Calcio
Tutto calcio che Cola #29: Rossoblù is the new black – 14 ott
Diciamoci la verità, chi tifa Bologna non c’era abituato da un pezzo: il club finalmente al centro delle notizie nei quotidiani nazionali, una nuova dirigenza la cui bontà andrà verificata al netto delle promesse fatte e dell’entusiasmo comprensibile ma sicuramente meglio di quella che ha vivacchiato (male) nelle ultime stagioni…e poi una squadra. Che vince e a suo modo convince, che riesce a mettere insieme una serie di risultati utili consecutivi, che è corsara in trasferta e (udite udite) è squadra anche quando mancano diversi giocatori importanti tutti insieme.
Se nella sciagurata gestione-Guaraldi c’è qualcosa da salvare, queste sono le scelte effettuate quest’estate. Scelte che non mi avevano entusiasmato – ma io mi entusiasmo raramente, essendo pessimista per natura – e che invece finora si stanno dimostrando vincenti, nonostante un inizio di stagione che definire da incubo sarebbe dire poco. Filippo Fusco, per quanto si dicesse fosse stimato nell’ambiente, da molti era stato visto solo come “l’amico di Zeman”, qualcuno da tenersi purché arrivasse il tecnico boemo, mentre Diego Lopez era oggettivamente un’incognita grande come una casa, buon giocatore diventato tecnico discreto a Cagliari prima di finire esonerato dal vulcanico e stravagante Cellino, che pure era colui che lo aveva “inventato” in panchina.
La campagna acquisti, improntata sul vendere prima, regalare poi e comprare semmai (rigorosamente prestiti o parametri zero) non poteva generare quegli entusiasmi che un certo tipo di stampa pro-Guaraldi a prescindere annunciava. Squadra da ritorno in A, squadra quadrata, grandi giocatori. Ma dove?
Tolto Daniele Cacia, appena due stagioni fa super-bomber della B con il Verona e bocciato senza possibilità di mostrare il suo valore in Serie A, tutti gli altri uomini arrivati chi prima chi poi a vestire il rossoblù erano giocatori su cui era più che lecito accampare qualche dubbio.
Zuculini era un fenomeno sei anni e tre/quattro infortuni fa, l’ultima stagione l’aveva giocata nemmeno benissimo nelle retrovie del calcio argentino; Matuzalem era un signor giocatore, ma anche lui diverse stagioni fa; Buchel aveva fatto appena una discreta annata nella Virtus Lanciano, non nel Real; Maietta era finito comunque ai margini di un Verona che in difesa non vantava nomi da Pallone d’Oro, Laribi e Oikonomou erano stati oggetti non pervenuti, Coppola era anziano e veniva da stagioni di panchina. E via dicendo.
I primi ceffoni rimediati in Coppa Italia avevano subito fatto capire che il lavoro da fare non era affatto poco. L’Aquila, una squadra di categoria addirittura inferiore, aveva mandato subito a casa gli uomini di Lopez, sconfiggendoli al Dall’Ara in modo anche abbastanza netto. Perugia era stato un incubo che continua, una neopromossa che fa quel che vuole di una squadra non eccellente e sgangherata. “Eh, ma adesso alla seconda siamo in casa, contro un’altra neopromossa, vedrai che…” 1 a 1 con la Virtus Entella, e diciamo che se fosse arrivata un’altra sconfitta nessuno avrebbe gridato allo scandalo.
Tolto Cacia, in gol nelle prime due gare, il vuoto assoluto. Una difesa in difficoltà, un Garics stralunato, un centrocampo che faticava a trovare le misure. Anche la vittoria successiva a Pescara, per quanto insperata, non fece poi aumentare di molto l’entusiasmo: ok vincere, ma se alla fine del primo tempo vinci 3 a 0 (con gol persino del redivivo Acquafresca) e alla fine della gara rischi di beccare il pareggio cosa vuoi sperare?
Niente, e infatti la gara successiva, seconda in casa, ecco un’altra sconfitta, a dimostrazione del fatto che il “Dall’Ara” tutto è tranne che un fortino inviolabile. 2 a 0 per il Crotone, per una gioia casalinga si prega di ripassare. Capita, peccato che al Bologna capitava da marzo.
E poi a Terni ecco che qualcosa cambia. Si fa male Paez, entra Oikonomou, colpo di testa e gol su corner, vittoria abbastanza netta su una squadra in forma. In trasferta. Non che la svolta sia stata l’infortunio del povero Paez, che anzi stava entrando in forma, o l’ingresso di Oikonomou, che non è certo Sergio Ramos. Però quella vittoria ha dato consapevolezza a tutta la squadra, e a Diego Lopez per primo, che questa squadra ha un’anima, che la vittoria è possibile. Che se pensi di aver lavorato tanto ma non vedi arrivare i risultati, forse l’unica cosa che puoi fare è continuare a lavorare tanto. O di più.
Fatto è che da Terni, venti giorni fa, è nato un altro Bologna. Che corre, che lotta, che la smette di piangersi addosso. I giocatori sono cresciuti, Coppola si è confermato tutt’altro che bollito, Ceccarelli ha preso il posto di un Garics che sarà pure nazionale austriaco, ma non è che l’Austria sia poi il Brasile. Il greco Marios si è confermato, ha pure segnato ancora, Maietta ha giocato bene al suo fianco aiutandolo a crescere, Morleo si è ricordato di essere stato uno dei meno peggio nella peggior stagione dell’ultimo ventennio. Matuzalem, lentamente, ha preso le chiavi del centrocampo, Zuculini si è ricordato di perché finì convocato con l’Argentina a 18 anni, Buchel è diventato semplicemente – e improvvisamente – quella promessa che la Juventus aveva intravisto tanti anni fa. È cresciuto soprattutto Diego Lopez, che ha saputo fare gruppo e dare fiducia, lanciare i giocatori e caricarli delle giuste responsabilità, ricordando loro la maglia che indossano ed il senso che ha per i tifosi che vengono allo stadio. Il tecnico uruguaiano ha creato una squadra multiforme e camaleontica, capace di sopperire con l’ingegno e l’entusiasmo a infortuni e invenzioni tattiche degli avversari, una squadra che ancora segna poco ma che in compenso subisce meno, anche se come nell’ultima gara succede che a difendere Coppola siano due difensori di vent’anni.
Così questo Bologna è diventato una squadra che sta bene con qualsiasi abito tattico, così si è trasformato da team capace di perdere con chiunque a truppa capace di vincere con chiunque. Trovando quella continuità che in Serie B è fondamentale se vuoi arrivare a giocarti le tue possibilità nello sprint finale che parte – diciamo così, grosso modo – da marzo.
Dicevamo di Guaraldi: ha fatto probabilmente più danni della grandine per molti, eppure nel giorno in cui gli americani ne prendono il posto diamogli atto almeno di aver saputo scegliere gli uomini giusti per ripartire. Filippo Fusco, Diego Lopez, ma anche Daniele Corazza e Leonardo Colucci, responsabili di una Primavera che finalmente ritorna a donare giocatori alla prima squadra, abitudine che il Bologna – come il 90% dei club italiani – aveva perso.
Oggi arriva Tacopina, oggi il Bologna volta pagina e guarda ad un futuro che può veramente essere roseo. Lo fa per merito di un americano che conosce il significato della parola sognare e lo fa grazie a una squadra che forse, dopo un bel po’ di tempo, sembra degna di indossare la maglia che indossa.
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