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Tutto calcio che Cola #39: Diamo i voti alla Serie A – 30 dic

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Approfittando dell’occasione per augurare a tutti voi un ottimo fine dell’anno ed un bellissimo 2015, andiamo a vedere insieme come si conclude questa prima parte di stagione della Serie A 2014/15. Chi avrà deluso? E chi stupito? Scopriamolo!


ATALANTA (4,5)
La miseria di 3 vittorie in 16 partite valgono il quart’ultimo posto attuale. Vero che con una classifica così corta la squadra può venire fuori anche alla distanza, ma al momento attuale il rendimento degli uomini di Colantuono è a dir poco deprimente. Raimondi, una delle anime delle squadra, si è infortunato, “il Papu” Gomez non si è ancora palesato e la scarsa vena realizzativa di Denis frustra le geometrie di Cigarini. Tra i pali Sportiello non è male, ma ancora lontano dai livelli di Consigli. Il rischio è che con la partenza di Yepes si sia perso qualcosa dietro, la certezza è che senza Bonaventura – inevitabilmente ceduto al Milan – il centrocampo non abbia gran qualità. E se davanti Denis non segna i rischi sono concreti. A Bergamo sanno bene che non partono per ottenere più di una salvezza tranquilla, ma stavolta il pensiero è che sarà più difficile che nel recente passato.
IL MIGLIORE: Maxi Moralez è sempre andato a intermittenza, e in questo inizio di campionato non si è smentito. Tuttavia risulta il migliore degli orobici: 3 reti non sono molte, ma è quanto realizzato da Denis. Al piccolo folletto argentino il compito di segnare e di innescare punte per ora poco convincenti in modo da centrare l’ennesima salvezza.
IL PEGGIORE: Prima o poi doveva arrivare l’anno-no per Germán Denis: dopo essersi riscoperto bomber vero con la maglia della Dea (44 reti nelle ultime tre stagioni, concluse sempre in doppia cifra) quest’anno “El Tanque” sta viaggiando assai sotto le medie a cui ha abituato i suoi tifosi: appena 3 le reti in 16 gare, con Colantuono che non ha mai smesso di credere in lui anche perché le alternative convincono ben poco. A Denis ripagare la fiducia di tecnico e compagni: la salvezza passa per i suoi gol.

CAGLIARI (4)
Confusione in società e nella campagna acquisti, calo clamoroso dei pochi giocatori che erano delle sicurezze. Incredibile il calo che hanno avuto le punte dei sardi, che avrebbero dovuto essere il fiore all’occhiello della nuova Zemanlandia. L’avventura del tecnico boemo è invece finita prima di Natale, con la brutta sensazione però che più che una questione di panchina sia una questione di chi scende in campo. Manca la qualità. A Zola il compito di ritrovare almeno un po’ di convinzione nei propri mezzi, ma sarà difficile visto che la squadra era stata costruita per Zeman. Gennaio rappresenta un’occasione per tentare di togliersi dalle sabbie mobili.
IL MIGLIORE: 4 reti in 11 gare. Da Marco Sau ci si poteva attendere di più, tuttavia finora il talento sardo ha fatto quel che ci si attendeva da lui, a maggior ragione in una squadra in crisi e che inspiegabilmente ha finito per fare vedere le cose migliori dietro piuttosto che davanti. Deve continuare a segnare con questa continuità però, sperando che i compagni si sveglino.
IL PEGGIORE: Da anni ormai se ne attende l’esplosione. Perché Victor Ibarbo ha tutto quel che serve per diventare un grande attaccante: velocità, tecnica, dribbling, fisico e convinzione nei propri mezzi. E allora perché non completa la maturazione da promessa a campione? Un mistero, sul quale però nell’attesa di risolverlo il Cagliari rischia di perdere tempo e punti.

CESENA (4)
Penultimo posto prevedibile per quella che all’inizio del torneo era prevista come squadra tra le peggio attrezzate del campionato. Il Cesena è semplicemente troppo fragile per la Serie A, e anche il cambio di allenatore (da Bisoli a Di Carlo) non sembra aver portato gli effetti sperati, anche se è ovviamente presto per arrendersi. Il fatto è che in ogni reparto la si guardi la squadra presenta ovvi limiti di esperienza e qualità, e i giovani su cui si è investito (Leali tra i pali, Carbonero davanti) non stanno rendendo secondo aspettative. La salvezza non è impossibile, ma va trovata una formazione-base e soprattutto va creato un “animus pugnandi” al momento assente. Adattarsi alla Serie A, insomma, prima di perderla. Missione impossibile?
IL MIGLIORE: Gregoire Defrel è al primo anno di A, se si esclude una comparsata nel Parma 2010-11. Classe ’91, il francese è una punta atipica, di movimento, e con i suoi 4 gol è anche il miglior marcatore dei cesenati. Chiaro che per salvarsi si dovrà contare anche su altri giocatori, ma al momento attuale è, nel grigiore, uno dei pochi spiragli di luce.
IL PEGGIORE: La fiducia in lui non è mancata, ma finora è sembrata assai mal riposta. Da uno come Hugo Almeida – con esperienze al Porto, al Werder Brema e al Besiktas – ci si attendeva senz’altro di più, visto anche che è stato a lungo nel giro del Portogallo. L’unico giocatore di spessore internazionale del Cesena invece è ancora a secco di reti, pecca fatale per uno che di mestiere fa il centravanti.

CHIEVO (5)
Tutto secondo copione per i clivensi, che ogni anno sanno che la salvezza va guadagnata tenendo botta sul campo e non va mai data per scontata, nonostante la B sia un ricordo di molte stagioni fa ormai. Quest’anno la partenza stentata è stata fatale a Eugenio Corini, che dopo due subentri trasformati in altrettante salvezze nelle stagioni precedenti non ha saputo sfruttare l’occasione di guidare la squadra da inizio stagione. È subentrato Maran, scelta coraggiosa viste le ultime esperienze ma tecnico serio e preparato. L’impressione è che a meno di cali clamorosi arriverà anche quest’anno l’ennesima impresa, che sarebbe la settima consecutiva.
IL MIGLIORE: Alberto Paloschi è il migliore del Chievo non solo per i gol che segna, ma anche per la costanza con cui trova la rete. Quello che una volta era un talento è diventato un uomo nella provincia calcistica, punto di riferimento e sempre capace di farsi trovare al posto giusto nel momento giusto. Il rischio che a gennaio possa partire è concreto però, e per i clivensi sarebbe durissima sostituirlo.
IL PEGGIORE: Ormai si parla di lui più per quello che gli capita fuori dal campo che per quello che fa vedere sul rettangolo di gioco. Un peccato che stia declinando così la carriera di Maxi Lopez, un tempo buonissimo attaccante ormai persosi per strada. La riprova? Nonostante la fiducia dei tecnici che si sono avvicendati sulla panchina del Chievo e le poche pressioni presenti, è arrivato appena un gol. Meglio di lui tutti i compagni di reparto, dal redivivo Pellissier a Meggiorini, certo non noto per la sua impressionante media-gol. Altro anno buttato?

EMPOLI (7)
Come corre l’Empoli di Sarri! Considerato quasi all’unanimità la squadra meno attrezzata dell’intero campionato, l’Empoli ha risposto ai pronostici negativi come deve fare una squadra magari povera di uomini ma non di idee. Valorizzando i propri punti di forza, tentando di mascherare le proprie debolezze e correndo e sudando, muovendosi come un solo uomo sul campo. Grazie a questi valori sono arrivati risultati importanti e ben 17 punti, che tengono i toscani lontano dalla zona retrocessione. La valorizzazione dei diversi giovani italiani presenti in rosa è ulteriore motivo di vanto per una squadra dal basso profilo ma dalla grande volontà.
IL MIGLIORE: Insieme al partner difensivo Rugani – che è arrivato anche nel giro della Nazionale – Lorenzo Tonelli è la più grande novità di questa Serie A, e lo scelgo per i gol realizzati, reti pesanti che hanno portato in dono punti preziosi a fine stagione, quando si trattera di fare i conti. Cresciuto nell’Empoli, all’esordio in Serie A, questo difensore di 24 anni ha segnato la bellezza di 4 reti che sono valse, tra l’altro, due pareggi con Milan e Fiorentina. Oltre ai gol, poi, una presenza sicura e costante al centro della difesa.
IL PEGGIORE: Miglior marcatore di sempre dell’Empoli, quarto di tutti i tempi in tutta la Serie B. Categoria che forse, numeri alla mano, più si confà alle sue caratteristiche. L’Empoli si sta salvando più grazie alla difesa che grazie ad un attacco che a inizio stagione era considerato il punto di forza della squadra: invece, se Maccarone sta comunque facendo la sua parte con gol e assist, Francesco Tavano sta dando meno di quello che ci si attendeva ad agosto. Non mancano tanto i gol, quanto la sua capacità di procurarne ai compagni. Urge una ripresa.

FIORENTINA (6)
Confusione tattica, sfortuna e equilibri di spogliatoio da trovare. Questi i motivi del rendimento ondivago della Fiorentina di Montella, che dopo aver sfiorato la Champions League sembra aver smesso di crederci ed essersi rassegnata ad un campionato di transizione. Cuadrado non è il giocatore che interessava al Barcelona quest’estate, e forse andava ceduto viste le poche motivazioni. Pizarro ha un anno di più, Badelj ha deluso così come Marin, mentre Pasqual è uscito dalle preferenze di Montella appena raggiunta la Nazionale, così come Aquilani. In attacco sfortunato Bernardeschi, oltre al solito Pepito Rossi, mentre anche Gomez dopo vari acciacchi fatica a ritrovarsi. Si spera in Babacar e nel risveglio di Borja Valero, mentre la difesa tutto sommato regge pur con l’incognita legata a Neto. E la squadra va a strappi, alternando buone prove a clamorose cadute che la allontanano, giornata dopo giornata, dalle posizioni che contano. Da registrare finalmente l’affermazione di Mati Fernandez, talento enorme che finora si era espresso ben al di sotto del suo potenziale.
IL MIGLIORE: Di Khouma el Babacar si parla benissimo da anni, da quando esordì a 16 anni in maglia Viola mostrando subito una notevole confidenza con il gol. Gli anni successivi erano invece stati così così, ma il ragazzo – consapevole dei suoi enormi mezzi fisici e tecnici – non si è perso d’animo. Dopo le 20 reti la scorsa stagione al Modena, quest’anno il ritorno a Firenze e la consacrazione. Attualmente, tra Rossi, Gomez, Ilicic e Marin, è l’unica certezza dell’attacco viola, giocando come un veterano nonostante i vent’anni appena compiuti.
IL PEGGIORE: Arrivato a Firenze tra squilli di tromba da parte della società, benedetto dai tifosi come il vero campione che mancava all’attacco, Mario Gomez si è infortunato gravemente nella sua prima stagione finendo per perdersi anche il trionfo mondiale della Germania dove per anni è stato un punto fermo. Questa doveva essere la stagione del riscatto, ma complici diversi acciacchi ha faticato a ritrovarsi, segnando appena una rete e mostrandosi spesso lento e impacciato. Chiaro che urge recuperare il tempo perduto, sperando che la ricerca del miglior Gomez non diventi un ossessione per lui e per i compagni.

GENOA (8)
Senz’altro la sorpresa di questa prima parte di stagione. Il Presidente Preziosi ha operato un’ottima campagna acquisti estiva, resistendo alla sua abitudine di rivoluzionare la rosa come spesso accade ad ogni sessione di mercato. Il tecnico Gasperini ha ritrovato se stesso, meritandosi gli applausi della critica per il suo calcio bello e versatile, giocato in velocità secondo i principi del calcio olandese che tanto ama. Il Genoa veleggia nelle prime posizioni, e anche se è difficile prevedere una permanenza in certe posizioni, è certo che praticamente tutte le scommesse sono state vinte: Preziosi paziente, Gasperini vincente, i gol ritrovati di Matri, la classe di Perotti e la sostanza di Kucka e Sturaro. Anche Roncaglia è tornato sui buoni livelli mostrati solo a sprazzi a Firenze, mentre Perin si è confermato una volta di più grandissima promessa e già ottima certezza.
IL MIGLIORE: Acrobatico e concreto, dotato di grande personalità nonostante la giovane età. Bravo, così bravo che sarà difficile vederlo ancora a lungo in Serie A, purtroppo. Dei tanti eredi designati di Gigi Buffon, Mattia Perin è senz’altro il più convincente, titolare inamovibile di un Genoa che grazie anche alle sue straordinarie prestazioni vive una stagione di grazia. Tra il fantasioso Perotti ed il concreto Matri, tra le sorprese De Maio e Sturaro, il premio di migliore va a questo portiere già fortissimo e con ampissimi margini di miglioramento.
IL PEGGIORE: Il gioco di Gasperini sembrava fatto apposta per esaltarne le qualità, invece ha finito per evidenziare i limiti di Feftatzidis e Lestienne. Ma mentre il greco ha avuto ben poche occasioni per brillare (anzi, appena una presenza) lo stesso non si può dire di Maxime Lestienne, arrivato tra squilli di tromba a Genova quest’estate come sicura nuova sensazione del calcio belga. Gol, rapidità, tecnica: queste le qualità di cui è accreditato ma che non ha mai messo in mostra finora il – presunto – talento classe ’92.

INTER (5)
Doveva essere la stagione del riscatto, rischia di essere l’ennesimo anno di transizione di una società che non riesce a ritrovare se stessa complice anche una non chiara strategia tecnica a medio-lungo termine. Allontanato Mazzarri come se il tecnico toscano fosse un totale incompetente, è stato accolto Roberto Mancini come un deus-ex-machina. Peccato che questa non sia più l’Inter a cui era abituato il Mancio quando vinceva Scudetti preparando l’arrivo di Mourinho e dell’era del Triplete. L’Inter attuale vivacchia a metà classifica per colpa di un mercato dove le idee o sono poche o sono confuse: ripudiata l’annunciata “linea verde”, gli arrivi di Vidic, M’Vila, Medel e Osvaldo si sono rivelati ben poca cosa. Palacio ha deluso, Icardi segna ma non può trascinare una squadra costruita male prima ancora a livello tattico che tecnico. A Mancini il durissimo compito di raddrizzare la baracca, ma a meno che la società non intervenga sensibilmente sul mercato o l’allenatore jesino non scopra inspiegabili doti taumaturgiche sarà dura uscire dall’anonimato.
IL MIGLIORE: Otto reti, carattere e margini di miglioramento ancora inesplorati. Mauro Icardi è, con Mateo Kovacic, il futuro che sorride di un Inter che futuro a volte sembra non averne. Unica certezza dell’attacco nerazzurro, migliora di stagione in stagione costantemente, cosa non facile visto il clamore mediatico intorno alla sua vita privata. Mancini deve necessariamente ripartire da lui, lui deve continuare così per portare l’Inter fuori dalla mediocrità e magari salutare tutti a fine stagione per andare in un calcio più adeguato alle sue grandi potenzialità.
IL PEGGIORE: Dopo anni di califfato al centro della difesa del Manchester United, è indubbio che da Nemanja Vidic all’Inter si attendessero tutt’altro rendimento rispetto a quello mostrato finora. Tramonto di una carriera ottima ma ormai alle fasi conclusive? Può senz’altro essere, e del resto il fatto che uno come lui fosse arrivato da svincolato qualche dubbio lo faceva venire. Ha faticato enormemente ad adattarsi al nostro calcio, e con Ranocchia e Juan Jesus davanti non sarà facile per lui rientrare nel giro dei titolari. Possibile che finirà già a gennaio l’avventura italiana di quello che è stato uno dei migliori difensori al mondo negli ultimi anni.

JUVENTUS (9)
Anche meglio che con Conte. A tratti eh, e a livello europeo di quel poco che è bastato per accedere al secondo turno di Champions League. Tuttavia la scelta di Allegri di adattare lentamente la squadra dalle idee di Conte alle sue sta dando i suoi frutti: detto dell’Europa, anche in campionato la squadra viaggia spedita in testa alla classifica, azzanando con meno ferocia le avversarie ma mostrando un calcio a tratti più piacevole. L’esplosione definitiva di Pogba e i gol di Tevez mascherano le crisi di Vidal e Llorente, ai quali mancano alternative di spessore nonostante sul mercato si sia investito molto per dare al tecnico livornese una panchina di qualità. I bianconeri sono ancora una volta gli indiziati principali per la vittoria del titolo anche grazie ad un’incredibile costanza di rendimento: bravo Allegri ad aver tenuto “sul pezzo” giocatori che potevano avere ormai la pancia piena.
IL MIGLIORE: Che sia il miglior attaccante della Serie A è indubbio. Carlos Tevez è arrivato la scorsa stagione, e qualcuno aveva più di un dubbio sulla sua capacità di lasciare il segno dopo anni di panchina e su quanto meritasse di indossare la maglia numero 10 di Del Piero, rimasta per una stagione senza padrone. Sul campo Tevez ha smentito tutti: gol, classe, serietà e senso tattico da vero campione hanno conquistato gli juventini e non solo. La cosa che più ha stupito è stato il carattere da vero leader, capace di prendersi le proprie responsabilità con grinta e coraggio. La cosa che ha stupito meno invece sono i gol: attualmente sono 10, gli valgono il primo posto nella classifica marcatori. Non una sorpresa per un campione vero che ha finalmente da poco ritrovato anche la Nazionale.
IL PEGGIORE: Sul fatto che un grande campione arrivi a un tozzo di pane in Italia si può essere scettici. Perché chi può permetterselo non dovrebbe rimanere in un calcio più ricco sia a livello economico che a livello tecnico? Perché una grande squadra dovrebbe privarsi di un suo titolare se questo ha ancora cartucce da sparare? Il dubbio viene se si guardano le prestazioni di Vidic all’Inter e anche quelle di Patrice Evra alla Juventus. Evidentemente i bianconeri speravano di ripetere con lui l’operazione effettuata con Tevez la scorsa stagione, ma purtroppo Evra – che ritrovava l’Italia dopo avervi esordito calcisticamente giovanissimo quindici anni fa – si è dimostrato finora un pesce fuor d’acqua a livello tattico e non così a suo agio anche dal punto di vista fisico. A quasi 33 anni è senz’altro capibile, ma si dovrebbe anche avere dalla propria esperienza tale da sopperire agli ovvi limiti dovuti alla carta anagrafica.

LAZIO (8)
Di Claudio Lotito si potrà dire quel che si vuole, ma della sua gestione da Presidente della Lazio si può solo parlare bene: poca spesa e massima resa, questa la regola in casa bianco-celeste da molti anni a questa parte. Il mercato di questa estate è stato azzeccatissimo: sono arrivati uno dei migliori esterni del campionato (Basta), uno dei migliori difensori dell’ultimo Mondiale (De Vrij), un nazionale come Parolo e un attaccante, Djordjevic, che ha stupito in positivo tutti quanti. Questi giocatori, innestati su un telaio di già buona qualità, ha trasformato la Lazio in squadra capace di lottare per le posizioni che contano. Merito di un allenatore bravo soprattutto nel gestire i propri uomini, Pioli, e del recupero di due giocatori che per motivi diversi la scorsa stagione non avevano reso come ci si aspettava, ovvero Felipe Anderson e capitan Mauri. Dove può arrivare questa squadra non si sa, ma è certo che per qualità e tattica è inferiore a poche nel panorama della Serie A attuale.
IL MIGLIORE: Dopo un 2013 da dimenticare per la squalifica dovuta a illeciti, Stefano Mauri ha chiuso il 2014 in un crescendo entusiasmante inaspettato per chi tra poche settimane compirà 35 anni. Giocatore eclettico e da sempre trascinatore a livello caratteriale, il capitano della Lazio, come il buon vino, invecchiando migliora. 6 le reti segnate finora da questa mezzala capace e che in carriera ha avuto forse meno di quel che meritava, score che lo porta ad un solo gol dal suo record personale tra i professionisti. Vero leader e anima di una squadra che continuerà a stupire, non sono solo i gol a descrivere la buona stagione di Mauri, ma è indicativo il fatto che tra i primi della classifica marcatori è quello che ha il miglior rapporto reti/minuti giocati. E scusate se è poco.
IL PEGGIORE: Candreva e Klose, gli uomini più in vista della squadra, non stanno certamente rendendo secondo il grande potenziale che gli viene riconosciuto. Il giocatore più deludente della Lazio è però senza dubbio Baldé Keita, capace la scorsa stagione di imporsi all’attenzione nazionale nonostante fosse all’esordio da professionista. Ci si attendeva forse un ulteriore salto di qualità, ma andava messo in conto che la verdissima età (compirà vent’anni a marzo) prevedesse anche delle pause e dei momenti di assestamento. Alla Lazio sono stati bravi a prevederlo, non caricandolo di eccessive responsabilità e lasciandogli il tempo di maturare con qualche salutare panchina quando le prestazioni non sono state all’altezza. Il tempo è dalla parte di questa interessantissima punta, che sarà quasi certamente uno dei protagonisti del futuro. Il presente, però, lo vede nelle retrovie.

MILAN (7)
Devo dire la verità, non mi aspettavo che Inzaghi sarebbe stato capace di dare un’anima e un gioco a una squadra sconclusionata e piena di doppioni. Previsto il fallimento di Torres, che del resto non è più lui da tempo immemore, Pippo è stato bravo a dare fiducia a Honda e Bonaventura e a puntare su Ménez “falso nove”. Il recupero fisico di Montolivo e quello mentale di El Sharaawy può anche permettere l’impossibile, forse, ma l’obbiettivo sbandierato del terzo posto appare oggettivamente troppo. Questo nonostante Diego Lopez in porta si sia confermato buonissimo portiere e in difesa il recupero di Mexes abbia dato un po’ di equilibrio ad un reparto assai traballante.
IL MIGLIORE: Chi lo scopre adesso, che Jérémy Ménez è un fenomeno, dimostra scarsa attenzione verso il calcio internazionale. Se a Parigi era chiuso da una concorrenza incredibile, a Roma prima aveva già fatto vedere cose notevoli. Classico giocatore capace di tutto, aveva solo bisogno della giusta dose di fiducia. La cosa che più colpisce è la facilità con cui va in rete nel ruolo di “falso nove”, equilibrando un tridente che per il resto non presenta nessun bomber potenziale. Se il mercato porterà una punta di ruolo dovrà dimostrarsi bravo e incisivo anche tornando al ruolo di ala.
IL PEGGIORE: Delusione totale e completa, Fernando Torres non solo non ha mai dato l’impressione di poter tornare il bomber che era un tempo ormai lontano, ma neanche ha dato l’impressione di sforzarsi in tal senso. Apatico, molle, impreciso e avulso dal resto della squadra, ha fatto ricredere quei – non pochi – tifosi che ne avevano salutato l’acquisto in prestito gratuito pluriennale come un affare. Sono invece anni che l’ex-bambino d’oro del calcio spagnolo è in completa involuzione, e questi sei mesi al Milan non hanno fatto che confermarlo. Finirà, com’è giusto che sia.

NAPOLI (7)
Sinceramente non capisco tutto questo catastrofismo intorno al Napoli. Vero, la Champions è sfumata ai preliminari, ma può capitare. Vero, le prime sono distanti, ma non solo può capitare, è anche lecito considerando la differenza di investimenti e di qualità in rosa. Rafa Benitez è un signore, quasi sicuramente troppo signore per un campionato isterico e in cerca della notizia come il nostro, dove il realismo viene sacrificato in nome della passione, dei sogni, e di tutte quelle robe lì. Realisticamente la rosa del Napoli è da 3° posto, ed è quello che attualmnete la squadra sta occupando in classifica. Benitez schiera la squadra nel miglior modo possibile considerando la pletora di trequartisti di qualità a disposizione e il fatto che sia Zapata che Higuaìn siano punte centrali che rendono al meglio da sole; la difesa è quella che è, il centrocampo non può sacrificare troppo la corsa in nome della qualità, dell’attacco si è detto. Pensare di giocarsela con Roma e – soprattutto – Juventus era follia. In attesa di investimenti più importanti il Napoli sta bene dov’è, e non dimentichino i tifosi che già essere stabilmente tra le prime tre d’Italia non è cosa da poco.
IL MIGLIORE: È sempre Gonzalo Higuaìn il migliore, c’è poco da fare. Nonostante un Callejon partito benissimo, nonostante un Mertens che ha numeri notevoli. Nonostante – soprattutto – la concorrenza di Duvàn Zapata, in questa stagione rivale credibile per il ruolo di centravanti e schierato diverse volte da Benitez al suo posto. Il fatto è che Higuaìn non sembrava avere tutta questa voglia di rimanere a Napoli, forse per la fondata convinzione che vincere qualcosa qui sarà difficile. Eppure, nonostante il sacro fuoco della passione non sembri ardere dentro di lui, è sempre un centravanti di livello planetario, capace di fare gol anche quasi controvoglia visti i mezzi tecnici di cui dispone. E se gli tornasse fame?
IL PEGGIORE: Dico la verità, mi aspettavo molto di più da Jorginho. Lo scorso gennaio, quando arrivò a Napoli, lasciava Verona da predestinato e presunto fenomeno del futuro. Non so se la collocazione in campo in un modulo diverso lo abbia sfavorito, certo è che un giocatore di un certo livello deve sapersi adattare a giocare in tutte le posizioni possibili se vuole fare il salto di qualità. Jorginho è invece rimasto nel limbo, finendo nelle gerarchie dietro i titolari nonostante le non poche occasioni che Benitez gli ha concesso. Recuperarlo vorrebbe dire dare al Napoli quella qualità che nel mezzo adesso manca. Ma sarà possibile?

PALERMO (7)
Zamparini permettendo, sarà una stagione positiva quella dei rosanero appena tornati in Serie A. Merito di un allenatore, Iachini, bravo nell’intuire pregi e difetti della rosa a sua disposizione e quindi abile ad approntare una corposa linea mediana dietro Franco Vazquez e Paulo Dybala, le autentiche armi in più dei siciliani di quest’anno. Una squadra che non ha smarrito l’identità che l’ha portata a conquistare la promozione e che dovrebbe permettere una salvezza più che tranquilla. In panchina scalpita l’ottimo Belotti, che però difficilmente può trovare spazio in una tattica che mira a difendere Sorrentino con cinque uomini – i tre centrali e i due esteni di centrocampo – e che anche nel mezzo lascia poco spazio all’improvvisazione. Mi piace molto la lucida regia di Maresca, ben confortata dal dinamismo di Rigoni (o Bolzoni) e Barreto. Il Palermo può costruire su queste basi un ottimo futuro.
IL MIGLIORE: Arrivato in Italia due anni fa pagato a peso d’oro, Paulo Dybala deluse le aspettative per via della giovane età. Difficile chiedere a un folletto argentino poco più che maggiorenne di incidere così tanto da salvare una squadra senza ne capo ne coda, del resto. Sceso in B con i compagni, “La Joya” ha trovato continuità e maturità a vent’anni, confermandosi in Serie A in una squadra finalmente all’altezza e con un partner d’attacco – Vazquez – che gli è perfettamente complementare. Elegante, rapido, tecnico e preciso nelle conclusioni, ha già segnato 7 reti, migliorando il suo “score” dell’intera stagione in B (5 reti) e dimostrandosi maturato a tal punto da essere preso in considerazione anche per la Nazionale di Antonio Conte. Un vero gioiello.
IL PEGGIORE: Se il Palermo avesse dovuto basarsi sulla campagna acquisti effettuata ad agosto la situazione in classifica sarebbe forse ben peggiore di quella attuale: hanno deluso infatti i due acquisti forse più importanti, il difensore e l’attaccante di peso che servivano. Ma se il gigante danese Makienok paga una concorrenza spietata in attacco, lo stesso non si può dire riguardo all’esperto Sol Bamba, che stenta a trovare spazio in una difesa dove invece fenomeni veri non ce ne sono: Munoz, Gonzalez e Andelkovic non dovrebbero essere una concorrenza tale da spaventare un gigante di trent’anni con diverse esperienze in giro per l’Europa. Ecco quindi che in una squadra che delusioni vere e proprie non ne ha presentate, Bamba rappresenta un mezzo flop, pur se il campionato è ancora lungo e dovrebbe avere modo di riscattarsi.

PARMA (3,5)
Benalouane, Mesbah, Rosi, Marchionni, Molinaro, Gargano, Obi, Parolo, Schelotto e Amauri. Il fatto che tutti questi giocatori abbiano salutato Parma quest’estate indicava chiaramente la voglia di disimpegnarsi di una proprietà bruciata da una revocata partecipazione all’Europa League conquistata sul campo giocando bene. Revoca giusta, checché se ne dica, e che ha lasciato soltanto le macerie della bella squadra guidata con mano sicura da Roberto Donadoni appena un anno fa. L’ultimo posto in classifica è desolante ma certo non esagerato, visto che i gialloblù non hanno mai dato l’impressione di essere una squadra vera ma piuttosto un’accozzaglia di giocatori quasi a caso che il tecnico – giustamente mai messo in discussione in quanto incolpevole – non riesce a far quadrare. Il Parma attuale appare così fragile da frustrare anche quelle poche individualità di spicco (Mirante, Lucarelli, Cassano) e la salvezza pare oggi un vero e proprio miraggio. L’infortunio di Paletta dietro è stato il colpo di grazia di una stagione nata male e che difficilmente finirà meglio.
IL MIGLIORE: Difficile trovare qualcuno che si erga sopra la mediocrità che aleggia intorno a una squadra senza idee, qualità e persino motivazione. Forse il solo a tentare di tenere su la baracca è ancora il portiere Mirante, la scorsa stagione in predicato di partire per il Brasile con la Nazionale e quest’anno coinvolto in una stagione da incubo in cui nonostante tutto una pezza cerca di mettercela. Peccato che dai e dai un portiere non può evitare sempre i gol, e tantomeno può realizzarli.
IL PEGGIORE: Belfodil? Perduto ormai nella mediocrità di una carriera che poteva dare ben altro. Felipe? Da anni non è un difensore da A, purtroppo. Eppure il peggiore di un Parma in cui niente si salva è Antonio Cassano. Sia chiaro, sono da sempre contrario alle crociate contro il talento di Bari, ed è chiaro che anche stavolta non si poteva chiedergli miracoli in tale quantità da garantire un futuro ad una squadra che attualmente sembra non averne. Tuttavia, come uomo più pagato, più noto e più dotato tecnicamente, qualcosa di più era lecito attenderselo. Difficile essere il leader di una pattuglia così malmessa, eppure questa poteva essere una prova di maturità per Cassano. Nessuno gli poteva chiedere di conquistare la salvezza da solo, ma il fatto che non sembri nemmeno avere intenzione di provarci…

ROMA (8,5)
Come a Napoli, a Roma il limite più grande può essere la piazza. Lo avevo detto quest’estate (e non ero stato il solo, nel sondaggio di “1000cuori”) e ne ho avuto conferma in questi primi mesi. Infatti il catastrofismo che ha accompagnato i giallorossi in questo primo scorcio di stagione è francamente inspiegabile: in Champions è arriva un’eliminazione giusta in un girone oggettivamente difficile dove la squadra se l’è giocata fino all’ultima gara, in campionato la Juventus è lì, a pochi passi. Rudi Garcia forse sbaglia nel tentare di caricare un po’ troppo la squadra e fomentare una tifoseria che invece ogni tanto andrebbe riportata con i piedi per terra, ma è un signor tecnico troppo spesso bersagliato da rivali e stampa. Persi presto – e per motivi molto diversi – Castan e Ashley Cole, i giallorossi sono stati bravi a lanciare Manolas e Astori al centro ed il sorprendente Holebas sulla fascia. Il centrocampo è tra i migliori d’Italia quando De Rossi e Pjanic girano a dovere, l’attacco è un bel mix di velocità sulle ali e classe nel mezzo, dove è naturale che fatichi a trovare spazio un Destro più portato alla finalizzazione che alla manovra di cui necessitano Iturbe e Gervinho. La panchina presenta delle belle alternative e insomma, avrà anche dei problemi, questa Roma, ma se la Juventus ha una concorrente per lo Scudetto questa è la banda di Garcia & Totti. Mica poco, insomma.
IL MIGLIORE: Gervinho? Bravo ma impreciso. Florenzi? Volenteroso ma un po’ ruvido nelle giocate. Iturbe? Non ancora pervenuto. E allora chi è il miglior esterno d’attacco giallorosso? Sorprendentemente è Adem Ljajic, finalmente arrivato ad essere il giocatore di cui si favoleggiava quando il ragazzo era appena maggiorenne e aveva attirato l’interesse del Manchester United. Che Ljajic abbia classe non è una novità, ma che abbia costanza e capacità nell’adattarsi al gioco della squadra, senza perdersi in inutili dribbling fini a se stessi e senza avere atteggiamenti da divo beh, questa si che è una novità. Che lo rende l’esterno più credibile al momento di una squadra che sugli esterni costruisce le sue fortune. 6 reti in 875 minuti giocati, meglio di lui solo l’incredibile Mauri. Non solo reti però: assist, dribbling, personalità. Questo Ljaijc può prendersi la Roma.
IL PEGGIORE: Se De Sanctis appare a volte in crisi, Totti comincia ad accusare l’età e Destro fatica a trovare spazio, il peggiore di questa Roma non può che essere Ashley Cole, ennesima dimostrazione di come la carta d’identità e l’aver sempre giocato in Premier League possano incidere sul rendimento di uno che fino ad agosto era un campione conclamato. Già bandiera di Arsenal e Chelsea, Cole a Roma è parso da subito un pesce fuor d’acqua, confermando la tendenza dei calciatori britannici che ormai da anni in Italia non riescono ad adattarsi tatticamente. Garcia ha provato a dargli fiducia, ma le prove sul campo sono state talmente disastrose che perseverare sarebbe stato diabolico. Difficile dire se la carriera di questo splendido terzino (107 volte nazionale inglese) sia giunta al termine; facile azzardare che però a gennaio, almeno quella a Roma, sarà conclusa.

SAMPDORIA (8,5)
La dimostrazione dell’isteria del calcio italiano? La Sampdoria di questa stagione ne è un buon esempio a tutti i livelli. Partendo dal controverso presidente Ferrero, diventato in breve un personaggio “cult” da amare o odiare e su cui tutti si guardano bene di esprimere un parere equilibrato; passando da Sinisa Mihaijlovic, tutto ad un tratto diventato la nuova sensazione della panchina in Italia nonostante sia lo stesso tecnico bistrattato in passato da Fiorentina e Bologna; arrivando all’attacco, dove giocano uno Stefano Okaka che era stato dato per finito un filino prematuramente e un Manolo Gabbiadini che al contrario era stato dichiarato fenomeno già dai primi gol e che adesso che ha trovato un po’ di continuità già è in procinto di passare al Napoli per circa venti milioni. In mezzo a tutta questa isteria la Sampdoria naviga a vista, perdendo molto raramente e dimostrando che per fare una buona squadra non servono chissà quali milioni, bensì poche idee ma chiare. E quindi: portiere della Nazionale arrivata in finale ai Mondiali, difesa che affianca bocciati eccellenti – e prematuri – quali Silvestre e De Silvestri alla bandiera Gastaldello e all’interessantissimo Regini, centrocampo di qualità e quantità, tridente dove Okaka agisce da pivot per gli inserimenti di Gabbiadini e Eder segnando anche non poche reti. Un giocattolo perfetto, al momento, che dovrà però sopravvivere ai predoni di mercato che a gennaio – c’è da scommeterci – si presentaranno numerosi dalla Samp.
IL MIGLIORE: Finalmente, a 23 anni, Manolo Gabbiadini è riuscito a raggiungere quella continuità di rendimento che lo ha portato ad essere quell’ottimo attaccante che tanti pronosticavano sarebbe diventato già quando era agli esordi. Non è stata facile la strada per la consacrazione, per via anche di una polivalenza – fisico da centrale, movimenti da esterno – che più che un pregio ha rischiato di essere un limite alla sua crescita, con gli equivoci tattici in cui è caduto chi lo ha allenato prima di Mihaijlovic. Il quale, invece, ha saputo costruire la manovra offensiva capace di esaltarlo: grande merito delle 7 reti segnate dal talento di Calcinate va anche ai movimenti di Okaka, che gli apre gli spazi. Con il probabile passaggio al Napoli, Gabbiadini dovrà dimostrare di non patire il salto in una grande ne l’inevitabile cambiamento tattico a cui sarà sottoposto.
IL PEGGIORE: Difficile trovare un “peggiore” in questa Samp bella e che non molla mai. Se proprio si deve trovare una parziale delusione nella pattuglia di Mihaijlovic, forse si può individuare in Gonzalo Bergessio, che pur veniva da una stagione decisamente poco fortunata con il Catania culminata con la retrocessione. Abile nel giocare per la squadra così come portato alla finalizzazione, Genova per lui poteva essere l’occasione buona per nobilitare una carriera che lo ha visto esprimersi sotto il suo buon potenziale, invece l’esplosione di Okaka e Gabbiadini lo ha relegato nelle retrovie, detto che Eder è un intoccabile. Ora, con il mercato di gennaio, pare che non si muoverà vista anche l’imminente cessione di Gabbiadini. C’è fiducia in lui, dunque, e ci saranno anche spazi importanti. A lui sfruttarli a dovere.

SASSUOLO (7)
La salvezza sofferta della scorsa stagione non inganni: il Sassuolo è una solida realtà del calcio italiano, ha concluso il primo anno di A in gran crescendo dopo una prima metà di stagione dove ovviamente lo scotto da pagare da neo-promossa era importante, rivoluzionando la rosa e trovando la fiducia necessaria per fare punti con i migliori. Forse è per il rendimento mostrato negli ultimi mesi della stagione 2013-2014 che mi aspettavo un salto di qualità più marcato, viste anche le importanti operazioni di mercato concluse ad agosto: i migliori sono rimasti tutti, sono arrivati giocatori importanti come Consigli, Vrsaljko, Peluso e Taider. Nessun attaccante, ma del resto i nero-verdi presentano un tridente tra i più interessanti della A: Berardi-Zaza-Sansone. Ci sarebbe da sorridere, invece la scoppola rimediata alla seconda giornata contro l’Inter (7 a 0) sembra aver bloccato un po’ Di Francesco e i suoi, da allora più guardinghi e meno convincenti. I 20 punti in classifica, che valgono l’attuale 12° posto, non sono risultato da buttare ma onestamente mi aspettavo qualcosa di più. Rimane squadra con gran potenziale – soprattutto in avanti – e che merita simpatia e fiducia anche per l’alta percentuale di italiani in rosa.
IL MIGLIORE: Simone Zaza è arrivato in Nazionale, Domenico Berardi ci arriverà sicuramente e anche Nicola Sansone ha tutte le carte in regola per un futuro a buonissimi livelli. Tuttavia, in attesa della consacrazione dei “giovani leoni”, il migliore del Sassuolo è capitan Magnanelli, l’uomo deputato a far girare la squadra ed il regista su cui poggia l’intero 4-3-3 creato da Di Francesco. Al suo fianco agiscono giocatori di buona corsa ma a cui mancano idee e geometrie, compiti che invece spettano a questo regista sottovalutato e che con il Sassuolo si è fatto ben nove stagioni, dalla C2 alla A, resistendo a qualsiasi rivoluzione.
IL PEGGIORE: Non è affatto negativo il campionato di Domenico Berardi, che in altri tempi sarebbe già nel giro di una “big” visto il potenziale mostrato e non a ritagliarsi uno spazio con fatica al Sassuolo mentre un Morata che in carriera non ha mostrato poi così tanto più di lui viene invocato in campo dai tifosi della Juventus. Misteri del calcio odierno, anche se è vero che non sempre il talento finisce poi per realizzarsi. In ogni caso, se è vero che finora non ha giocato poi così male, è anche vero che non è certo questa la stagione dove il talento di proprietà-Juve sta facendo vedere le cose migliori. Pochi gol, poco incisivo, sembra sul punto di scoppiare ma per un motivo o per l’altro – complice anche uno spirito di sacrificio in fase di copertura che non sempre lo rende lucido in avanti – questa stagione sembra segnare quasi un’involuzione rispetto a quanto fatto vedere l’anno passato al debutto in Serie A.

TORINO (5)
Il grande Osvaldo Bagnoli diceva che il gioco di una squadra dipende dall’attaccante centrale e dalla sua capacità di dare profondità al gioco. Un’opinione, certo, ma è vero che il Torino di quest’anno dimostra quanta differenza possa fare avere una coppia di attaccanti rapidi e ispirati rispetto a una composta da giocatori tecnicamente ineccepibili ma abbastanza fermi sulle gambe. Quagliarella e Amauri non sono certo gli ultimi arrivati, ma l’impressione che si ricava vedendo una partita del Toro di Ventura di quest’anno è che il tecnico non sia riuscito ancora ad adeguare il resto della squadra al nuovo gioco che richiede la presenza di due punte così diverse per caratteristiche da Immobile e Cerci. E se è chiaro che non contano solo i gol, è risaputo che questi contano moltissimo nel calcio: per alzare il morale, per abbassare quello di chi ti affronta. Difficile ritrovare un Immobile, per cui ci sarà da faticare. La squadra pare comunque attrezzata per ottenere quella tranquilla salvezza che in fondo deve essere il più realistico degli obbiettivi. Se non altro il rientro di Gillet ha dato sicurezza dietro, dove si sta lentamente affermando Maksimovic. Darmian è una certezza ormai, Bruno Peres una piacevole sorpresa mentre ha deluso Nocerino anche prima dell’infortunio. In attacco occhio a Martinez, piccolo e sgusciante torello venezuelano che non avrà il gol in canna ma che in quanto a movimento è anni luce avanti ad un Amauri che sembra già un ex.
IL MIGLIORE: Jean François Gillet è un portiere che ha speso l’intera carriera in Italia, arrivandovi giovanissimo nel Monza e giocando poi per Bari, Treviso e Bologna prima di accasarsi al Torino. Idolo dei tifosi baresi grazie ad una lunga militanza, ha conquistato in breve anche i cuori dei tifosi granata prima di finire coinvolto nello scandalo del Calcioscommesse. Squalificato inizialmente per più di tre anni, si è visto ridurre la pena in appello ed è potuto tornare all’inizio di questa stagione dopo poco più di un anno. Buon per lui e per il Torino, che in Padelli aveva trovato un buon guardiano ma lontano dalle prestazioni che può garantire l’esperto portiere belga. Così, in una stagione difficile per la squadra, che fatica enormemente a segnare, almeno sapere di poter contare su un portiere di gran livello nonostante l’età – è prossimo ai 36 anni – non è cosa da poco.
IL PEGGIORE: Gli anni passano per tutti, anche per chi, quattro estati fa, divise l’Italia sul fatto se fosse o no il caso di convocare un brasiliano in Nazionale. Amauri Carvalho de Oliveira era a quei tempi giocatore della Juventus e stimato da tutti in A, tuttavia quell’ora scarsa in cui alla fine giocò in azzurro non ebbe seguito, e si può dire che fu lì che cominciò un lento declino che lo ha portato oggi ad essere l’acquisto più deludente del Torino insieme a Nocerino, che però perlomeno ha la scusa delle poche gare giocate – male – prima dell’infortunio. Amauri ha invece avuto fiducia da parte di Ventura, non riuscendo però mai a ripagarla. Il fisico non è più quello di una volta, e non gli permette di fare quel movimento che una volta gli veniva naturale, cosa già notata nelle ultime stagioni a Parma dove però veniva sorretto da qualche colpo di classe che tuttavia non era bastato ad evitargli qualche panchina di troppo. L’impressione è che finirà così anche a Torino, visto che la condizione in cui è adesso lo rende oggettivamente impresentabile in una Serie A che si sarà anche impoverita tecnicamente ma dove si corre e tanto. Il tramonto di un campione.

UDINESE (7)
Sostituire un’icona vincente e nota come Francesco Guidolin con un allenatore giovane e rampante quale Andrea Stramaccioni poteva sembrare un rischio a chi segue il calcio superficialmente, ma per chi si sforza di guardare in profondità nelle cose c’erano tutti gli ingredienti per continuare la tradizione di un club che mira come ogni anno alla valorizzazione dei tanti talenti prelevati in giro per il mondo: una società seria alle spalle, la permanenza dello stesso Guidolin pur in un ruolo “dietro le quinte”, giocatori di buon livello liberi di esprimersi al meglio in una piazza che sarà pure poco calorosa, ma che allo stesso tempo permette ai calciatori di “fare i calciatori” liberi da pressioni eccessive. Il tutto affidato ad un tecnico tutt’altro che bruciato da una prematura bocciatura in un Inter che poi – la storia lo ha confermato – è stata materia proibitiva anche per chi aveva alle spalle centinaia di panchine ad alto livello. Il ritorno nel calcio di Andrea Stramaccioni, tecnico serio e preparato, è una delle notizie più belle di questa stagione che sarà l’ennesima buona annata di una società che è ormai un modello per i tanti che in Italia si riempiono la bocca della parola “progetto”.
IL MIGLIORE: Ogni anno si dice che sarà l’ultimo per lui, che ormai la carta d’identità peserà. E invece Totò Di Natale è sempre il migliore, leader dell’Udinese da un decennio e bomber implacabile. Festeggia le 37 primavere sfondando il muro dei 200 gol in A, si candida per l’ennesima volta a correre per una classifica cannonieri che ha già vinto due volte in passato. Vero eroe di provincia, campione vero, invecchia come il vino buono ed ha ormai scritto a lettere cubitali il suo nome non solo nel cuore dei tifosi friulani, ma in quello di chiunque ami il calcio, le sue belle favole e i suoi grandi campioni.
IL PEGGIORE: Incredibile il declino precoce e inspiegabile patito da Luis Muriel, che alla prima stagione all’Udinese aveva conquistato la Serie A che conta grazie a doti tecniche e atletiche di prim’ordine. Rapido, tecnico, potente, abile nel dribbling, Muriel ha tutto per essere un predestinato e un futuro crack del calcio non solo italiano ma mondiale. Però tutto questo potenziale si sta lentamente bruciando: la scorsa stagione sono arrivati appena 4 gol in 24 presenze, quest’anno in 11 gare il colombiano è ancora a secco, spinto inoltre in panchina dall’esplosione di Thereau, che avrà meno colpi ma che è sicuramente più concreto e affidabile. Il rischio è che Muriel, tra strappi, acciacchi e chili di troppo, finisca per buttare via il suo grande talento: ma dipende soltanto da lui.

VERONA (5)
Ripetere il sorprendente 10° posto della passata stagione, quando per un momento la squadra di Mandorlini era sembrata addirittura in corsa per l’Europa, appariva francamente proibitivo: perso Iturbe, si è cercato di sostituirlo con Nico Lopez, talento enorme in cerca però di una vera consacrazione. L’uruguaiano, agendo al fianco di un Toni sempre efficace nonostante l’età sempre più avanzata, non ha fallito in zona-gol (4 reti) ma non ha lo stesso peso dell’argentino ora alla Roma in quanto a assist e classe. Tuttavia i problemi del Verona non stanno certo in attacco, quanto semmai in una difesa fragile che non si è giovata del puntello di esperienza rappresentato da Marquez e da un centrocampo che perso Jorginho fatica a fare di Tachtsidis quel regista dominante che era stato in B appena due stagioni fa. La Serie A sarà comunque scesa di livello, ma rimane comunque materia difficile per giocatori troppo acerbi come il greco o fin troppo maturi come Marquez e Saviola, altro acquisto deludente. L’attacco rimane comunque il punto di forza di una squadra partita per salvarsi e che in difesa e centrocampo fatica a trovare ordine e gerarchie, tolti il centrale Moras e il portiere Rafael.
IL MIGLIORE: Eterno Luca Toni, rinato a Verona quando ormai sembrava un ex e che come la scorsa stagione regge sulle sue ampie spalle il peso delle aspettative di una piazza nobile che vuole stabilizzarsi in Serie A dopo tanti anni di cadetteria. Gol ma non solo: carisma a palate, spazi per chi si inserisce da dietro, capacità di tenere su il pallone quando c’è da difendere un risultato, abilità nel gioco aereo tale da permettere alleggerimenti quando la situazione dietro si fa calda. Dopo aver confinato in panchina il bomber Cacia la scorsa stagione, quest’anno si è divorato il fragile Saviola e il poco convincente Nené, mascherando i limiti di una squadra che sul mercato si è mossa indubbiamente male. La domanda è: fino a quando ce la farà?
IL PEGGIORE: Due Champions League, quattro campionati spagnoli, uno francese e una Confederations Cup. Un curriculum di tutto rispetto quello di Rafa Marquez, difensore messicano per anni totem del Barcelona e venuto a Verona a concludere una carriera splendida e ricca di successi. Peccato che la carta d’identità dica che prossimamente il giocatore avrà 36 anni, una bella età per uno che anche da giovane non è mai stato un fulmine di guerra. Il Verona ne era conscio, e lo aveva acquistato più per il carisma e per il senso tattico che per un fisico prevedibilmente consumato da anni e anni di battaglie. Il problema è che finora Marquez non ha saputo prendere per mano la squadra, risultando poco convincente e poco integrato nonostante indubbi mezzi e indubbia volontà, tipica di un grande professionista. La sensazione è che, abituato da anni di alto livello, il giocatore non si trovi granché a lottare per la retrocessione con compagni ben meno talentuosi di quelli da cui era circondato negli anni in blaugrana.

 

 

 

 

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