Calcio
Tutto Calcio che Cola #33: Il calcio ricordi i suoi morti (3^ parte) – 18 nov
Nel mese di Novembre, dove si usa ricordare i morti, vorrei ricordare i calciatori italiani che per i motivi più diversi sono morti durante il loro periodo di attività, per ricordare chi è stato grande e chi non ha potuto esserlo per via del destino. I calciatori sono anche e soprattutto uomini, e come tali soggetti alle fortune e sfortune della vita.
Bruno Nespoli aveva esordito nell’Arezzo, provincia dove rientrava il suo paese natale, Sansepolcro, in Serie C. L’anno successivo questo promettente portiere era andato all’Olbia, città dove stava svolgendo il servizio militare: alla mezz’ora di un Olbia-Carrarese si scontra con un attaccante avversario, riportando una frattura al cranio che lo porta alla morte neanche un giorno dopo. Siamo in Serie D, la cosa fa notizia ma non quanto dovrebbe, ma Olbia lo ricorderà intitolandogli lo stadio cittadino.
Nel calciomercato estivo del 1965 l’Inter cede un suo giovane, Erminio Favalli, al Foggia. Sarebbe un trasferimento come tanti altri, non fosse che il ragazzo è un giovane talento che viene dato a titolo gratuito ai pugliesi dal presidente Angelo Moratti: pochi mesi prima, infatti, il fratello maggiore Armanno Favalli, idolo dei “satanelli”, è morto in un incidente stradale. La carriera di Erminio, dopo Foggia, lo vedrà brillare brevemente nella Juventus prima di un anonimato calcistico che farà si che venga ricordato più per le tragiche circostanze in cui il suo nome balzò alle cronache.
A ottobre dello stesso anno muore sul campo Roberto Strulli, portiere dell’Ascoli, che nel tentativo di recuperare un pallone sfuggitogli di mano ricevei n modo involontario una ginocchiata in testa dall’attaccante della Sambenedettese Adelmo Caposciutti durante una partita di Serie C. Quest’ultimo aveva cominciato la carriera proprio da portiere, prima di scoprirsi bomber di categoria. La morte di Strulli, 27enne, sconvolge l’intero capoluogo marchigiano. (1)
Una morte assurda è quella che vede protagonista la brillante ala destra Italo Alaimo, romano affermatosi nella Reggina che l’ambizioso Novara, nell’estate del 1967, acquista per la bella cifra di 35 milioni di lire: mentre sta svolgendo le visite mediche di rito, pedalando sul cicloergometro che misura la capacità sotto sforzo, rimane folgorato dalla macchina , erroneamente collegata ad un fornello della cucina. Per cavilli legali tutti gli indagati per omicidio colposo se la cavano quando giunge la prescrizione.
Qualche mese dopo il calcio italiano è sconvolto da un altro lutto, probabilmente tra i più toccanti di sempre e con protagonista ancora un calciatore del Torino: scompare appena ventiquattrenne Luigi Meroni, “la farfalla granata”, ala dal talento straordinario in predicato di passare ai rivali cittadini della Juventus e già punto fermo della Nazionale. Grazie all’enorme classe e a molti atteggiamenti stravaganti e ribelli, Meroni era l’idolo non solo dei tifosi granata, ma di tutti gli appassionati italiani. Muore investito da un auto guidata da un giovane, Attilio Romero, che nel 2000 diventerà presidente proprio del Torino, tentando – senza fortuna – di riportare i granata nell’elite del calcio nazionale. A Meroni sono stati dedicati libri, poesie, canzoni e film, omaggi meritati per chi fu il “Best italiano”.
Nel 1968 a morire è Enzo Magnanini, portiere del Perugia ormai a fine carriera, vittima di un altro incidente stradale. L’anno successivo tocca ad un nome illustre, Giuliano Taccola, finire nella triste lista dei caduti per il pallone: a 24 anni aveva cominciato a farsi conoscere nel grande calcio giostrando da punta per la Roma di Helenio Herrera, che dopo un infortunio e una tonsillite aveva voluto comunque portarlo in trasferta a Cagliari – pur senza poterlo utilizzare – contro il parere dei medici. Taccola, che già a inizio stagione era stato fermato più volte per un sospetto vizio cardiaco che Herrera aveva comunque scelto di ignorare, svenne negli spogliatoi in seguito ad un malore, arrivando cadavere nell’ospedale del capoluogo sardo. La sua morte ha alimentato i dubbi – mai del tutto chiariti – su misteriose pratiche dopanti praticate da Herrera e che risalirebbero ai tempi della “Grande Inter”.
Gli anni ’70, con i progressi compiuti dalla medicina e dalle pratiche antidoping, sembrano scongiurare il pericolo di morte prematura, e infatti anche se nel 1970 scompare per un terribile incidente in auto il promettente terzino del Catania (scuola Torino) Luciano Limena, fino al 1977 non si verificano altre tragedie: nel 1977 sono però ben sei i calciatori che lasciano anzitempo i campi da gioco e della vita, e il primo a morire è anche il più noto di questi. Luciano Re Cecconi era un talentuoso centrocampista tuttofare, protagonista della Lazio-scudetto di Maestrelli e Chinaglia: era una squadra che ben rappresentava le tensioni nazionali di quegli anni in Italia, giocatori che in allenamento finivano spesso per prendersi a botte e che portavano con se pistole come se fossero biglietti da visita.
Re Cecconi era, a detta di tutti, uno dei più miti, uno di quelli che univano un gruppo che per quanto diviso in clan sul campo si trasformava, diventando imbattibile. Nel gennaio del 1977 morì, ucciso dalla pistola di un gioielliere a cui – si dice – aveva voluto fare uno scherzo inscenando una finta rapina. La vicenda negli anni si è arricchita di diversi dettagli, tali da riaprire il caso e offrirlo a più interpretazioni, ma una cosa fu certa: la morte di Re Cecconi ammutolì l’Italia calcistica e non solo.
Alessandro Vitali era un centravanti lunatico sul campo e nella vita, che aveva avuto buoni picchi in provincia e che aveva scelto di chiudere la carriera in Serie D nella Centese: un incidente stradale lo uccise insieme al compagno di squadra Giorgio Lazzari. In Serie D scompare anche Italo Bonatti, giunto a concludere una buona carriera – che lo ha visto essere idolo di Verona e Varese – nei veronesi del Cadidavid: un emorragia cerebrale lo coglie mentre gioca in trasferta, uccidendolo trentaquattrenne.
Assurda la storia di Mario Giacomi, portiere del Pescara. Il fratello minore Antonio muore per una trombosi, e alla vigilia dei funerali il calciatore ospita un altro fratello, Gianni, nella sua casa di Chievo, quartiere di Verona dove la famiglia è cresciuta. Una caldaia malfunzionante uccide entrambi nel sonno, avvelenandoli con il monossido di carbonio.
Ma l’annus horribilis deve ancora concludersi: a 24 anni muore in campo, stroncato da un arresto cardiaco, il mediano del Perugia rivelazione Renato Curi, impegnato in una combattutissima gara contro la Juventus sotto una pioggia torrenziale. L’evento sconvolge il calcio italiano, e a Curi verrà dedicato lo stadio cittadino, dove era diventato un idolo.
Sconvolgente anche la scomparsa, l’anno successivo, di un coetaneo di Curi: Erasmo Iacovone, talento enorme che si stava affermando nel Taranto, muore sbalzato fuori dalla propria auto dopo uno scontro con un auto rubata che procede a fari spenti nel tentativo di fuggire alla polizia. La società ionica, sconvolta, gli dedica lo stadio due giorni dopo la scomparsa. Nell’ottobre del 1978 muore anche Roberto Furlan, centrocampista del Parma, per via di una leucemia che gli era stata riscontrata due anni prima.
I tremendi anni ’70 si concludono con la scomparsa dello sfortunato Nicola De Simone, cresciuto nella Juve Stabia e poi idolo dei tifosi del Siracusa: la causa è un calcio alla tempia rimediato durante una partita contro la Palmese. Le tifoserie di Juve Stabia e Siracusa, da allora e per questo lutto comune, sono unite da gemellaggio.
Il calcio italiano entra negli anni ’80, lo spettro del calcioscommesse e della corruzione alle porte. Anche quello della morte, come vedremo nella prossima puntata, farà la sua parte.
Note:
(1) grazie a Tom per la segnalazione
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