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Tutto Calcio che Cola #31: Il calcio ricordi i suoi morti (1^ parte) – 04 nov

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Nel mese di Novembre, dove si usa ricordare i morti, vorrei ricordare i calciatori italiani che per i motivi più diversi sono morti durante il loro periodo di attività, per ricordare chi è stato grande e chi non ha potuto esserlo per via del destino. I calciatori sono anche e soprattutto uomini, e come tali soggetti alle fortune e sfortune della vita.

I primi calciatori italiani morti durante il proprio periodo di attività risalgono alla Grande Guerra: nel 1915 persero la vita sul Fronte Dolomitico i calciatori Erminio Brevedan, Biagio Goggio, Cesare De Marchi e Silvio Appiani, tutti promettenti assi del “football” e tutti di età compresa tra i 20 e i 25 anni. Goggio era appena passato dal Torino alla Juventus e aveva anche giocato in Nazionale, mentre Appiani era il promettente centrattacco del Padova, che anni dopo gli intitolò il proprio stadio.
Il biennio 1916-1917, in piena guerra, vide la dipartita di altri giovani talenti: Valentino Giaretta del Vicenza cadde sul Monte Pasubio, Annibale Flori del Brescia spirò in seguito alle ferite riportate nella battaglia della Conca di Plezzo, stessa sorte capitata al compagno di squadra Luigi Grazioli, morto per aver contratto una malattia in trincea, probabilmente tifo.
La morte che colpì di più fu forse però quella di Giuseppe Caimi, uno dei primi campioni dell’Inter: grande schermidore, Caimi era passato al calcio con ottimi risultati, tanto da finire tra i convocati di Vittorio Pozzo per le Olimpiadi di Svezia del 1912. Era stato depennato all’ultimo momento in quanto sorpreso a gridare in un night di Milano “Svedesone bionde, aspettatemi!”
In guerra fu valoroso come pochi, venendo premiato con tre medaglie d’argento e una d’oro al valor militare e cadendo eroicamente per le ferite riportate nello strenuo tentativo di difendere il Monte Valderoa dall’attacco austriaco.  
Guido Alberti era una mezzala molto popolare e promettente nel Bologna dei primi anni ’10: fu arruolato allo scoppio della Guerra e morì ad appena 21 anni per via di una polmonite contratta al fronte. Il fratello più giovane, Cesare Alberti, sarebbe stato in seguito una delle più fulgide promesse del calcio italiano: cresciuto anch’egli nel Bologna, fu lasciato andare dai rossoblù dopo una lesione al menisco che ai tempi significava l’addio alla professione di calciatore. Tenacemente, il giovane si trasferì a Genova e trovò un luminare che (primo caso in Italia) lo curò: tornato sul campo più forte di prima, trascinò il Genoa segnando diverse reti importanti, tra cui una doppietta proprio al Bologna. Il destino però non doveva essere tenero con la famiglia Alberti: a 21 anni, nel 1926, Cesare morì improvvisamente, per un’infezione virale causata probabilmente dall’ingestione di frutti di mare avariati.  
Tra i due fratelli il calcio aveva pianto altri morti: il giovane portiere di scuola milanista Edoardo Colombo e il difensore del Legnano Luigi Pirovano, oltre ad Aldo Milano, terzo di quattro fratelli tutti giocatori nella Pro Vercelli ai tempi in cui le “Bianche Casacche” dominavano il panorama calcistico italiano. Milano III°, come era noto, morì in seguito allo sparo di una guardia, posta a protezione di una lapide commemorativa anti-militarista che il giocatore, considerandola offensiva verso i caduti in guerra, intendeva vandalizzare. 
Dopo i fratelli Alberti, Bologna pianse ancora nel 1927, quando spirò per meningite fulminante Alberto Giordani, mediano del primo Scudetto, voluto fortemente da Hermann Felsner. Nello stesso anno moriva la bandiera del Verona Bonifacio Zuppini: appena passato al Modena, fu colpito dopo pochi mesi accidentalmente al capo durante una battuta di caccia. 
Nel 1928 morì per polmonite l’attaccante del Viareggio Mario Torriani, mentre a Napoli spirò Giuseppe Pirandello, a lungo bandiera del Palermo e che nella città campana si era imposto come un idolo assoluto grazie al suo stile di difensore irruente e focoso: dopo un Napoli-Lazio si recò dal dottore della squadra per un’endovenosa, ma quando questi iniziò a praticarla fu colto da una sincope e morì. Per un misterioso e violento virus moriva nel 1929 l’attaccante modenese appena acquistato dalla Fiorentina Camillo Silingardi, mentre un mese dopo lo raggiungeva il talento del Milan Abdon Sgarbi: cresciuto nella SPAL, nello stesso anno aveva esordito anche in Nazionale, prima che un’infezione tifoidea fulminante lo portasse via ad appena 26 anni.
Nei primi anni ’30 il calcio era ben distante dal “mondo dorato” che è adesso: la maggior parte dei calciatori erano persone comuni, e come persone comuni potevano morire. Nel 1930 morì per l’esondazione nota come “Disastro di Molare” il centrocampista Dario Pratoverde, ex di Genoa e Fiorentina, mentre nel 1932 toccava al centrocampista milanese (e del Milan) Orlando Bocchi, vittima di un infiammazione polmonare, stesso anno e stesso malore del più celebre Oliviero Vojak. Questi era il fratello più giovane del celebre Antonio, campione di Juventus e Napoli, ed anch’egli aveva esordito nel club bianconero per poi passare a quello campano. Morì ad appena 21 anni.
Anche il 1935 fu un anno nefasto per il calcio italiano: in febbraio spirarono due idoli degli spalti, uno della Lazio e uno dell’Inter, entrambi oriundi. A Roma morì il centrocampista brasiliano Octavio Fantoni, cugino di 3 fratelli, João, Leonizio e Orlando, giocò insieme ai primi due in quella nota come la “Brasilazio”, risultando il migliore. Durante una partita contro il Torino, Fantoni si era ferito al naso: quella che era sembrata una banale ferita si era poi trasformata in una tremenda setticemia che lo aveva portato alla morte nel giro di poche settimane. Nell’Inter invece era scomparso Francesco Frione, talentuoso 23enne attaccante proveniente dall’Uruguay, dove aveva anche già raggiunto la Nazionale: una polmonite, contratta al rientro da una trasferta a Napoli, non gli permise di esprimere il suo grande talento compiutamente portandolo ad una morte prematura. A marzo del 1935, ancora per una setticemia derivante da un’operazione d’ernia riuscita male, moriva Ettore Carpi, attaccante del Livorno in prestito dal Genoa.
Un giovane talento era senz’altro il difensore della Cremonese Aristide Rossi, il terzo più giovane esordiente in Serie A di sempre, preceduto di pochi giorni da Amadei e Rivera: bandiera dei grigio-rossi, morì in seguito a uno scontro di gioco avvenuto durante un Messina-Cremonese. Caduto a terra, aveva ricevuto una botta al capo per cui fu visitato dopo la gara: i dottori lo giudicarono fuori pericolo, ma incredibilmente non si accorsero di una ben più grave ferita ai polmoni, che pochi mesi dopo lo portò alla morte ad appena 23 anni. Il primo idolo vero della Bari calcistica fu invece Cesare Grossi, attaccante che a dispetto del cognome era talmente esile da meritare il soprannome di “Topolino” o “Mezzo balilla”. Morì a Tirana, dove si trovava con l’esercito per le nozze di Re Zog, colpito da un fulmine ad appena 22 anni. Si era arruolato per il disappunto del mancato passaggio all’Inter, che il Bari gli aveva negato rinunciando ad una grossissima offerta. Nell’estate del 1940, infine, morirono due giocatori del Napoli, il portiere Eriberto Braglia ed il difensore Giuseppe Fenoglio: i due furono colti da un’infezione di tifo e morirono a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro nell’ospedale militare.

(Continua…)

 

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