Motor Valley
F1 – GP di Ungheria 2003, la prima di Alonso
La prima vittoria di Fernando Alonso fu un testamento sul futuro dello sport, del campionato e della Motor Valley stessa. Ogni singolo giorno, dal venerdì alla domenica, lasciò un seme, piccolo o grande, per il futuro. Il più macroscopico però fu quello dello stesso Alonso, che vinse da grande campione quale tutti pensavano che sarebbe diventato ma che nessuno, ancora, aveva il coraggio di credere per davvero.
La Motor Valley del futuro germogliò in Ungheria
Già durante le prove un briciolo di futuro di Motor Valley cominciò a prendere forma. Al Minardi Team all’epoca era permesso di schierare una terza auto per le sole prove del venerdì, concessione fatta alle ultime scuderie dell’anno precedente. Ciò consentiva a realtà come quella faentina di lanciare giovani piloti, di avere una possibilità in più di testare nuove soluzioni, anche se non era questo il caso, oppure, di vendere il sedile a qualche pilota con la valigia. In quell’occasione scese in pista Gianmaria Bruni, da poco terzo pilota Minardi che nel 2004 riuscì a disputare l’intera stagione sempre con squadra di proprietà di Paul Stoddart. Durante le prove, il pilota della Jordan Ralph Firman fu vittima di un terribile incidente quando la sua ala posteriore cedette, mandando in testacoda la sua monoposto che concluse la sua corsa con uno schianto contro le barriere. Precauzionalmente il medico della FIA Sid Watkins decise di non permettergli di partecipare al resto del fine settimana. A sostituirlo fu l’ungherese Zsolt Baumgartner, terzo pilota del team di Eddie Jordan e all’epoca ventiduenne, che debuttò in Formula Uno nel Gran Premio di casa. Nel 2004 sarebbe diventato il compagno di squadra proprio di Bruni.
Che l’intero weekend sarebbe stato un oblò sul futuro si poteva presagire da queste piccole cose, ma nessuno si sarebbe aspettato che, alla domenica, si sarebbe scritta un’importante pagina di storia della Formula 1. Gli occhi erano tutti puntati su Michael Schumacher, primo in classifica a quota 71 punti, seguito a sei lunghezze di distanza da Juan Pablo Montoya su Williams motorizzata BMW, mentre terzo con 62 punti era il giovane finlandese Kimi Raikkonen con la McLaren-Mercedes, al terzo anno in F1 e solamente al quarto sulle monoposto. C’era anche un altro giovane che stava cominciando a farsi largo durante quella stagione. Nel 2002 non corse, ingaggiato dalla rientrante Renault come terzo pilota, dopo due anni disputati alla guida della Minardi. Rispondeva al nome di Fernando Alonso. Veniva da Oviedo, nelle Asturie, e in quella stagione raccolse due terzi posti nelle prime tre gare, oltre ad un piazzamento d’onore al suo GP di casa, in Spagna, alle spalle di Schumi.
Le qualifiche dal giro perfetto
All’epoca le qualifiche si svolgevano su due sessioni con il giro secco. Al venerdì si scendeva in pista con i serbatoi scarichi e la classifica determinava l’ordine di uscita per le prove cronometrate del sabato. Queste si disputavano con il quantitativo di benzina necessario per disputare la prima parte di gara, fino al primo rifornimento, al tempo consentiti dal regolamento. Una «superpole» non tanto amata all’epoca che oggi, sui social, si sente stranamente invocata a gran voce ogni qualvolta le qualifiche vengano interrotte o influenzate da una bandiera rossa.
Il giovane Alonso conquistò la sua seconda pole position stagionale, precedendo di quasi tre decimi Ralf Schumacher, su Williams, facendo siglare le migliori prestazioni nel secondo e nel terzo settore del tracciato. Un giro al limite della perfezione, senza traffico, senza troppe distrazioni: solo il pilota, la sua auto e il tracciato da interpretare al meglio. Fernando Alonso in quel 2003 sembrava essere, gran premio dopo gran premio, il futuro dell’automobilismo. Ogni sessione era una dichiarazione d’intenti: fu così anche quel sabato. Montoya si classificò solo quarto seguito dalla Ferrari di Rubens Barrichello mentre Schumacher si dovette accontentare dell’ottavo posto alle spalle di Raikkonen, settimo.
L’assolo Alonsiano e il doppiaggio su Michael Schumacher
Era un’altra epoca, un’altra F1. Non necessariamente più bella e divertente, anzi. C’erano i rifornimenti, i due fornitori di pneumatici, Bridgestone e Michelin, le gomme scanalate. Ricordo ancora chi mi guardava, sgranando gli occhi e prendendomi per scemo, quando dall’«alto» dei miei undici anni dicevo che seguivo la Formula 1. «Ma va là, ma sit fora? Ma come fai a guardarla, è bella solo la partenza, poi non succede più niente, come partono arrivano. Ci si addormenta e ci si risveglia per il podio».
Me lo ricordo come se fosse adesso, il podio. Non era vero, non arrivarono nello stesso ordine di partenza. Il leader sì, fu sempre quello. Alonso fu autore di una cavalcata trionfale talmente entusiasmante da non sembrar vera. Al via le Williams scivolarono indietro, anche complice il testacoda di Ralf, che riprese la gara in ultima posizione. Raikkonen risalì rapidamente fino alla terza posizione mentre Mark Webber, secondo sulla verde Jaguar, non riusciva a tenere il ritmo di un Alonso indemoniato. Nei primi tre giri il pilota Renault guadagnò ben sette secondi, mentre al tredicesimo giro, al momento della prima sosta ai box, aveva 21 secondi di vantaggio. Lo spagnolo rientrò in pista in seconda posizione, subito dopo Räikkönen, mentre Webber scivolò indietro. Alla fine del 16° giro, Räikkönen, Barrichello e Montoya rientrarono anche loro, consentendo ad Alonso di riprendere il comando delle operazioni.
Al 17° passaggio anche Michael Schumacher si fermò, venendo superato da Montoya, autore di un sapiente «undercut», che era riuscito a fare un giro più veloce senza essere trattenuto da Schumacher. Due giri più tardi finì la corsa di Barrichello, che andò a muro a causa di un problema tecnico alla prima curva. Il recuperò del relitto della F2003-GA numero 2 fu compito dai commissari di percorso sotto un semplice regime di bandiere gialle: questo consentì ad Alonso di mantenere i 24 secondi di vantaggio di Alonso su Räikkönen, rientrato davanti a Webber.
Jarno Trulli, compagno di squadra di Alonso, guidò un trenino di piloti tenendo dietro Montoya, Michael e Ralf Schumacher tutti in lotta per il quarto posto. Al 28° giro Ralf sorpassò il fratello, mentre fu sempre Alonso, due tornate più tardi, a riaprire il secondo valzer dei pit stop, seguito da Webber un giro più tardi. Il primo mantenne la testa della corsa su Raikkonen, mentre Webber scese al nono posto.
Trulli lasciò via libera alle Williams al 32° giro, prestando il fianco all’«overcut», con Räikkönen che perse la sua posizione sul duo della scuderia di Grove. Ralf Schumacher rientrò immediatamente ai box nel giro successivo, tornando in pista davanti a trulli ma dietro a Webber, mentre Montoya fece segnare il giro più veloce della gara fino a quel momento, prima di fermarsi per il rifornimento. Tornò in pista davanti a Webber e a Ralf, con campo libero per ricucire il gap su Alonso. Al 38° giro Michael Schumacher era terzo, con Coulthard quarto, seguito da Montoya, Webber, Ralf Schumacher e Trulli. Il ferrarista si fermò ai box rientrando dietro a Trulli, con Webber impegnato a rintuzzare gli attacchi di Ralf, che lo superò solo al 46° giro, salendo in quarta posizione.
I piloti di testa, tutti sulla strategia delle tre soste, fecero l’ultimo rifornimento senza guadagnare o perdere posizioni. L’unica eccezione fu rappresentata da Coulthard, che con due sole soste riuscì a sopravanzare Ralf Schumacher per la quinta posizione.
Davanti Alonso fece gara a sè, martellando con tempi record e riuscendo a doppiare addirittura Schumacher, ottavo. Dietro l’asturiano Montoya finì in testacoda, trovandosi in lotta con Ralf negli ultimi giri, dovendo rinunciare a puntare a Raikkonen, che terminò secondo con 16″8 di distacco dal vincitore.
Alonso: «Spero di avere una carriera lunga con molte altre vittorie»
Fernando Alonso conquistò così la sua prima vittoria in Formula 1, diventando il più giovane vincitore della storia dello sport in quel momento, superando Bruce McLaren. A caldo disse: «É un sogno che si realizza. Ho 22 anni e ho ottenuto la mia prima vittoria. Spero di avere una lunga carriera con molte altre vittorie». Ha sperato bene. Con un pizzico di impulsività in meno, forse, avrebbe sperato ancora meglio.
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