Calcio
Tutto calcio che Cola #28: Definire “rosicare”, please – 07 ott
Sarebbe il caso che, nelle alte sfere del calcio, qualcuno prima o poi decidesse quando e come tentare di aiutare gli arbitri, dei quali ogni errore pesa e viene considerato nonostante la loro fallibilità sia una cosa conosciuta.
L’arbitro è umano e può sbagliare, ma evidentemente un concetto così semplice è difficile da passare in una cultura calcistica come quella italiana, sempre pronta a cercare complotti, a fornire alibi e al non riuscire ad immaginare che esistono anche persone serie che fanno il proprio lavoro al meglio pur non essendo appunto infallibili.
Il senso di Juventus-Roma 3-2, partita bella tra le due migliori squadre d’Italia, è tutto qui. Negli errori di Rocchi che indubbiamente determinano la gara e – al contempo – nell’ennesima occasione sprecata da parte di stampa, addetti ai lavori e tifosi di mostrare (per la maggior parte) una cultura superiore a quella di un ragazzino delle scuole medie.
Chiaro che l’arbitro ha sbagliato, così come chiaro è che i suoi errori sono costati la partita ad una Roma bella e sfortunata. Ed è vero, come ha sottolineato Totti a fine partita, che purtroppo certi errori capitano spesso e spesso, nel dubbio, il colore della maglia ha il suo bel peso nella decisione presa. A quel punto la Juventus poteva anche incassare la critica, ammettere che si, effettivamente qualcosa a suo favore è accaduto, e invece no: all’uscita legittima per quanto esagerata di Totti hanno fatto seguito quelle della dirigenza juventina, con Nedved che si è lanciato nell’improbabile e ripetitivo “in verità vi dico che ce l’hanno tutti con noi” che se per tre stagioni può essere stato comprensibilmente un modo per fare gruppo e motivare la squadra – oltre allo smaltire una Calciopoli che per chi ha fede bianconera è ritenuta ancora oggi un’ingiustizia – adesso sta diventando veramente stancante.
Non mi risulta, infatti – ma sarò certamente io l’anti-juventino invidioso e rosicone a prescindere – che gli arbitri abbiano poi così tanta paura di fischiare a favore della Juventus come sostiene l’ex-giocatore ceco.
Uscita sbagliata di Totti, replica peggiore di Nedved. E tralasciando il nullo valore alla discussione aggiunto su Twitter da Bonucci (un “sciacquatevi la bocca” figlio evidente di anni e anni di vittimismo juventino spesso basato sul nulla) va detto che alla Roma, comunque, non fanno bella figura: parlare di campionato falsato a ottobre appena cominciato, dopo una sconfitta che comunque ha anche altre responsabilità, mi pare un tantino esagerato. Così come il sottolineare che “da anni la Juve vince così”, come se gli oltre 100 punti dello scorso campionato fossero arrivati quasi per caso.
In mezzo orde di commenti e commenti, romanisti che pensano di essere stati scippati nell’ultimo decennio di buoni 6-7 titoli, juventini che persistono nel non voler riconoscere l’ovvio nemmeno quando è palese, opinionisti che in TV piuttosto che dare un’opinione fondata si lasciano trascinare da antichi rancori o da fedi calcistiche che hanno senso di esistere ma che non possono diventare accecanti quando si parla di “rivolgersi alla massa”.
Non è sicuramente un caso che le prime parole sensate sull’argomento, dopo ben due giorni, arrivino da James Pallotta. Non a caso un americano, popolo che – piaccia o non piaccia – sullo sport, il senso dello sport e della sportività è secoli davanti a noi. “Siamo due grandi squadre, diamoci una calmata, gli errori succedono.” Come sedare una rissa tra bambini piagnucolosi con poche sensate parole. Peccato che debbano arrivare sempre da fuori dei nostri confini, mentre chi vive il calcio da anni in Italia proprio non ce la fa.
Diventa stancante seguire questo calcio italiano. La ricerca del trucco psicologico a tutti i costi (che sia Mourinho ai tempi, Conte, Garcia), la cultura del risultato sopra ogni cosa – da cui nasce il penoso “di cosa parla ‘lui’ che non ha vinto niente?”, assunto che non ha ragione di esistere – ed il non saper riconoscere niente a proprio favore neanche quando è evidente. Sia chiaro, non è un attacco alla Juventus soltanto, dato che senza problemi ammetto di avere amici napoletani, romani e interisti che in ogni singola partita non riescono a riconoscere un fallo a sfavore come lecito neanche se il proprio beniamino stacca una gamba all’avversario. Ma nel caso della Juventus, purtroppo, questa cosa si ripete ormai un po’ troppo spesso anche a livello di giocatori e dirigenza, sicuramente meno scusabili dei tifosi per atteggiamenti sbagliati a prescindere ma a maggior ragione se dettati da ragioni di puro calcolo: il “cavalcare l’onda”, il creare odio per creare un gruppo, per far sentire chi veste o tifa bianconero “solo contro tutti”, può portare a dei buoni risultati sul campo ma fa del male al calcio italiano nel complesso. Un calcio – e questa è l’unica cosa sensata detta da Nedved, che pure aveva avuto una discreta fetta di tempo per pensare alle proprie dichiarazioni – dove si tifa spesso contro, più che a favore.
Ed è sbagliato. Così come l’utilizzo della parola “rosicone”, diventata ormai un classico quando si vuole negare l’innegabile o difendere l’indifendibile. Rosicone è, nel gergo comune ormai, chi si lamenta di un torto. Bene, non bisogna essere professori di lingua per sapere che rosicone lo si può definire, semmai, chi si lamenta di torti presunti, chi cerca sempre una scusa per lagnarsi e scusare la propria incapacità.
Chi si lamenta per un torto evidente e sotto gli occhi di tutti non è un rosicone, ma sta semplicemente sottolineando quello che tutti possono vedere e – teoricamente – pochi possono negare. Nel mio piccolo penso che molto peggiore sia chi, a fronte di un evidente aiuto – involontario, sia chiaro, non sono uno che pensa al complotto come prima soluzione – continua a negare di averlo ricevuto o a sostenere che certe cose fanno parte dello sport.
Tranne che se capitano a maglie invertite. In quel caso è una congiura di palazzo, ovviamente.
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