Motor Valley
Bandini, romagnolo in America
Le origini e le prime vetture
Nata a Forlì nel 1946, la storia della Bandini Automobili è indissolubilmente legata alla vita del suo fondatore, l’ingegner Ilario Bandini.
Il destino di Bandini comincia già a prendere forma quando, appena finite le scuole elementari, comincia a lavorare come meccanico. A 25 anni anni parte per l’Eritrea, colonia italiana, dove per 4 anni ripara camion; quando nel 1939 fa ritorno in Italia, grazie all’esperienza accumulata nel settore e ai risparmi messi da parte, è in grado di aprire la propria autorimessa a Forlì, sua città natale. Nello stesso anno comincia anche a gareggiare come motociclista su vari circuiti romagnoli, tra cui quelli di Faenza, Lugo e Imola; nel 1940 prende parte anche alla sua prima Mille Miglia alla guida di una Fiat Balilla Coppa d’oro. Durante il secondo Dopoguerra scopre la sua vena creativa in campo automobilistico: mentre riassembla una Fiat 1100 che aveva smontato per nasconderla alle perquisizioni dei tedeschi, decide di modificarne il telaio e la struttura sospensiva; grazie anche al carrozziere torinese Rocco Motto, che realizza la carrozzeria in alluminio, nasce nel 1946 la prima vettura targata Bandini, la 1100. Il logo che Bandini sceglie di associare alle sue vetture esprime il forte legame con la sua terra: il galletto rampante e la caveja romagnola rappresentati su sfondo giallo sono simbolo della città di Forlì.
Sulla base di questa prima automobile, nascono anche la 1100 sport e la 1100 siluro; entrambe sono dotate di un telaio a tubi a sezione ellittica progettato e brevettato da Ilario Bandini, vero tratto distintivo di queste vetture. In particolare, la seconda, spinta da un motore Fiat modificato in bialbero di derivazione Alfa Romeo, è la prima Bandini nata propriamente per le corse; prenderà infatti parte alla Mille Miglia del 1949, e ad altre varie gare in Italia, ottenendo una prestigiosa vittoria di classe nel Giro dell’Umbria.
Italianità in America
La Bandini manterrà sempre i connotati di un’attività artigianale: limita il più possibile la collaborazione con aziende esterne e non produce su larga scala, tant’è che tra gli anni Cinquanta e Sessanta, periodo di maggior attività della casa forlivese, vengono prodotte solamente 75 automobili. Ciononostante la creatività di Bandini consentirà alle sue vetture da corsa di essere sempre al passo coi tempi, non rinunciando mai a innovare tutti i loro aspetti, dal telaio al motore. Non solo: l’inventiva di Bandini contribuirà alla diffusione dell’inconfondibile stile italiano in America. Infatti, il marchio romagnolo ottiene la sua massima espansione proprio nel paese a stelle e strisce. L’intuizione di Tony Pompeo, importatore di automobili italoamericano, convince Bandini ad adattare i suoi telai su vetture di cilindrata da 750 cc: nasce così la Bandini 750 sport siluro. Spinta da motore Crosley, quest’automobile conquista gli States, riscuotendo grande successo nei campionati nazionali SCCA, Sports Car Club of America: nel 1955, nelle mani del pilota statunitense Dolph Vilardi, vince il titolo di categoria; la vettura forlivese si ripete due anni dopo, con Melvin Sachs che alla guida di una Bandini domina il campionato. Grazie ai suoi successi, la 750 sport siluro, prodotta tra il 1950 e il 1956, si impone come simbolo delle automobili Bandini: oltreoceano diventa una vera e propria superstar, venendo esposta nel palazzetto più famoso del mondo, il Madison Square Garden di New York, e strappando le copertine delle riviste più lette d’America. Grazie ad alcune modifiche operate da Ilario Bandini per poter partecipare ai campionati 750 corsa, tra cui l’applicazione di parafanghi tipo moto, la 750 sport siluro rimarrà competitiva fino al 1963, anno in cui coglie la sua ultima vittoria.
Nel 1960, Bandini riceve un’offerta molto importante: la Crosley gli propone di trasferire gli stabilimenti della sua azienda a Cincinnati; il forlivese però non vuole lasciare la Romagna. Tuttavia, competere con i potenti costruttori statunitensi diventa sempre più difficile per il solo Bandini, che a metà degli anni Sessanta è costretto ad abbandonare il sogno americano, facendo ritorno in Italia.
Nei suoi anni a stelle e strisce, Bandini riceve anche le chiavi della città dal sindaco di Daytona, teatro di una celebre 500 miglia; inoltre, qualche anno dopo, una delle sue vetture verrà esposta nel museo Marconi di Los Angeles. Non solo: un altro attestato di stima arriva dall’Università di New York, che gli conferisce la laurea honoris causa in ingegneria meccanica.
L’eredità di Bandini
Anche dopo il ritorno a casa, la passione di Ilario non viene mai a mancare. Nel 1975 diventa simbolo del Gruppo piloti Bandini, facendosi organizzatore di una fiera che nella seconda metà degli anni Settanta porterà a Forlì sia la McLaren di James Hunt che la Ferrari di Niki Lauda, attirando migliaia di visitatori. Termina la progettazione della sua ultima vettura, una Bandini Berlinetta 1000 Turbo 16 cv, all’età di 80 anni, pochi mesi prima della sua morte nell’aprile del 1992. Con il decesso del suo fondatore, si interrompe l’attività della Bandini; la storia e i decenni di lavoro del forlivese sono perpetuati dal nipote Dino, proprietario del Registro storico Bandini e custode dell’omonima collezione di automobili, dove è tutt’oggi possibile ammirare i pezzi più iconici della casa romagnola.
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