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Film – La chiave di Sara – Di Giulio Bovi

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Titolo: La chiave di Sara
Nazione: Francia
Genere: drammatico
Durata: 106 minuti
Regia: Gilles Paquet-Brenner
Cast: Kristin Scott Thomas, Mélusine Mayance, Niels Arestrup, Frederic Pierrot
Produzione: Hugo Productions

Recensione

Tutto inizia la mattina del 16 luglio 1942, quando la polizia francese fa irruzione in casa Starzynski per condurre l’intera famiglia all’interno del “Velodromo d’Inverno”, dove 13.000 ebrei francesi vennero ammassati in condizioni pietose e disumane in attesa di essere condotti nei campi di concentramento nazisti.
Tratto dall’omonimo romanzo di Tatiana De Rosnay, il film diretto da Gilles Paquet-Brenner, non si svolge però tutto in quell’epoca ma viene alternato in continuazione con la Parigi 2009, dove la splendida Kristin Scott Thomas (ci si ricorda di lei nel film “L’amante inglese”) interpreta il ruolo di Julia Jarmond, giornalista americana che vive in Francia da 20 anni, che sta facendo un’inchiesta sui doloroso fatti del Velodromo d’Inverno. Julia s’imbatte nella figura di Sarah Starzynski, che nel 1942 aveva solo 10 anni, e trasforma le indagini sull’esistenza della piccola in una questione personale, qualcosa che potrebbe essere legato a un mistero della sua famiglia. A 60 anni di distanza è possibile che 2 destini si incrocino portando alla luce un segreto che sconvolgerà per sempre la vita di Julia e dei suoi cari? A volte una verità che appartiene al passato comporta un prezzo da pagare nel presente.
Forte di un cast ben diretto, Paquet-Brenner inserisce nei 106 minuti di visione connotati di giallo, senza dimenticare i momenti di tensione che permettono a rivelazioni e segreti di emergere man mano che il racconto procede. Qui offre bei dialoghi forniti dalla sceneggiatura fatta insieme a Serge Joncour, con l’attenzione rivolta a una triste pagina dell’Olocausto, curiosamente tenuta abbastanza nascosta dalla settima arte e dai media in genere.
Ed è proprio questo il motivo principale per spingere alla visione del film, storia di destini incrociati, narrata senza fermarsi banalmente su quelli che furono gli orrori della seconda guerra mondiale, ma insistendo sull’importanza della memoria, del ricordo.
Due aspetti ben precisi compongono il copione: quello vero ispirato ad uno dei numerosi e tragici momenti della persecuzione nazista, ancora piu triste perchè legato a una inspiegabile complicità dei francesi stessi e quello contemporaneo, inventato per verificare gli effetti di una storia che ha ormai 70 anni.
E’ una verifica opportuna che mira a quelle generazioni che dal dopoguerra in avanti hanno avuto un rapporto labile col passato sopratutto ai piu giovani del tutto all’oscuro dei nomi e dei luoghi (a Parigi, come si sa, il Velodromo d’Inverno non esiste piu)
Julia si trova al bivio tra il non sapere e la voglia di conoscere tutto, con la certezza che la sua iniziativa giornalistica possa aiutare gli altri nella costruzione di una memoria condivisa.
Accanto a questa memoria, molto forti emergono anche i temi della responsabilità collettiva, della coscienza, della verità che deve guidare il nostro agire quotidiano.
Insieme a questo Julia affronta anche il tema della gravidanza, risolta con decisione nel far nascere la figlia e di affidare a lei la nuova scommessa di una storia piu pacifica e condivisa.
La frase cult: “Era la persona piu triste che io avessi mai conosciuto”

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