Motor Valley
Reggio Emilia, terra dei record dalla F1 all’endurance
Situata tra Parma e Modena, Reggio Emilia è terra di record: da Mauro Baldi, unico italiano detentore della Tripla Corona dell’endurance, a Jarno Zaffelli, autore della parabolica più ripida del calendario di F1. Senza dimenticare gli avvitatori della Dino Paoli Pit Stop, che in mano ai meccanici McLaren detengono il record per il pit stop più veloce della storia in 1″80.
In Formula 1 con Ferrari
Il legame di Reggio Emilia con la Formula 1 comincia nel 1949, quando un impiegato delle Officine Reggiane, Franco Rocchi, viene assunto da Enzo Ferrari per lavorare ai motori del cavallino. Con Mauro Forghieri e Giancarlo Bussi forma la “Troika”, così definita dal Drake, incaricata di progettare la Ferrari 312 T. L’iconica Rossa spinta dal propulsore di Rocchi vincerà quattro Mondiali Costruttori dal 1975 al 1979 in mano a Lauda, Regazzoni, Reutemann, Villeneuve e Scheckter.
Con Forghieri l’ingegnere reggiano lavora anche al progetto endurance, realizzando il V12 Boxer per la Ferrari PB che dominerà il Mondiale Sportprototipi 1972.
Rocchi lascia la Scuderia nel 1979, accettando la sfida di Ernesto Vita sette anni dopo. L’innovativo W12 dell’ex Ferrari progettato per la Life attira l’interesse di Osamu Gotō, ma si rivela lento (mancano più di 100cv) e inaffidabile (fatica a durare più di due giri). Dopo dodici mancate pre-qualificazioni, Rocchi lascia il team, concludendo la sua carriera.
Per un reggiano che ha lascia Maranello a fine anni ‘70, ce n’è uno che arriva: si tratta di Dino Paoli, produttore di avvitatori per pit stop dal 1968. Dopo una breve esperienza con la Lancia Stratos, nel 1975 propone al Commendatore di fornire le pistole in esclusiva alla casa di Maranello. Comincia così una collaborazione che si rivela vincente e convince anche McLaren ad affidarsi all’azienda reggiana. Presto gli avvitatori Paoli conquistano tutti i box di F1, sbarcando anche in America come fornitori in IndyCar e NASCAR.
Oggi, dopo più di cinquant’anni, la Paoli detiene il monopolio in F1, F2, WEC, IndyCar, NASCAR, GTWC ed ELMS. È dunque inevitabile che detenga anche il record per il pit stop più veloce della storia, effettuato dai meccanici della McLaren al GP del Qatar 2023 in 1”80.
La Tripla Corona dell’endurance
Il 1975 non comincia solo l’avventura di Dino Paoli in F1, ma anche quella di Mauro Baldi negli autodromi. Dopo tre anni da pilota rally, il ventunenne reggiano passa alle corse su asfalto partecipando alla Renault 5 Cup italiana fino al 1977.
L’esordio con le ruote scoperte avviene l’anno successivo nella F3 europea, che riesce a vincere al quarto tentativo. I buoni risultati lo proiettano direttamente in F1 con la Arrows, con cui conquista due sesti posti nel 1982. Dopo altre tre stagioni con Alfa Romeo e Spirit con fortune alterne, Baldi lascia la Formula 1 per dedicarsi alle ruote coperte a tempo pieno.
Le gare di durata esaltano tutto il suo talento: dopo tre podi in tre piazzamenti tra il 1989 e il 1993, riesce a vincere la 24 Ore di Le Mans nel 1994. Tornerà sul quel podio al volante di una Ferrari nel 1998, anno in cui vince anche la 24 Ore di Daytona e la 12 Ore di Sebring, ovvero le altre due gare della Tripla Corona dell’endurance, diventando il settimo pilota nella storia e primo italiano a riuscire nell’impresa.
Dopo aver appeso il casco al chiodo, la sua eredità viene raccolta da Sergio Campana, arrivato fino alla GP2 nel 2013, l’odierna F2, e Francesco Simonazzi, classe 2004 attualmente in cerca di una conferma in F3 dopo i due round del 2023, ma che verosimilmente non andrà oltre.
Dall’Autodromo di Reggio Emilia a F1 e MotoGP
Nonostante i risultati eccellenti di Baldi, il reggiano più influente non può che essere Jarno Zaffelli, il rinomato progettista di autodromi fondatore dell’azienda Dromo. Nato nel 1976 con il nome dell’asso motociclistico Jarno Saarinen, è obbligato a interessarsi alle due ruote e, parlando al bar con due amici motociclisti a fine 1999, nasce l’idea di un autodromo a Reggio Emilia. Per realizzarlo fonda l’associazione Dorodi (“due ruote” in dialetto) e viaggia il mondo per capire come costruirlo.
Il progetto muore nel 2007 per mancanza di fondi, ma l’esperienza acquisita gli permette di impressionare gli autodromi di Misano e Mugello per la sua competenza, quando, nel novembre del 2008, partecipa da giornalista a una conferenza presenziata da progettisti come Hermann Tilke, Clive Bowen e Alan Wilson: è la rampa di lancio della sua carriera. Nel 2010 l’azienda diventa Dromo e comincia a lavorare per i due circuiti sopracitati, oltre a quello di Imola.
Nel 2011 ha l’opportunità di lavorare al circuito di Termas de Río Hondo, modificando il layout originario di Héctor Farina con una curva ispirata a una strada di Reggio Emilia. Sempre oltreoceano, è stato l’autore del “copia e incolla” che ha permesso al defunto kartodromo di Parma di rinascere in North Carolina con il nome di GoPro Motorplex.
Specialista nell’asfaltatura, è riuscito perfino a interrompere il processo di riasfaltatura annuale del circuito di Silverstone, che durava da settant’anni, facendo risparmiare una fortuna alla BRDC.
È stato lui a realizzare la curva 5 di Abu Dhabi, teatro del famoso sorpasso di Verstappen su Hamilton nell’ultimo giro dell’edizione 2021, probabilmente il momento più memorabile degli ultimi dieci anni.
Sempre lui ha progettato nel 2020 le paraboliche da record di Zandvoort, le più ripide nel mondiale F1 con una pendenza fino al 35%. Curiosamente, la “progettazione” da parte di Zaffelli era iniziata per caso nel 1985, giocando con le biglie sulla spiaggia di Riccione.
Al giorno d’oggi Jarno è considerato tra i migliori progettisti del mondo, avendo lavorato al 32% dei circuiti nel calendario 2024 della MotoGP e al 21% di quello della Formula 1, nonché la metà dei circuiti su cui correrà la No Limits, team reggiano che parteciperà al mondiale endurance a due ruote nel 2024.
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