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Tutto il calcio che Cola #43: il Calcio non poteva esserne immune – 27 Gen

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Árpád WeiszE’ il terzo Giorno della Memoria che ricordiamo sulle “pagine” di 1000 Cuori Rossoblu e l’Uomo nel Pallone. Nelle passate edizioni, vi abbiamo ricordato la storia di Árpád Weisz: grande allenatore, figura chiave del nostro calcio e innovatore per quel che riguarda le tecniche di allenamento, Weisz vinse tre Scudetti – uno con l’Ambrosiana-Inter, due con il Bologna – prima di fuggire in seguito alle leggi razziali che dimenticarono volutamente chi tanto aveva contribuito allo sport, alla cultura, e ad ogni altra cosa, in Italia. Fuggì in Olanda, venne catturato e deportato ad Auschwitz, dove morì come tanti, troppi altri. Per approfondire la sua storia (anche legata al Bologna), vi rimandiamo all’articolo “Il giorno della memoria: Arpad Weisz, dallo Scudetto ad Auschwitz“.

Ma non c’è solo la storia di Weisz, ed ecco che a 70 anni dall’apertura dei cancelli di Auschwitz, vogliamo ricordare con questo articolo anche altri uomini legati al mondo del calcio, che finirono la propria vita in un modo che nessuno può meritare e che non deve essere dimenticato.

József BraunUngherese ed ebreo come Weisz, era anche József Braun, sontuoso centrocampista dal gol facile così completo nei fondamentali che si diceva che a vederlo si imparasse a giocare a calcio. Vinse nove titoli nazionali con l’MTK Budapest, poi andò in America a dare spettacolo nel calcio a stelle e strisce degli esordi: biennio 1929-30, Brooklyn, la chiusura di una carriera che lo ha visto indossare anche 27 volte (numero considerevole ai tempi) la maglia della Nazionale, con 11 reti messe a segno. Bella l’America, ma il richiamo del calcio europeo è troppo forte per uno che il football vuole insegnarlo davvero. Nel 1939 allena l’MTK, squadra dove è già icona leggendaria, quando viene arrestato e condotto in un campo di lavoro forzato a Kharkiv, dove muore di stenti nel 1943, poco più che quarantenne. Vale la pena ricordarlo, era ebreo.

Józef KlotzJózef Klotz morì a quarant’anni, mentre passeggiava nel ghetto di Varsavia, fucilato dagli occupanti tedeschi. Forse nessuno lo sapeva, ma quel corpulento ebreo polacco era stato in gioventù un calciatore, e sarebbe passato alla storia. Arcigno difensore, in un’epoca dove i terzini difendevano e gli attaccanti segnavano era riuscito a realizzare il primo gol di sempre della Nazionale polacca, un preciso rigore contro la Svezia. Morì così, come migliaia di altri, colpevole solo di essere ebreo.

Leon SperlingMorì lo stesso anno e alla stessa età dell’ex compagno di squadra Klotz, anche Leon Sperling, prima stella assoluta del calcio in Polonia, esterno mancino mago del dribbling e leggenda del Klub Sportowy Cracovia, cui regalò tre titoli nazionali. Era stato confinato nel ghetto di Lwów, dove morì il dicembre del 1941, ucciso senza un perché. Anzi, un motivo c’era. Era ebreo.

Mentre non era ebreo uno dei compagni di Klotz e Sperling, Antoni Łyko, chiamato dai compagni “L’uomo senza nerviper via della sua proverbiale freddezza sotto porta: morì comunque anche lui, ad appena 34 anni, ad Auschwitz, dove fu internato come dissidente politico.

Antoni Łyko

Julius HirschJulius Hirsch, in Germania era un eroe, uno dei primi del calcio, elegantissimo centrocampista del Karlsruher che ai tempi dominava la scienza nazionale con il suo gioco fatto di elegantissimi palleggi tra gli attaccanti. “Juller” era dotato di un sinistro magico, che gli aveva permesso in una gara contro l’Olanda di andare a segno 4 volte e di essere un membro della squadra olimpica nel 1912. Durante la Grande Guerra la famiglia Hirsch si era distinta per patriottismo e lealtà: Julius aveva ricevuto la Croce di Ferro al valore, mentre il fratello Leopold aveva perso la vita combattendo. Il Nazismo dimenticò tutto, quando decise di procedere con la “Soluzione Finale”: Hirsch fu costretto a lasciare il Karlsruher, dove adesso allenava i giovani tedeschi, dopo trent’anni. Nel 1943, ormai cinquantenne, fu catturato dalla Gestapo e mandato ad Auschwitz, dove morì, probabilmente poco dopo l’arrivo. In una commovente lettera al suo club chiese che il sacrificio di tanti ebrei che avevano amato la Germania e combattuto per essa non venisse dimenticato, e così fu: dal 2005 la federazione tedesca ha istituito un premio in sua memoria, dedicato a chi si batte contro il razzismo. I due figli di Hirsch furono internati anch’essi ma furono salvati dall’arrivo dell’Armata Rossa. Si salvò invece uno dei suoi più famosi ex-compagni di squadra: Gottfried Fuchs. Avevano giocato insieme nel Karlsruher e alle Olimpiadi del 1912: in una clamorosa vittoria contro l’Impero Russo, Fuchs aveva segnato la bellezza di dieci reti nel 16 a 0 finale, passando alla storia. Di origine ebrea, appena intuì cos’era davvero il Nazismo fuggì in Canada, dove visse fino oltre i novant’anni, lontano dal Paese che – Hirsch insegna – lo avrebbe sicuramente rinnegato e poi ucciso.

Eddy HamelSalvarsi. Una fortuna che non capitò a Eddy Hamel, elegante ala destra americana che fu il primo ebreo a giocare nell’Ajax di Amsterdam, squadra della città “ebrea” per eccellenza ai tempi dell’Olocausto. Nato a New York e venuto a vivere in Olanda in giovane età, Hamel si impose subito all’attenzione dei fans grazie ad una grande velocità e ad un ottimo dribbling. Purtroppo però quando le truppe di Hitler invasero il Paese fu catturato come tanti altri e mandato ad Auschwitz. In qualche maniera riuscì a sopravvivere alcuni mesi, ma poi un giorno il medico nazista gli trovò un enorme ascesso che lo classificò come “inutile” e lo destinò alle “docce”, le famigerate camere a gas dalle quali nessuno usciva vivo.

Il Nazismo è stato il più grande male del secolo appena passato, portando alla morte oltre 15 milioni di persone, uccise perché ebree, zingare, omosessuali o di diversa fede politica. Le testimonianze di chi ha vissuto un tale orrore sono sui libri di storia, sono udibili in tanti documentari e per quanto ci sarà sempre qualcuno che tenterà di distorcere la realtà questo è stato uno scellerato genocidio che senza pietà ha fatto vittime ovunque.

Il calcio non poteva esserne immune…

Oggi è il “Giorno della Memoria”, un giorno importante, fondamentale, nel nostro essere umani. Un giorno per ricordare certi orrori, affinché non possano più accadere.

 

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