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F1 Detroit 1988, i primi punti della Minardi

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Pierluigi Martini a Detroit sulla Minardi M188Il GP degli Stati Uniti del 1988 è stato un crocevia nella storia del Minardi Team e in quella di Pierluigi Martini, che quella gara non avrebbe nemmeno dovuto correrla. In un’epoca dove la McLaren iniziava a dominare, in una gara di Detroit dove le auto di Ron Dennis arrivarono prima e seconda, doppiando tutti gli altri, la piccola Minardi riuscì, in un momento in cui era con le spalle al muro, a conquistare i suoi primi punti iridati.

Una scelta difficile

Alla vigilia di quella gara, Gian Carlo Minardi prese una decisione molto difficile. La M188 non era una vettura semplice, soprattutto per alcune scelte progettuali dell’Ing. Giacomo Caliri che si rivelarono poco felici. I piloti erano Luis Perez-Sala e Adrian Campos che, per tre gare consecutive, non si qualificò. Erano i tempi delle oltre trenta vetture iscritte e solo 26 potevano accedere alla gara. Per tante piccole scuderie, le qualifiche erano una terribile tagliola.

Minardi si sentì in dovere di dare una scossa all’ambiente e, prima della trasferta statunitense, decise di appiedare Campos per richiamare Martini, pilota del debutto della sua scuderia. Il romagnolo non correva in F1 da quel 1985, anno in cui, con l’esordiente Minardi, non riuscì a eccellere, dopo essere stato chiamato a sostituire Alessandro Nannini, al quale non fu concessa la superlicenza. C’era però un piccolo problema da risolvere. Sala e Campos erano spagnoli, così come lo sponsor principale di quella Minardi, la Lois. «Presi la difficile decisione di sostituire Adrian con Piero Martini», disse anni dopo Minardi in un’intervista apparsa sul suo sito ufficiale. «Avvisai il Presidente della Lois prendendomi tutti i rischi del caso». Lo sponsor accettò con riserva la decisione. Questa riserva e questa fiducia avevano un termine. Senza il supporto della Lois, la Minardi avrebbe avuto probabilmente vita breve. Da subito la decisione si rivelò buona. «Piero arrivò in pista senza aver provato la M188, e in qualifica riuscì a segnare comunque in ottimo 1’45″048 che gli valse il sedicesimo posto, davanti a piloti del calibro di Stefan Johansson e Renè Arnoux e a team come Tyrrell e Ligier». Quel sedicesimo tempo, fino a quel momento, era il secondo miglior risultato dell’anno nelle prove ufficiali per la Minardi.

La gara

In un periodo dove anche solo arrivare al traguardo poteva essere un miracolo, soprattutto per una piccola squadra come il Minardi Team, la gara si prospettava durissima. Martini partì forte e in pochi giri, complice anche alcuni ritiri, si ritrovò ai margini della zona punti. Al 23° giro era quinto, e lì avrebbe probabilmente concluso la sua gara, se non fosse stato per Jonathan Palmer, sulla Tyrrell, che sembrava in stato di grazia. «Detroit ’88 cambio la mia vita da pilota, ma fu altrettanto importante per il team. Quando arrivò la chiamata da Gian Carlo, correvo in F3000», ricordò Martini in un’intervista al sito minardi.it. «Non potrò mai dimenticare quel weekend. La M188 era una macchina talmente difficile e impegnativa da guidare che il volante mi aveva portato via i polpastrelli dalle due mani. Ho finito la gara con la forza della disperazione. Dopo 23 giri, ero in quinta posizione e quando lessi sulla lavagnetta esposta dal muretto che mancavano ancora 40 giri non volevo crederci, ma strinsi i denti».

La macchina, soprannominata il Cammello, sobbalzava ad ogni imperfezione dell’asfalto del tracciato cittadino, eredità della conformazione della sospensione anteriore scelta da Caliri. «Facevo più fatica a tenerla in strada in rettilineo che in curva», confessò il pilota della Minardi. La scuderia adottò anche una strategia audace, che si rivelò efficace: «Minardi scelse di non cambiare le gomme, tagliai il traguardo sulle tele. Sul finale toccai anche il guard-rail, ma per fortuna la ruota non si ruppe. Era il nostro giorno perfetto”.

Le ultime tornate furono particolarmente tribolate non solo per Martini nell’abitacolo della sua numero 23. Anche al muretto box c’era un’atmosfera tesa. Sala infatti, al giro 54, si era ritirato per un problema tecnico e la possibilità che il problema si ripetesse anche sull’altra monoposto mise ansia a Minardi. «Gli ultimi giri furono di alta tensione, soprattutto dopo il ritiro di Luis per il cedimento del cambio».

Il primo punto iridato

Martini riuscì a tagliare il traguardo in sesta posizione, attardato di un giro dal vincitore Ayrton Senna, che dominò la gara staccando di quasi 34 secondi Alain Prost, suo compagno di squadra. Martini, durante la corsa, riuscì anche a sdoppiarsi di un giro dal brasiliano, dopo esser stato doppiato dal futuro campione del mondo per ben due volte. «Piero ci regalò il primo punto mondiale della nostra storia, il primo dopo tre anni non facili dal nostro arrivo in Formula 1». Da lì la Minardi prese un’altra piega. Quel risultato «segnò l’inizio di un miglioramento costante», affermò il fondatore della scuderia romagnola.

La giornata terminò con le celebrazioni per quell’insperato traguardo, che consentì, alla fine della stagione, di ottenere per la prima volta il premio per aver ottenuto un punto iridato. «Alla sera festeggiammo con una cena all’ultimo piano della torre di Detroit insieme al presidente della Lois», ricorda Minardi. Nonostante il risultato, la rivoluzione a Faenza continuò. In estate arrivarono alcuni giovani ingegneri, tra i quali Aldo Costa e Gabriele Tredozi, che apportarono alcune modifiche al progetto, cambiando la sospensione anteriore. La M188 divenne così la monoposto che generò la M189, una delle vetture meglio riuscite della storia della Minardi. Con quel punticino, che all’epoca valeva come una vittoria, Martini diede speranza e futuro a Minardi, allo sponsor Lois, che successivamente confermò il sostegno al team per la stagione successiva e anche a sé stesso. Lui che, quel Gran Premio, avrebbe dovuto vederlo da casa.

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