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Oggi è Successo (16 Gennaio)

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16 gennaio 1955 nasce Nicolini Enrico.

Nicolini Enrico è nato a Genova il 16 gennaio 1955. Centrocampista.

Al Bologna dal 1985 al 1987:

78 presenze (64 in B, 14 in Coppa Italia),

7 gol (6 in B, 1 in Coppa Italia).

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16 gennaio 1885, nasce Enrico Porro, lottatore.

Enrico Porro (Lodi Vecchio, 16 gennaio 1885Milano, 14 marzo 1967) è stato un lottatore italiano, vincitore della medaglia d’oro alle Olimpiadi di Londra del 1908 nella lotta greco-romana, categoria pesi leggeri (66,6 kg).

Alto poco più di un metro e mezzo, biondo, occhi azzurri, orecchie a sventola, sorriso furbo, dotato di un possente torace, due braccia come tronchi e muscoli d’acciaio, a diciassette anni partecipò al suo primo torneo ufficiale a Legnano conquistando la medaglia d’oro. Era una competizione di un certo prestigio e ‘La Gazzetta’ ne riportò il resoconto definendo Enrico “il ragazzo che atterra gli uomini”. Per riuscire, aveva messo a punto una tecnica che lui chiamava ‘souplesse’ e consisteva nell’attendere l’assalto dell’avversario per poi prenderlo in controtempo con una scaltrezza che gli veniva naturale e infine rovesciarlo. Aveva carattere e mordente e la giusta cattiveria per imporsi in gara.

La lotta gli piaceva, poteva sfogare la sua esuberanza e sarebbe andato alle olimpiadi di S. Louis nel 1904 se non fosse stato impedito dal servizio di leva, che in marina durava cinque anni, imbarcato sul cacciatorpediniere “Castelfidardo”. L’anno successivo partecipò al campionato italiano nella categoria dei pesi leggeri, la minore delle quattro in cui erano divisi in quegli anni gli atleti. Un così ristretto numero di specialità faceva sì che potessero svolgersi impari incontri fra due lottatori con l’enorme differenza di 10 kg e oltre, cosa che capitava anche al nostro Enrico che coi suoi 60 kg doveva, a volte, lottare con avversari di 68 kg. L’handicap però non gli impedì di vincere il suo primo titolo. Aveva venti anni e l’anno successivo si riconfermò campione d’Italia, conquistando anche uno stupendo europeo. Con queste credenziali si presentò nel 1908 ai Giochi olimpici di Londra dopo che la Regia Marina, solo pochi giorni prima della gara, gli accordò una licenza.

Quelle IV Olimpiadi, che in un primo momento erano state affidate all’Italia, la quale declinò l’incarico ritenendolo troppo oneroso, erano le prime in cui si facevano le cose con i dovuti crismi sportivi: fin lì i giochi erano stati una via di mezzo tra lo sport e la sagra folcloristica. Nel 1900 a Parigi i giochi furono abbinati alla colossale “1ª Exposition Internationale” dalla quale furono quasi oscurati ed i pochi atleti italiani presenti lo erano a titolo personale ed a proprie spese. A quella Olimpiade Giangiorgio Trissino vinse il concorso di salto in alto nell’equitazione e Antonio Conte la gara di sciabola, ma i loro sport erano considerati professionisti e di dimostrazione e nessuna medaglia fu loro assegnata.

Anche nel 1904 a St. Louis, dove non vi erano italiani, i giochi furono messi in subordine alla “Louisiana Purchase Exposition” , un’importante fiera mercato, ed oltre tutto vennero gestiti ‘all’americana’ alternando prove ufficiali a gare da baraccone, come la lotta tra Patagoni e Pellerossa, il getto del peso tra Pigmei, il tiro con l’arco tra Sioux e Cherokee ed altre stravaganze. Nel 1906 ci fu, ad Atene, l’Olimpiade del decennale ma si trattò di una competizione mai riconosciuta dal CIO.

A Londra, invece, lo sport olimpico trovò la sua giusta dimensione e la federazione italiana fu presente in maniera ufficiale con una discreta pattuglia di atleti e con le buone speranze di vincere le prime medaglie. Nella sua competizione, Enrico Porro, fu subito fortunato perché passò il primo turno senza combattere. Lo fu meno nel secondo quando gli toccò l’ungherese József Téger col quale si allenava ogni mattina e che riuscì a capire la sua tattica. Ne uscì un incontro lunghissimo perché l’ungherese non attaccò mai. Alla fine Enrico riuscì a vincere ma si trovò a dover fronteggiare l’ostilità degli arbitri, antipatia che si manifestò anche nei successivi incontri e in generale verso gli atleti italiani.

Il secondo lungo incontro lo disputò contro lo svedese Gustaf Malmström. Vinse pure quello e si guadagnò le simpatie del pubblico londinese che vedeva in quel giovane, tanto più piccolo dei suoi avversari, un novello Davide. Il terzo match era la semifinale e davanti aveva un altro svedese, Axel Persson. Ne uscì ancora un combattimento durissimo e infinito sempre con gli arbitri avversi, che comunque vide Enrico prevalere. Nella foga della lotta il suo costume andò in brandelli, cosa che gli era già successa nei precedenti incontri e, siccome i mezzi della federazione erano ridotti, si trovò a non aver più divisa. Fu un finlandese che gli prestò il suo indumento permettendogli di scendere in pedana per la finale, ma ci stava due volte.

Era il 25 luglio e di fronte aveva il russo Nikolay Orlov di sette chili più pesante, forte fisicamente e che aveva studiato le sue mosse. La scaramanzia ci mise puro lo zampino perché in quel torneo olimpico, come in una ‘gabola balorda’, (come diceva Enrico nei suoi ricordi) tutti i lottatori con le calze rosse avevano vinto e tutti quelli con le calze verdi avevano perso e ad Enrico avevano maliziosamente dato quelle verdi. Fu una finale interminabile. Come regola, allora, si disputavano due lunghe riprese di 15 minuti l’una e poi lotta ad oltranza, finché uno dei due non fosse crollato; alle olimpiadi si optò per un terzo round di 20 minuti che i giudici pretesero non essendo convinti della superiorità di Porro.

Alla fine Enrico riuscì a conquistare il titolo fra il giubilo del pubblico che parteggiava per lui. Venne premiato dalla regina Alessandra che ebbe parole di complimento ed elogio nel cingergli la medaglia d’oro, la prima che la federazione d’Italia vinceva.

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