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Cinema nel Pallone: L’Ultimo Ultras

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Luca Vanni, capo-ultras dell’immaginaria squadra della Gladio, in uno scontro con tifosi rivali uccide in maniera fortuita un ragazzo. Sconvolto e ricercato dalla polizia, fugge al Nord dove vive in un albergo mantenendosi con le scommesse sui cavalli e cambiando identità in attesa che le acque si calmino. Proprio all’agenzia di scommesse conosce e si innamora di una commessa, Marina, ed entra in conflitto con un malavitoso locale, Bruno – interpretato dal vero capo dei tifosi del Milan Giancarlo Lombardi. Le cose precipitano quando quest’ultimo scopre chi è in realtà Luca e cosa nasconde…
Difficile essere indulgenti con un film che parte con una dichiarazione d’amore del regista al controverso mondo degli ultras (“Alla mia seconda vita”, la dichiarazione del regista nei titoli di testa) ma che dopo pochi secondi già fa intuire pochezza recitativa e registica. Ovviamente si parla di una produzione a basso costo dove non ci si può aspettare ne professionismo esagerato negli interpreti ne scene particolarmente spettacolari, tuttavia la sensazione che non si stia assistendo ad un film è forte e rimane per tutti i 90 minuti di durata. Alcuni spunti interessanti non mancano, come le riflessioni sulla vita di un ultras e soprattutto su cosa significhi farne parte, ma il tutto si perde a fronte di una realizzazione tecnica come detto molto povera e soprattutto – pecca ancora più grave, perché in questo caso il basso budget non è una giustificazione accettabile – in dei dialoghi perlomeno rivedibili se non evitabili e in una trama che più scontata non si può e che in certi momenti è anche assai inverosimile.
Il risultato finale è un tentativo di dare un senso al mondo ultras che fallisce miseramente, dato che oltretutto nella parte centrale del film questo stesso mondo viene praticamente accantonato per seguire le evoluzioni di Luca, diviso tra un amore nato in modo poco approfondito e una vita di delinquenza che non colpisce particolarmente, il tutto accompagnato da una colonna sonora che per buona parte sembra degna di “Centovetrine” – anche se è apprezzabile la canzone che conclude il film. Calvagna, che oltre a dirigere il film interpreta anche il protagonista, si impegna e non poco, ma ne la storia ne il personaggio riescono ad avere una qualche credibilità, e anzi in dei momenti sembra di assistere ad una fiction per la TV. E non certo una fiction di qualità, come ad esempio “Romanzo Criminale”, da dove arriva Mauro Meconi, che nella serie di Sollima interpretava “Fierolocchio” e qui è invece Dado, il migliore amico del protagonista. Un altro cameo di livello è quello di nientepopòdimenoche Andry Shevchenko, che discute con Luca in un bagno su cosa significhi essere ultras e su come questi vedano i calciatori: l’ex-Pallone d’Oro poteva senza dubbio essere sfruttato in maniera migliore, e anche il dialogo appare rivedibile e scontato – pur trattandosi di pochi minuti.
Insomma un film difficile da digerire anche per chi è interessato all’argomento, e in cui difficilmente si trovano risposte convincenti o opinioni che vadano al di là dello scontato. Il mondo degli ultras è descritto in maniera banale e semplicistica, e questi ben poco tratteggiati: per fare un esempio il personagggio principale, in un dialogo con il padre, da la colpa al suo essere violento a tutta la violenza vista negli stadi da ragazzo, come se il calcio, lo stadio, l’essere ultras fosse solo questo. Una violenza stupida e senza senso che sembra presa in prestito da “Green Street Hooligan”, di cui però il film non ha minimamente la spettacolarità ed il realismo delle riprese.
“Tutto questo non c’entra niente con il calcio”, dice Luca ad un certo punto riferendosi alla sua vita e agli scontri tra tifosi. Beh, nemmeno con gli ultras, verrebbe da aggiungere, il cui fenomeno sembra strumentalizzato dal regista romano per raccontare la solita storia di peccato e redenzione di un uomo comune che si trova in un gioco più grande di lui.
E tutto questo (film) sembra non entrarci niente nemmeno con il cinema, purtroppo. 

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