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Rachele Somaschini: «Il mio libro racconta tutte le sfumature della mia vita. Un giorno spero di tornare nel WRC»

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In occasione della cena benefica, a sostegno della FONDAZIONE RICERCA FIBROSI CISTICA, organizzata a Castel San Pietro da Leo e Lions Club lo scorso 8 marzo, abbiamo intervistato Rachele Somaschini, pilota italiana di Rally. La trentenne milanese combatte da sempre contro una malattia genetica grave: la fibrosi cistiche, che però non l’ha fermata da raggiungere i suoi sogni. Ha deciso di raccontare la sua storia in “Correre per un respiro”, libro autobiografico che è stato presentato nella serata e di cui i ricavi ottenuti dalle donazioni fatte da commensali e ospiti, sono stati devoluti tutti alla fondazione.

Nel tuo libro racconti una storia di forza, coraggio e speranza. Quale messaggio vuoi lasciare a chi legge la tua opera autobiografica?

«”Correre per un respiro” nasce per raccontare una storia con un messaggio positivo. Ripercorrere delle tappe, alcune simpatiche e felici altre più dolorose ma che mi hanno permesso di arrivare dove sono oggi. Nel mio libro si ride, si piange, si scoprono tante cose rallistiche e altri momenti più di vita quotidiana come i ricoveri ospedalieri; questo per rappresentare quelle che sono tutte le sfumature della vita in generale. Quello che ho capito è che passare attraverso momenti difficili, poi ti fa apprezzare ancora di più quelli felici. Il fine ultimo è quello di sensibilizzare l’argomento e di raccogliere i fondi per la fondazione. Infatti insieme alla casa editrice abbiamo stretto un accordo con cui ho ottenuto di avere un prezzo il più scontato possibile, in modo da essere una vera e propria donazione per il finanziamento del progetto di ricerca “Una cura per tutti”».

Di quale parte del libro ci vuoi raccontare qualcosa?

«Il finale è commovente. Nel sesto capitolo invece introduco una figura chiave della mia vita, che si chiama Angelica, una persona che soffriva della mia stessa malattia. Grazie a lei io riesco ad affrontare la fibrosi cistica in modo diverso; senza paura e con la consapevolezza di avere un compagno di vita ingombrante che spesso ti toglie la spensieratezza, soprattutto quando sei piccola perché devi responsabilizzarti subito. Angelica, con una mutazione molto più grave della mia, all’età di 25 anni ha dovuto affrontare un trapianto polmonare, che poi purtroppo non è andato bene, in quanto dopo l’intervento ha avuto delle grosse complicazioni. Io in quel periodo iniziavo ad avere i primi problemi legati alla malattia, ecco, in quel momento, nonostante stesse molto peggio me, fu lei a darmi tantissima forza. Per questo porto sempre con una sua frase, anche sulla mia macchina da corsa che è “Sei tutti i limiti che superi”. Quando la leggo mi ricorda lei e la forza che mi ha dato nei momenti difficili e la carica di portare avanti questo messaggio per chi come lei ha combattuto tanto e combatte tutt’oggi».

Come è cambiato nel tempo il tuo rapporto con la fibrosi cistica, anche a fronte degli impegni sportivi che sono aumentati e diventati sempre più importanti?

«Ricordo con piacere la prima volta che ho parlato della malattia in pubblico. Avevo 16 anni ed ero al ballo delle debuttanti. Mi trovavo in un ambiente a me completamente estrano, anche perché ero già abituata a girare con mio papà per circuiti o con la moto. Quando la fondazione mi ha detto che avevano piacere che io fossi il loro volto di rappresentanza a quell’evento mi sono trovata un attimo spiazzata, ma ho accettato e con coraggio mi sono ritrovata a parlare in pubblico di me e della mia storia davanti a centinaia di persone. Nello stesso modo affronto la mia malattia quotidianamente. Il 2023 è stato l’anno più difficile della mia vita; sto combattendo un batterio, che per essere trattato ha bisogno di una cura sperimentale a base di molti antibiotici. Sono stata più di 40 giorni in ospedale e se ne sono aggiunti altri 32 tra gennaio e febbraio. Non è un periodo semplice, ma grazie alla vicinanza della mia famiglia e di chi mi vuole bene sto trovando la forza per andare avanti nel mio percorso. I miei obiettivi diventano sempre più ambiziosi e questo mi aiuta a concentrarmi sulla mia carriera e la realizzazione dei miei sogni, staccando quindi la mente dai ricordi dell’ospedale. Avere qualcosa a cui puntare sicuramente aiuta».

C’è mai stato un momento in cui hai pensato di mollare tutto?

«Non lo so sinceramente, ma direi di no. Sicuramente ci sono dei periodi in cui pensi “cosa ho fatto di male?”; momenti di sconforto che provi a far durare il meno possibile. Sto cercando di sviluppare una tecnica per evadere da quei momenti, soprattutto quando sono in ospedale. Fortunatamente quei momenti finiscono anche e una volta passato il temporale si torna a pensare alle cose belle e ai sogni che voglio realizzare».

Nel 2019 tu hai partecipato al Rally di Montecarlo, tappa del WRC (mondiale rally). Quali erano le sensazioni alla vigilia di quell’appuntamento e cosa ti ricordi di quel momento speciale?

«Il Rally di Montecarlo lo ricordo sempre con molto piacere, infatti nel libro ci sarà un capitolo dedicato. Un evento tostissimo, ma che mi ha dato grande soddisfazione. Già quando uscì l’elenco degli iscritti ed ho visto il mio nome insieme a quello dei miei idoli è stato bellissimo. All’attivo avevo già la partecipazione a 11 rally e poi ho scritto una bella lettera di presentazione all’organizzazione, raccontando la mia storia. Con me sono stati gentilissimi e poi mi hanno detto che quando sono salita sul palco partenza lo speaker ha fatto una bellissima introduzione, raccontando la mia storia e questo messaggio di sensibilizzazione è passato in mondovisione. L’evento in sé è tostissimo. Sono più di 5000 km e stai fuori una settimana, in cui triboli tra fango e ghiaccio. All’arrivo sono stata premiata anche da Michèle Mouton e quello è stato per me il miglior modo di terminare l’esperienza».

Rachele Somaschini al Rally di Montecarlo nel 2019 – credits to RacheleSomaschini.com

Nella tua carriera qual è il momento che ricordi con più soddisfazione?

«Sicuramente quanto successo a dicembre 2023 è un qualcosa che mi porto dentro con grande gioia. Venivo da quattro settimane di una terapia antibiotica molto forte e avevo l’ultima tappa di campionato a Monza, tappa di casa. Per portarmi a casa il terzo titolo dovevo vincere e la mia avversaria arrivare terza. Dopo la fatica fatta nei giorni precedenti, non sapevo se sarei riuscita a farcela; ma dopo molte peripezie nei tracciati delle varie prove ho trionfato tornando alla vittoria del campionato italiano e quel momento per me è stato molto importante».

Se pensiamo ai Rally, vengono in mente due donne su tutte: Michèle Mouton e Fabrizia Pons. Le vedi come due fonti di ispirazione per te? Hai altri personaggi a cui ti ispiri?

«Sicuramente Michèle Mouton è l’unico vero idolo che possiamo aver e perché ad oggi è l’unica donna che è riuscita a vincere una tappa del Mondiale Rally ed è stata vicecampionessa del mondo. Fabrizia Pons è un’amica e forse quest’anno riusciamo a fare una gara insieme, ma vedremo, per me sarebbe un onore. Per me un altro idolo è Alex Zanardi, che mi ha premiato al Mugello quando vinsi il Mini Challenge. Quando lo incontrai capii subito che lui è una di quelle persone che ti lasciano un’emozione incredibile, proprio perché ne percepisci la forza. Ti insegna a guardare ciò che hai e che puoi fare e non ciò che ti manca».

Il motorsport al femminile è un movimento in crescita. In che punto del suo percorso pensi sia in questo momento storico?

«Diciamo che questo è un argomento un po’ spinoso. Da un lato sono sempre più contenta che ci siano molte donne nel mondo dei motori. I primi anni in cui correvo ti guardavano con occhi quasi stupiti di vederti lì. L’essere donna ti da molta visibilità, quindi molto spesso hai gli occhi di tutti puntati sui risultati che otterrai, ma allo stesso tempo proprio per questo devi dare il 120%, perché se sbagli qualcosa la visibilità acquisita ti torna indietro come un boomerang. Vorrei quindi ci fosse una mentalità più aperta e che quando un pilota sbagli, lo faccia perché è umano e non perché è uomo o donna. Dall’altro punto di vista spero che culturalmente si raggiunga un equilibrio nell’insegnare ad un bambino o ad una bambina che non esistono solo sport femminili o solo sport maschili. Semplicemente esistono le passioni. In questo ultimo periodo però non mi piace dei campionati o situazioni in cui le donne sembrano categorie protette. Lo vedi nei campionati monomarca come la F1 Academy, in cui l’obiettivo dovrebbe essere quello di portare la migliore in F1, ma al momento non è così. Spero solo che non siano trovate di marketing ma che siano progetti seri, anche perché molte famiglie investono molto economicamente per far correre le figlie. Lato mio spero di poter essere un esempio e che un giorno ci possa essere la nuova Michèle Mouton».

Tu sei parte della commissione FIA Women in Motorsport, come Deborah Mayer. Lei ha creato una realtà solida come Iron Dames, che ora è sbarcata anche nei rally. Ti piacerebbe un giorno vestire la tuta magenta?

«Certamente! Sarebbe il frutto di tanti anni di sacrifici fatti a livello personale. Il momento in cui qualcuno investe in te e ti porta nell’élite del motorsport è sicuramente una grande opportunità. Nel senso che un giorno mi piacerebbe correre senza pensare a tutto il resto. Iron Dames sono viste come donne che vincono in campionati misti, come è giusto che sia ed è una realtà incredibile. Quindi sì, se ci fosse l’opportunità mi piacerebbe farne assolutamente parte».

Rachele Somaschini in gara al Rally di Monza lo scorso dicembre. Tappa in cui ha vinto il suo terzo campionato italiano femminile – credits to RacheleSomaschini.com

Tra poco inizia la tua stagione. Cosa ti aspetti da questo campionato?

«Non lo so (ride, ndr). È stato un campionato molto last minute, perché non sapevo come avrei reagito all’ultima cura che ho fatto. Dopo l’europeo che è stato un appuntamento inseguito per tanti anni e molto impegnativo a livello fisico e mentale, tornare nell’italiano è stato un po’ un colpo al cuore. Semplicemente perché dopo una stagione in cui impari come vanno le cose, l’anno successivo è quello per dire la tua, ma io ho dovuto fare un passo indietro. Allo stesso tempo credo che al progetto farà molto bene per visibilità e sostegno e per me quest’anno sarà fondamentale per tornare in forma e poi proseguire il mio percorso. Spero che tutto vada per il meglio e che il mio corpo continui a tollerare questa cura impegnativa, oltre a mettere in pratica quanto imparato nel campionato europeo».

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