permettere qualche innesto solo a fronte di una cessione importante, che poi è come dire aggiungere qualcosa togliendo qualcos’altro. Il risultato, va da se, non cambia. Anzi, può rischiare di essere pure peggiore.
I tifosi juventini, in queste ore, sono divisi: chi contesta il tecnico che se ne è andato, chi la società che lo ha permesso o addirittura ne è stata la causa. Un errore, visto che tutto sommato le colpe non possono essere ne di chi lascia consapevole di avere un gruppo ormai spremuto ne di chi soldi da spendere proprio non ne ha. Ci si dimentica, probabilmente, del difficile momento economico che vivono sia l’Italia che il calcio italiano. Ci si dimentica che sono comunque arrivati, dopo il buio post-Calciopoli, tre scudetti consecutivi. Costruiti da questo allenatore e da questa società.
Che adesso riparte da Allegri, il quale si assume un peso importante: se vincerà, probabilmente, sarà solo merito di chi lo ha preceduto, creando gruppo e mentalità vincente, mentre se perderà (che significa semplicemente non arrivare ALMENO primo in campionato) i paragoni con chi lo ha preceduto si sprecheranno, così come i rimpianti. Una situazione difficile che l’ex-tecnico del Milan sembra pronto ad affrontare, dopo le stagioni certo non facili vissute in rossonero. Allegri si gioca tutto e nel modo più rischioso, visto che la squadra di quest’anno, a oggi, non appare di certo forte come le scorse stagioni e anzi la (si dice) probabile cessione di Vidal non aiuterà. A lui far sparire i dubbi, come quelli di una difficile convivenza con Andrea Pirlo, che lasciò il Milan proprio con il tecnico livornese in panchina.
Ma il tecnico livornese non è il solo a giocarsi tutto. Lo sono anche i giocatori juventini, che dovranno smentire chi teme che oramai appagati dai tanti titoli vinti, e senza più un sergente di ferro pronto a strigliarli, molleranno la presa. E lo sono, ça va sans dire, anche i diretti concorrenti dei bianconeri: Roma, Napoli, Fiorentina e Inter hanno un’occasione insperata per superare chi li domina ormai da anni e magari vincere lo Scudetto. Non sarà facile, certo, ma è sicuro che se dovessero fallire avrebbero un’aggravante in più, e cioè il non aver saputo approfittare nemmeno del difficile momento juventino. Se Garcia, Benitez, Montella e Mazzarri intendono smentire chi li definisce bravi solo a piangere beh, pochi dubbi, è questo il momento.
E Conte? Dire che tutto ciò sia accaduto per permettere il suo approdo in Nazionale è qualcosa al limite del complottismo. I mal di pancia dell’ex-tecnico bianconero sono iniziati ben prima del Mondiale, quando tutti si era più o meno fiduciosi e la FIGC aveva appena rinnovato il contratto a Prandelli. Lasciamo i deliri sensazionalistici fuori da questa vicenda e accettiamo una realtà che peraltro appare evidente: Conte se ne è andato perché avrebbe solo potuto fare peggio, perché quello che conquistava in Italia ormai veniva sminuito e perché nel pazzesco calcio di oggi devi sempre migliorarti oppure sarà un fallimento. Il calcio inglese, dove i cicli durano mediamente più a lungo e le annate storte vengono messe in conto e non sempre vengono imputate al solo tecnico, su questo avrebbe molto da insegnarci. E il fatto che secondo chi scrive Conte non abbia mollato per la panchina dell’Italia non significa ne che non allenerà gli azzurri ne che non sarebbe la persona più indicata. Anzi, il tecnico leccese sarebbe proprio l’uomo giusto per rivoluzionare l’Italia. Come del resto ha fatto con il calcio italiano semplicemente dicendo, una qualsiasi serata di luglio, “basta”.
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